Dall’antipolitica all’antistato

Dall’antipolitica all’antistato

«Giocare cinicamente con il dolore, la paura e persino la disperazione della gente. Buttare benzina sul fuoco della crisi. Mettere nella lista nera le persone sgradite. Istigare all’odio e al disprezzo contro tutti quelli che la pensano diversamente. Chi è che fa così? In che anno siamo? 1921 o 2013?» Così Nichi Vendola sulle ultime posizioni di Grillo. Stiamo assistendo ad un’evoluzione dei 5 Stelle. La democrazia si fonda sul diritto al dissenso, sulla libertà di criticare. Eppure il profeta del vaffanculo prevede una società in cui se sei un giornalista sgradito al Movimento debba essere messo alla pubblica gogna, se invece sei un rappresentante delle Istituzioni, democraticamente eletto, debba essere lasciato in balia della rabbia sociale.
 
L’invito che Grillo fa alle forze dell’ordine di farsi da parte, di non difendere più lo Stato, ha una cifra incendiaria ed eversiva, oltre che illecita. Come giustamente ricorda Matteo Renzi: «Due anni fa Grillo invitava i militanti no Tav a picchiare i poliziotti. Derideva i poliziotti, ora li blandisce. E’ un tentativo di rompere la coesione sociale, di mandare tutto all’aria, di scardinare il sistema». Il leader dei 5 stelle non si fa scrupolo di strumentalizzare un clima di disagio, di fomentare l’odio e lo scontro solo per il proprio tornaconto politico, in una logica del tanto peggio tanto meglio che ha superato ogni limite consentito.
Il baluardo

Il baluardo

In questi ultimi giorni le forze populiste del Paese si stanno avvicinando, in un attacco comune ai principali organi istituzionali. Pare infatti saldarsi un asse fra Forza Italia e M5S che mira ad andare subito al voto deligittimando Capo dello Stato e Parlamento democraticamente eletti. Così Grillo sulle pagine del suo blog: «In Parlamento siedono 150 abusivi di Pd, Sel, Cd e Svp. Questi signori non devono più entrare alla Camera, non hanno alcuna legittimità. Devono essere fermati all’ingresso di Montecitorio.». Lo stesso profeta del vaffanculo redige inoltre una lista di proscrizione dei giornalisti che hanno osato criticare il Movimento, sottoponendoli alla gogna digitale, in spregio alle più elementari regole liberali. Tutto questo mentre il PD fornisce una straordinaria dimostrazione di democrazia, portando a votare quasi tre milioni di persone. Quelle stesse persone che con un linguaggio squadrista, perfettamente in linea con quello del proprio leader, una deputata grillina definisce: «tanti pecoroni contenti di dare 2 euro per farsi prendere per il culo piano piano come piace alle persone per bene». Un’affermazione indegna nella bocca di una rappresentante dello Stato a cui si aggiunge quella di un collega, che bolla il Partito Democratico come «melma putrida da buttare».
 
Sono questi i motivi che evidenziano come il PD sia ormai l’ultimo grande baluardo democratico. Renzi ha vinto nettamente. A lui il difficilissimo compito di rinnovare il partito, nel rispetto però delle diverse identità e culture che lo attraversano. Si collabori, vincitori e vinti, ci si confronti senza imporre le proprie posizioni in modo pregiudizievole. Si lavori insieme con l’obiettivo di ridare credibilità e dignità alla politica, altrove così svilita. Si abbandoni la logica delle rivalse personali, dei veti incrociati, delle correnti e correntine che lavorano una contro l’altra. Soltanto così il partito potrà crescere unito e farsi portatore della riscossa politica, culturale e civile di cui ha così bisogno il Paese.
Fuori dal Parlamento!

Fuori dal Parlamento!

L’Italia non ha nulla a che fare con qualsiasi altro Paese occidentale, o con una democrazia civile ed evoluta. Altrove un politico si sarebbe dimesso ben prima di attendere la condanna definitiva, qui invece sono 4 mesi che gli si consente di fare il bello ed il cattivo tempo: minacciare parlamentari, pressare il Capo dello Stato per ottenere la grazia, togliere la fiducia al Governo, chiedere la testa del Presidente del Consiglio, gridare al golpe, promuovere manifestazioni di piazza, fondare nuovi partiti e chi più ne ha. Ancora una volta la responsabilità però non è di berlusconi, ma di un’opinione pubblica bovina ed inetta che non sa cosa significa indignarsi e per cui tutto è lecito, persino che un pregiudicato attacchi la Magistratura, le leggi dello Stato ed il primato del diritto. Una collettività di cui il ducetto di Arcore è da vent’anni modello e allo stesso tempo specchio.
 
A nulla è valso l’anatema che qualche giorno fa aveva rivolto ai senatori del PD e del M5S: salvatemi o della vostra colpa dovrete vergognarvi per sempre di fronte ai vostri figli, ai vostri elettori e a tutti gli italiani. Il Caimano è decaduto, ma sbaglieremmo se pensassimo che questo atto costituisca la fine del berlusconismo. In questo senso sono d’accordo con Barbara Spinelli, che scrive: «È un sollievo sapere che non sarà più decisivo, in Parlamento e nel governo, ma il berlusconismo è sempre lì, e non sarà semplice disabituarsi a una droga che ha cattivato non solo politici e partiti, ma la società. Sylos Labini lo aveva detto, nell’ottobre 2004: “Non c’è un potere politico corrotto e una società civile sana”. Fosse stata sana, la società avrebbe resistito subito all’ascesa del capopopolo, che fu invece irresistibile: “Siamo tutti immersi nella corruzione”, avvertì Sylos.»
Breaking Bad

Breaking Bad

Breaking Bad racconta la storia di un uomo la cui vita cambia dopo che gli è stato diagnosticato un tumore ai polmoni. La serie descrive la sua metamorfosi da dimesso e frustrato insegnante di chimica a temuto signore della droga e assassino spietato. Spinto in un primo momento dal desiderio di aiutare economicamente la sua famiglia quando lui sarà morto, decide di mettere a frutto le sue vaste conoscenze di chimico per produrre metanfetamine insieme ad un suo ex alunno. Mossa dopo mossa, scelta dopo scelta, Walter White si cala sempre più nei panni di un consumato criminale, finendo con lo scoprire che questa sua attività è quanto di più gratificante e vitale gli sia mai capitato. I dubbi, i ripensamenti e gli iniziali sensi di colpa vengono progressivamente meno, oscurati da un’inarrestabile sete di potere e dalla voglia di superare ogni limite, nuove stelle polari della sua esistenza.

In barba alla tradizione dei personaggi televisivi che non cambiano mai, Breaking Bad affronta un lento cammino di trasformazione, mostrando le conseguenze che derivano da ogni singola azione di Walter White. Di pari passo con questa discesa agli inferi in cui tutto si perde: amore, amicizia e rapporti,  anche la scrittura della serie si evolve, passando da quella che era una commedia nera per arrivare ad una potente tragedia shakesperiana. Gigantesca la prova di Bryan Cranston nel ruolo del protagonista, semplicemente perfetto nel risultare ripugnante e tuttavia capace di stabilire un fortissimo legame empatico con lo spettatore. Ma è tutto il cast ad essere su livelli eccelsi, capace di dare grande spessore a personaggi complessi e sfaccettati. Così come di grande valore sono sceneggiatura, regia e fotografia. Secondo la critica, la serie è la migliore di sempre: Breaking Bad ha infatti ottenuto un punteggio di 99 su 100 su metacritic.com, il sito che si occupa di aggregare le recensioni dei critici di tutto il mondo.

Le strette intese

Le strette intese

«Non accetterò più di stare al governo con i miei carnefici» tuona berlusconi all’indomani della decisione della Giunta che ha stabilito che il 27 novembre il Senato dovrà decidere con voto palese sulla sua decadenza. Una frase che, a pensarci bene, potrebbero benissimo pronunziare anche i dirigenti democratici nei confronti di chi, solo 5 anni prima,  aveva comprato un parlamentare a suon di milioni per far cadere la loro maggioranza. Mai come in questo momento le larghe intese sono apparse così strette. Il PDL è allo sbando, scosso dalla distanza sempre più profonda fra i filo governativi e chi invece vorrebbe scatenare l’inferno contro ciò che viene percepito come una persecuzione politica, un attentato alla democrazia, una caccia all’uomo degna di quella che gli ebrei subirono da parte di Hitler!

Dall’altra parte Renzi – che ha più volte ribadito “mai più larghe intese” –  sta a guardare, sperando che il PdL consumi quello strappo suicida che porterebbe ad elezioni anticipate, le sole che potrebbero garantirgli una vittoria nettissima, prima che il ruolo di segretario del PD – un partito che non lo ama e che lui non sa rappresentare in toto – finisca col logorarlo. Straordinario parolaio [«il futuro è il posto dove voglio vivere» o «abbiamo bisogno della rivoluzione della semplicità»], si produce intanto in ciò che gli riesce meglio, ossia dire quello che il popolo vuole sentirsi dire, fra show incantatori, slogan ad effetto, banalità, battute e strizzatine d’occhio. E la sinistra? La sinistra che non cambia si chiama destra, sostiene il sindaco di Firenze. Ma la sinistra che si trasforma in destra, come si chiama? Alla Leopolda si sono visti molti industriali. Ma i lavoratori, i precari, i disoccupati, i pensionati? Staremo a vedere.

La legge Grillo-Casaleggio

La legge Grillo-Casaleggio

«Ieri è passato l’emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull’abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale. Non è stata discussa in assemblea con gli altri senatori del M5S, non faceva parte del Programma votato da otto milioni e mezzo di elettori, non è mai stata sottoposta ad alcuna verifica formale all’interno. Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo perché un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico».
 
Questa la posizione di Grillo circa l’approvazione dell’emendamento del M5S che abroga il reato di immigrazione. In queste parole ci sono tutte le miserie del Movimento. Da una parte il greve populismo che è il vero motore che anima le scelte del profeta del vaffanculo. Le decisioni politiche vengono prese non tanto per il bene comune o in nome di ciò che è giusto o di buon senso, quanto piuttosto allo scopo di ottenere consenso o perlomeno di non perderlo. La famosa democrazia dal basso poi è solo propaganda. L’uno vale uno ha un significato soltanto se quell’uno si chiama Grillo o Casaleggio. In caso contrario uno vale niente e se prova a valere qualcosa, viene zittito o espulso. I parlamentari pentastellati che – è bene ricordarlo ancora una volta – secondo la Costituzione Italiana agiscono [come tutti gli altri] senza alcun vincolo di mandato, sono invece relegati a meri esecutori, obbligati ad obbedire ai diktat dei due fondatori del Movimento, i quali non si fanno scrupolo di sconfessarli ed umiliarli quando si ritiene che le loro azioni non inseguano la pancia dell’opinione pubblica.
La fine di una stagione?

La fine di una stagione?

Ieri Enrico Letta ha dichiarato che il ventennio berlusconiano è finito. Ma è davvero così? Certo il Caimano ha vissuto una gran brutta settimana. Prima il fallimento del suo tentativo di far cadere il Governo: berlusconi è stato costretto a votare la fiducia a Letta come estremo tentativo di evitare la scissione del PdL e la fine del suo regno, perdendo così in un colpo solo sia il potere di interdizione sull’esecutivo, sia l’insindacabilità della sua parola all’interno del partito. Un passaggio delicatissimo reso ancor più complicato dalla condizione di incandidabilità in cui a breve incorrerà e dalle altre scadenze giudiziarie che lo attenderanno nei prossimi mesi. Una carriera politica che a questo punto pare avviata sul viale del tramonto, ma che potrà ancora riservare temibili colpi di coda.
 
Ma la fine della Seconda Repubblica non passa solo attraverso il declino di berlusconi, perchè è un intero Paese ad essere in crisi, perennemente sull’orlo del baratro economico, oltre che allo sfascio politico, culturale e sociale. Bisognerà ripartire dalle macerie, ritrovando prima di tutto un unità nazionale messa in discussione da vent’anni di demonizzazione dell'”altro”. Si dovrà mettere fine a tutti i populismi che hanno contribuito ad involgarire i partiti e a produrre guasti nella coesione sociale. Occorrerà poi riprendere il cammino della formazione e della crescita culturale dei giovani, ed attivare un’idea di democrazia partecipata recuperando il rapporto fra cittadini, politica ed istituzioni.
Il delirio della destra

Il delirio della destra

Mai prima d’ora nella nostra storia repubblicana si è giunti a minacciare  simultanee dimissioni di massa dal Governo e dal Parlamento. Berlusconi chiede ai suoi di lasciare subito, aprendo una crisi istituzionale senza precedenti. Non potendolo fare sul tema a lui più caro, ossia quello dell’accanimento giudiziario sulla sua persona, si serve dell’aumento dell’IVA come specchietto per le allodole ad uso e consumo del proprio elettorato. Ancora una volta una becera manovra populista, ancora una volta una spregiudicata torsione della verità: la vera cifra della comunicazione berlusconiana. La realtà ovviamente è assai diversa, ed è quella di una destra che – senza un briciolo di decenza – non si fa scrupolo di piegare le regole democratiche e di utilizzare le istituzioni come uno strumento di ricatto pur di salvare un delinquente condannato in via definitiva. E’ il punto più basso di vent’anni di berlusconismo.

Tutto questo – è bene ricordarlo – con buona pace di Grillo, il quale, per tutta la durata del Governo Letta non ha fatto altro che blaterare di inciuci, di un PdL e di un PD che sarebbero la stessa cosa, di finte contrapposizioni fatte esclusivamente a beneficio dei media, di un esecutivo che non sarebbe mai caduto perchè non conveniva a nessuno dei due partiti, dei democratici che avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di salvare il Cavaliere. Anche in questo caso la verità viene mistificata per mere logiche di consenso. E non è un caso se il ducetto di Arcore ed il profeta del vaffanculo sono allineati sull’andare immediatamente ad elezioni, pur sapendo che se si votasse domani col Porcellum si consegnerebbe il Paese ad una nuova stagione di ingovernabilità dalle ricadute imprevedibili. Entrambi si muovono secondo personali interessi di bottega. Entrambi puntano allo sfascio dell’Italia. La Grecia si avvicina. Muoia Sansone con tutti i filistei.

Il discorso alla nazione

Il discorso alla nazione

«Non è un seggio che fa il leader ma il consenso». Ecco l’unica frase condivisibile dell’ennesimo videomessaggio di berlusconi. E di consenso popolare il Cavaliere ne ha ancora molto, visto che alle recenti elezioni la coalizione da lui guidata è stata votata da quasi 10 milioni di persone. Un discorso alla nazione altrimenti irresponsabile e farneticante, grottesco a tratti, in cui l’ex premier recita come un mantra le solite veementi accuse nei riguardi della Magistratura e degli avversari politici, e chiama a raccolta i cittadini contro un potere dello Stato italiano.

Nelle parole del leader della rediviva Forza Italia c’è tutto il fallimento della Seconda Repubblica. Un fallimento che investe prima di tutto la destra, incapace in vent’anni di presentare una personalità alternativa a berlusconi che fosse in grado – per storia, capacità e carisma – di sostituirsi autorevolemente alla leadership del ducetto di Arcore. Fino a quando questa destra sarà composta unicamente da tanti yesmen e yeswomen, il cui maggiore compito è quello di difendere il padre padrone dai propri guai giudiziari, il Paese non potrà uscire dalla gigantesca anomalia che ne ha compromesso la crescita in tutto questo periodo. Il fallimento della Seconda Repubblica riguarda anche un centrosinistra che dal 1994 ad oggi è riuscito nell’impresa di apparire allo stesso tempo troppo sussiegoso e sterilmente antiberlusconiano, a dimostrazione dell’impreparazione a maneggiare il fenomeno berlusconi. Un fallimento però che non è soltanto politico, ma anche culturale, perchè alimentato da una pubblica opinione incapace di reagire ad una situazione che sarebbe inimmaginabile in qualsiasi altro Paese. L’indifferenza che i più dimostrano nei confronti in cui la cosa pubblica è stata gestita in questi anni è sicuramente il brodo di coltura che ha consentito a berlusconi di seguitare a spostare sempre un pò più in là il limite di ciò che viene considerato normale o giusto.

Di agibilità politica e quant’altro

Di agibilità politica e quant’altro

Agibilità politica. Grazia. Amnistia. Commutazione della pena. Decadenza da senatore. Incostituzionalità della legge Severino. Ecco ciò di cui si è parlato in questo mese di Agosto. Ancora una volta gli interessi di un uomo solo si sono anteposti a quelli di un Paese intero. Ancora una volta le vicende giudiziarie del Cavaliere hanno condizionato la vita politica ed istituzionale. Dato mille volte per finito berlusconi domina ancora la scena ed è arrivato – da pregiudicato – a dettare l’agenda politica del Governo, riuscendo ad imporre al PD l’abolizione dell’ IMU.
 
Vent’anni fa Craxi fu costretto all’esilio perchè ancor prima che dalla giustizia venne condannato dalla pubblica opinione. Lo scorso febbraio la coalizione guidata da berlusconi è stata votata da quasi 10 milioni di persone ed anche oggi il consenso per l’ex premier è tale da potergli consentire di restare autorevolmente [ed arrogantemente] in sella nonostante una condanna in Cassazione. In questa differenza si misurano i danni fatti da vent’anni di berlusconismo. Vent’anni di battaglie fra poteri dello Stato e fra berlusconiani ed antiberlusconiani che hanno lasciato un Paese in macerie, assuefatto a qualsiasi nefandezza. Un Paese in cui tutto appare normale, anche che una sentenza passata in giudicato non sia motivo più che sufficiente per abbandonare la politica. Oppure che una legge approvata 8 mesi fa dal Parlamento proprio con il preciso scopo di negare l’agibilità politica ai condannati in via definitiva, debba adesso essere portata dallo stesso davanti alla Consulta per bocciarla, perchè impedirebbe l’agibilità politica di berlusconi [sic!]. Secondo l’idea che il ducetto di Arcore ha di uno Stato di diritto infatti, l’applicazione di una legge – peraltro votata anche dal PdL e messa in atto già decine di altre volte – provocherebbe una profonda ferita alla democrazia se a subirla fosse lui, perchè il consenso politico vale più del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge [sic!].