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Categoria: fincher

Uomini che odiano le donne… a confronto

Uomini che odiano le donne… a confronto

Dubito che si sentisse la mancanza di un remake di Uomini che Odiano le Donne a soli due anni di distanza dall’originale svedese, specie considerando che il film di David Fincher non può considerarsi un lavoro completamente riuscito, così come – del resto – non lo è il suo predecessore. Il regista del primo adattamento opera una sintesi notevole del complesso romanzo di Stieg Larsson, decidendo di asciugare la trama principale, tagliare del tutto quelle secondarie e ridurre la presenza dei molti personaggi di contorno, concentrandosi esclusivamente sull’indagine e sull’elemento thriller, nell’ambito di un impianto decisamente classico. Il risultato è un’esposizione semplice e coinvolgente, anche se alcune scelte producono delle inverosimiglianze. Ma l’anello più debole del film di Niels Arden Oplev è il protagonista maschile, attore del tutto privo di quel fascino che il personaggio cartaceo invece possiede, e talmente inespressivo da far apparire un ottimo attore persino Daniel Craig, interprete del remake americano.

Fincher si avvale di una produzione hollywoodiana certamente più ricca di quella svedese. La regia è estremamente curata, la fotografia e le scenografie hanno i giusti toni cupi ed opprimenti. L’adesione al romanzo è maggiore, con un intreccio più fitto di dettagli, che però finiscono per togliere mordente al thriller. Così la macchina narrativa incespica proprio in quello che avrebbe dovuto essere il suo pezzo forte. L’attenzione si sposta dall’indagine alle dinamiche dei personaggi e di Lisbeth in particolare. Il personaggio della ribelle e problematica hacker è ciò che davvero interessa al regista statunitense, perchè – come lo Zuckerberg di The Social Network – diventa il simbolo delle contraddizioni di quest’epoca, in cui siamo tutti più informatizzati ma più soli. Tuttavia qui – seppure Rooney Mara si faccia apprezzare – la pellicola americana paga il confronto con una Noomi Rapace magistrale, indimenticabile nella sua rabbia animalesca.

Il 2010 al Cinema

Il 2010 al Cinema

Questa stagione ci ha regalato due capolavori che curiosamente presentano più di un aspetto in comune. Entrambi hanno come protagonista Leonardo Di Caprio ed entrambi condividono la stessa straordinaria capacità di indagare sul rapporto fra realtà e sogno. Ognuno a modo proprio, Christopher Nolan con Inception e Martin Scorsese con Shutter Island, si muovono sul terreno incerto e confuso che separa la verità dall’immaginazione, riuscendo – cosa non più così comune nel cinema americano degli ultimi anni – a sposare autorialità ad intrattenimento. Al terzo e al quarto posto della mia personale top five dei film usciti nel 2010 si trova un’altra coppia di pellicole dirette – anche questa volta – da un regista della vecchia generazione e da uno della nuova. Roman Polanski con Un uomo nell’ombra firma un thriller solidissimo come pochi negli ultimi decenni, dalle atmosfere cupe ed opprimenti, in cui lo smarrimento dell’uomo comune di fronte ad un intrigo internazionale rimanda al miglior Hitchcock. David Fincher realizza The social network, una poderosa storia di solitudine e rivalsa tra le pieghe del più importante fenomeno di costume di questi ultimi anni. Non fa neppure più notizia l’ennesimo gioiello in casa Pixar, che anche quest’anno con Toy Story 3 propone la magia di una storia che sa parlare al cuore di tutti, grandi e piccini.

Il 2010 è stato un anno orribile per le tante morti che hanno colpito il mondo del cinema. Quel che restava della commedia all’italiana è stato falciato via: Mario Monicelli, i grandi sceneggiatori Furio Scarpelli e Suso Cecchi d’Amico, il produttore Dino de Laurentiis ed il “solito ignoto” Tiberio Murgia. Sono morti i due registi francesi Eric Rohmer e Claude Chabrol. In America ci hanno lasciato Dennis Hopper, Tony Curtis, Jill Clayburgh, Leslie Nielsen, Tom Bosley e i registi Arthur Penn e Blake Edwards. Per non parlare di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini che, pur avendo solo sfiorato il cinema, sono da considerarsi due pietre miliari del mondo dello spettacolo italiano.

Ed il mio Oscar va a…

Ed il mio Oscar va a…

E’ un inverno caldo, perlomeno al cinema. Sono molti i film interessanti da vedere ed io non mi sono certo fatto mancare nulla. In queste ultime settimane ho visto 4 delle 5 pellicole candidate agli Oscar di domenica prossima e posso dire che il mio personalissimo premio va a Il curioso caso di Benjamin Button con Brad Pitt e Cate Blanchett. L’ultimo lavoro di David Fincher sa coniugare con naturalezza fiaba e poesia, facendoti sgranare gli occhi per lo stupore e prorompere in oh di meraviglia. Il regista dispiega abilmente trucchi ed effetti speciali, sempre però al servizio di una visione calda e sentimentale, e mai tecnologica, nè tantomeno irrealistica. Stilisticamente superbo, il film narra le bizzarre vicende di un uomo che si trova a vivere il suo tempo al contrario [nasce vecchio e con gli anni ringiovanisce], e che per un breve ma intenso periodo riesce ad incrociare la donna della sua vita. Questa favola che commuove e travolge si presta a tante differenti considerazioni: il tema della diversità, l’importanza della forza di volontà, una riflessione sulla morte, la circolarità della vita, la ricerca della felicità, l’importanza di assaporare ogni momento, l’imprevedibilità, la fatalità del destino e, sopra tutto, l’unicità dell’amore, la sola cosa che dura e che è capace di sconfiggere persino il tempo.

In ordine le mie preferenze vanno poi a:

Milk di Gus Van Sant, un film notevole, che possiede il grande pregio di raccontare senza compiacimenti, nè tantomeno giudizi. Capace di emozionare ed analizzare al tempo stesso, è impreziosito da un’eccellente ricostruzione storica e dalla splendida ed intensa performance di Sean Penn, nel ruolo del primo uomo politico americano dichiaratamente gay. Convincenti tutti gli attori comprimari, aderenti appieno ai personaggi reali. Una pellicola straordinariamente attuale, se si considerano le cattive acque in cui tuttora navigano molti diritti civili, e che serve a ribadire – se mai ve ne fosse bisogno – il valore dell’impegno personale.

Ambientato come il film precedente negli anni 70, Frost/Nixon Il duello di Ron Howard, ha dalla sua la formidabile interpretazione di Frank Langella nei panni di Richard Nixon. La storia dell’intervista televisiva che il presidente americano diede tre anni dopo essersi dimesso, a seguito dello scandalo Watergate, è avvincente, però risente, in taluni passaggi, dell’impianto teatrale. Appare poi troppo insistito il parallelo con un match di boxe e troppo abusata la proposizione del classico schema scontro/sconfitta/seconda opportunità/vittoria.

The millionaire di Danny Boyle gode di un’ottima regia: montaggio serrato, inquadrature studiate, bella fotografia, grande cura nella scelta delle musiche. Però l’operazione di raccontare una storia d’amore nell’India attuale, prendendo le mosse da un quiz televisivo, si rivela piuttosto artificiosa. Lo sfondo di emarginazione e soprusi fra le baraccopoli di Mombay, e le vicende del bravo ragazzo che sfugge ad una vita destinata alla delinquenza e che con la propria tenacia riesce a diventare milionario, finiscono con l’apparire uno stereotipo. La tensione ne soffre e scema progressivamente con lo svolgimento del film, che via via presenta aspetti e situazioni sempre meno convincenti.