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Categoria: firth

Magic in the Moonlight

Magic in the Moonlight

Al centro della storia di questo nuovo lavoro di Woody Allen c’è un prestigiatore di fama internazionale chiamato da un amico e collega a smascherare una sedicente medium. Ancora una volta la trama serve solo da pretesto al regista newyorchese per mettere in scena se stesso. E’ facilissimo infatti trovare nei panni del personaggio interpretato da Colin Firth gli aspetti più tipicamente alleniani. Siamo di nuovo dalle parti di un artista affermato, ma depresso e disincantato nei confronti della vita. Razionale fino al cinismo, brillante ancorchè misantropo, che si imbatte nel’amore di una donna molto più giovane di lui. Lo sviluppo della storia è prevedibile. La sceneggiatura è priva di guizzi, le battute fulminanti latitano e i due protagonisti non raggiunguno mai un alto livello di empatia con il pubblico.

Il tema è quello trattato – in modo migliore – già molte altre volte: «l’uomo ha bisogno di illusioni come dell’aria che respira». Sono infatti coloro che accettano di vivere nell’illusione, gli unici capaci di godersi l’esistenza anche solo per un istante. La vita è miseria e solitudine, ma se si cede al sogno, alla magia, alla speranza, allora si può persino trovare la felicità. La conclusione è quella di sempre: l’amore – anche se è un sentimento effimero – resta in cima alla famosa lista di cose per cui vale la pena vivere. In fondo non importa se sia vero oppure no, quel che conta è “che funzioni”. Un Allen sicuramente minore, anche se – vale la pena ricordarlo – comunque al di sopra di tanti film di plastica, superficiali e fracassoni, di cui sono piene oggigiorno le sale cinematografiche.

Oscar 2011 – parte seconda

Oscar 2011 – parte seconda

Il Grinta di Joel e Ethan Coen: I fratelli Coen si accostano con rispetto all’epopea western senza stravolgere i topoi del genere. Il film è crepuscolare, condito dal loro tipico umorismo e permeato con toni da favola nera. In questo senso il rimando non è solo alla pellicola omonima del 1969 con John Wayne, ma anche a La morte corre sul fiume di Charles Laughton. La storia è quella di una cocciuta ed arguta quattordicenne che assolda uno sceriffo, ormai anziano e dedito all’alcol, per trovare l’assassino del padre. Jeff Bridges interpreta magnificamente Reuben Cogburn, detto da tutti il Grinta, stella sul petto e una vistosa benda sull’occhio, cinico e disilluso assassino per conto della legge, anarchico e burbero, archetipo degli ultimi eroi virili di un’epoca che sta per teminare. «Il tempo ci sfugge» è l’ultima disincantata battuta che i Coen consegnano alla ragazzina diventata donna, che – molti anni dopo, nello splendido finale – va alla ricerca di chi l’ha aiutata a vendicare la scomparsa del padre, per scoprire che è morto dopo una passerella nel circo di Buffalo Bill. Il west selvaggio, implacabile ed affascinante non esiste più, al suo posto restano solo degli invecchiati protagonisti di un spettacolo itinerante, parodia di ciò che furono una volta. Un lavoro impeccabile questo dei fratelli Coen, personale e classico allo stesso tempo, che in breve tempo è diventato il loro film più di successo. The Fighter di David O. Russel: Ispirato alla vera storia di due fratelli di Boston, il maggiore, ex grande promessa del pugilato caduto in disgrazia a causa della sua tossicodipendenza, aiuterà l’altro a combattere per il titolo mondiale dei pesi leggeri. Storia di disagio e riscatto sociale attraverso la boxe, non certo originale, ma sostenuta da un cast superlativo che rende il film molto più efficace quando ritrae le dinamiche familiari che si sviluppano intorno ai due protagonisti, rispetto ai momenti in cui l’azione si sposta sul ring. Una pellicola sicuramente robusta, dall’impianto classico che riesce a mantenersi interessante pur senza particolari guizzi. 127 Ore di Danny Boyle: La storia è quella vera di un alpinista rimasto intrappolato per cinque giorni in un canyon dello Utah. Nonostante l’estrema drammaticità, la vicenda non è certamente facile da raccontare, considerata la staticità di fondo e la carenza di sviluppi e snodi narrativi. Danny Boyle, già autore di Trainspotting e The Millionaire, prova a superare l’empasse con una regia fatta di montaggio serrato, colori accesi, musiche rock, ed artifizi visivi che alla lunga però risultano ridondanti ed invasivi, mentre il personaggio principale – per quanto ben interpetato da un volenteroso James Franco – rimane troppo poco caratterizzato per essere empatico e provocare un reale coinvolgimento da parte del pubblico. Resta la sensazione di un film pretenzioso e povero di autentiche emozioni.

Anche quest’anno la giuria non ha avuto il coraggio necessario e ha finito per premiare un film dignitoso ma innocuo come Il discorso del Re, che non possiede nè l’acuta analisi delle contraddizioni della società contemporanea di The Social Network, nè tantomeno la formidabile riflessione metacinematografica di Inception. Dispiace che a fronte di 10 nominations il film dei fratelli Coen non abbia conquistato alcun premio. Avrebbe certo meritato Jeff Bridges che nei panni del Grinta fornisce una prova semplicemente maestosa. Bravissimo anche Colin Firth, ma pure in questo caso appare troppo facile e scontata la scelta di premiare l’interpretazione di un personaggio affetto da una qualche disabilità [si pensi – solo per fare qualche esempio – all’ Al Pacino di Profumo di Donna, al Tom Hanks di Forrest Gump, al Dustin Hoffman di Rain Man, al Daniel Day Lewis de Il Mio Piede Sinistro, o al Jon Voight di Tornando a Casa]. Legittimo il premio a Christian Bale che in The Fighter dimostra nuovamente un grande talento ed una eccezionale capacità di modellare il proprio corpo in funzione del personaggio interpretato.

Oscar 2011 – parte prima

Oscar 2011 – parte prima

Di ritorno dalla visione di 3 film in lizza per la conquista di diversi Premi Oscar, riporto alcune sintetiche impressioni.

Il Discorso del Re di Tom Hooper: L’impacciato Re Giorgio VI d’Inghilterra soffre di una grave forma di balbuzie che lo rende incapace di tenere discorsi pubblici. Con il paese sull’orlo della Seconda Guerra Mondiale, è costretto a rivolgersi ad un logopedista, i cui metodi poco ortodossi lo aiuteranno a ricoprire con autorevolezza il proprio ruolo e ad aprirsi ad una duratura amicizia. Pellicola impeccabilmente britannica, tutta dialoghi e magnifiche prove attoriali, fra cui spiccano quelle di Colin Firth e soprattutto di Geoffrey Rush. Ha il limite di guardare troppo alla forma e poco ai contenuti, finendo col risultare eccessivamente manierata. Il Cigno Nero di Darren Aronofsky: Una compagnia di balletto di New York sta allestendo il classico di Chaikovskij “Il lago dei cigni”. Per poter interpretare al meglio oltre che il Cigno Bianco, simbolo di candore ed innocenza, anche il suo opposto – il Cigno Nero – un’ambiziosa ballerina è costretta a fare i conti col suo lato più oscuro ed ossessivo. Thriller psicologico a tinte forti, inutilmente compiaciuto ed esibizionista. Nonostante Natalie Portman fornisca una prova straordinaria, il film si perde nella ricerca dell’eccesso facile e nella presenza di qualche clichè di troppo, finendo per diventare largamente prevedibile e non aggiungere nulla di nuovo alla sterminata filmografia esistente sul tema del doppio. Rabbit Hole di John Cameron Mitchell: La crisi di una coppia a seguito della morte del loro figlioletto di 4 anni in un incidente d’auto. Un film che descrive con grande misura, senza mai scadere nel patetismo, i differenti tentativi dei due di elaborare il dolore e ritrovare un senso alla propria esistenza. Un tema certo non originale per una pellicola che paga l’impianto teatrale e che va avanti senza particolari colpi d’ala, pur consentendo a Nicole Kidman di cucirsi addosso una delle interpretazioni più riuscite della sua carriera.

12 candidature per il primo film, 5 per il secondo e 4 [ma non quella per il miglior film] per il terzo. Si tratta di lavori – specie gli ultimi due – non altrettanto convincenti di The Social Network, ammirato qualche mese fa ed in gara con 8 nomination. Lo stesso numero di Inception, a cui vanno le mie preferenze e che personalmente trovo sia l’unico – tra i dieci film candidati che ho visto – ad avere la statura dell’autentico capolavoro.