L’arroganza di Renzi
Oltre
Con una minoranza
«Stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c’è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un’isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone.» Cito Nanni Moretti per descrivere la mia posizione rispetto al desolante panorama politico italiano. La stragrande maggioranza degli Italiani fra meno di un mese voterà per 3 partiti che sento lontani.
Su Forza Italia, fondata vent’anni fa a Palermo da un pregiudicato e da un latitante, ho già scritto decine di post. L’ottuagenario berlusconi, ridotto ormai alla parodia di se stesso, continua pur ai servizi sociali la propria personale battaglia contraria al senso dello Stato, al rispetto delle Istituzioni e al principio di legalità, non lesinando – come da consumato copione – gaffes di caratura internazionale, attacchi al Presidente della Repubblica che non gli ha concesso la grazia e ai magistrati rei di un vero e proprio colpo di Stato. E se il ducetto di Arcore ha sempre anteposto i propri interessi a quelli del Paese, il Reverendo Grillo gli interessi del Paese li vuole demolire. Leader non di una forza politica, ma di un’autentica setta religiosa in cui nessuno può osare criticare il suo pensiero, il profeta del vaffanculo è – ancor più di berlusconi – l’espressione più antidemocratica dell’orizzonte politico di casa nostra. Il Partito Democratico ha certamente serietà, tradizioni e valori che non si possono comparare con quelle di FI o del M5S, ma la sua nuova leadership non mi convince affatto. Lo stile comunicativo di Renzi, sempre molto attento a cavalcare i mass media con slogan ad effetto puntualmente disattesi dai fatti, deve moltissimo alla “lezione” berlusconiana sul modo di sedurre gli elettori. Dopo gli ultimi vent’anni, solo un uomo capace di imitare il Cavaliere poteva ottenere un consenso così trasversale (secondo un sondaggio del Corsera, tra coloro che l’anno scorso avevano votato il Pdl, ben il 7% intenderebbe passare al Pd). Io ancora una volta mi allontanerò dalla maggioranza dei miei connazionali e voterò per la Lista Tsipras. Curzio Maltese, persona stimabile ed ottimo giornalista, è il capolista per il collegio del Nord Ovest. Darò a lui la mia fiducia.
Dialogare o eliminare?
I diversi milioni che hanno votato Grillo nel febbraio 2013 lo hanno fatto per la spinta al cambiamento tanto sbandierata durante la campagna elettorale dei 5 stelle. Oggi, dopo un anno di Parlamento, qualche consuntivo è possibile farlo. Con la politica del “noi contro tutti” il Movimento non ha prodotto alcun reale cambiamento. Le consultazioni con Renzi sono emblematiche. Chi ha votato perchè Grillo si recasse a Roma lo ha fatto perchè il leader dei 5 Stelle mettesse in campo la proposta del Movimento, la confrontasse con quella del premier incaricato, con l’obiettivo di metterne in evidenza i limiti o le contraddizioni. Insomma: facesse politica. Invece tutto si è risolto in uno show inutile e banalotto, con la prevedibile appendice del processo ai senatori pentastellati che hanno osato manifestare perplessita’ circa il metodo usato dal proprio “portavoce” nel corso di tale confronto.
Grillo si rifiuta di riformare la democrazia, di concordare una soluzione alla crisi, di partecipare a traghettare l’Italia fuori dall’emergenza, perchè sostiene che la priorità sia abbattere il sistema. «Governeremo sulle macerie» è solito affermare. «A me non interessa dialogare democraticamente con un sistema che voglio eliminare» ha sentenziato due giorni fa. Vale la pena ricordare che in Italia le forme storiche di antiparlamentarismo che intendevano eliminare la democrazia si sono trasformati in governi autoritari? Occorre davvero rimarcare che il cambiamento di cui questo Paese ha necessità deve condursi dentro le istituzioni e tramite la politica, e non attraverso la ricerca dello sfascio?
L’errore più grande
Philip Seymour Hoffman
Philip Seymour Hoffman era uno dei migliori attori americani, forse il più grande della sua generazione. Capace di impreziosire con la sola presenza tutti i film a cui prendeva parte, anche quelli meno riusciti. Non c’è stato genere o ruolo che non sia riuscito a sostenere con straordinaria versatilità, dando prova al tempo stesso di metodo rigoroso e di sorprendente naturalezza. Non una star quindi, che finisce col riproporre se stessa all’infinito, ma un formidabile interprete, in grado di reinventarsi ogni volta e perdersi fra le pieghe del proprio personaggio.
Un talento fuori dal comune che però non lo ha salvato da una debolezza personale che lo ha condotto alla morte all’età di 46 anni. Disse una volta: «Per me recitare è talmente difficile che, a meno che io non abbia la percezione che il lavoro sia di una certa statura, a meno che io non raggiunga le aspettative che ho di me stesso, sono infelice. E allora, è una miserabile esistenza. Io metto un pezzo di me là fuori. Se questo non ha nessun effetto, provo una grande vergogna». Un’affermazione che forse può chiarire perchè con apparentemente così tanto per lui, niente sia stato sufficiente a tenerlo ancorato a questo mondo. Alcuni grandi artisti traggono la loro creatività da un luogo di fragilità e sofferenza che poi è lo stesso da dove provengono i propri demoni e i propri fantasmi. Un male di vivere da cui non ci si può separare.
La buffonata dell’impeachment
Un passo avanti… ed uno indietro
La Lega e la negritudine
«Il giornale della Lega additerà quotidianamente gli appuntamenti pubblici della ministra Kyenge, accusata dai pensatori fosforici del movimento di “favorire la negritudine“. Probabile che si tratti di una forma di istigazione. Di sicuro ha tutta l’aria di una sciocchezza. L’ennesima. La Lega rappresenta la prova plastica di come l’assenza di cultura possa distruggere un’intuizione a suo modo geniale, quale fu trent’anni fa quella di dare voce ai ceti tartassati del Nord. In mano a una classe dirigente preparata o appena normale, l’idea avrebbe attirato le migliori energie del lavoro e dell’università per costruire un federalismo fiscale moderno. Con i Bossi, i Borghezio, gli Speroni e adesso i Salvini si è invece scelta la strada becera, antistorica e per fortuna minoritaria del razzismo secessionista. Gli attacchi a Roma ladrona si sono illanguiditi con l’aumentare dei privilegi e dei denari pubblici, in un tourbillon di mutande verdi e lauree prepagate. Sono rimasti in piedi soltanto i simboli grotteschi e i luoghi comuni. L’odio per l’euro, i terun, i negher, la diversità e la complessità di un mondo nuovo che non si lascia esplorare dalle scorciatoie del pensiero».
Così Gramellini sull’ultima provocazione di stampo xenofobo del Carroccio, protagonista di una vera e propria ossessione per Cecile Kyenge, non riuscendo evidentemente a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. L’ennesima mossa diretta agli istinti più bassi e rozzi della società, parte di una propaganda sguaiata che mira a nascondere il vuoto di contenuti della Lega, in caduta libera di consensi a causa dei tanti scandali che l’hanno colpita. Ultima in ordine di tempo la vicenda riguardante la lista “Pensionati per Cota” inficiata da firme false, che ha portato il TAR del Piemonte ad annullare le elezioni regionali del 2010. Una decisione contro la quale Salvini ha ovviamente già gridato al golpe e alla magistratura bolscevica, secondo il collaudato andazzo ormai di moda presso i leader dei partiti di centrodestra.