Nella Prima Repubblica esistevano le ideologie. La politica proponeva idee contrapposte che stavano alla base di uno scontro d’opinione che, per quanto aspro, si manteneva nell’ambito del rispetto e della legittimazione reciproca. La Seconda Repubblica invece si fonda su una grande mistificazione, che è evidente a partire dal “primo discorso” di berlusconi nel gennaio del 1994: «I principi in cui noi crediamo non sono principi astrusi, non sono ideologie complicate; no, sono i valori fondamentali di tutte le grandi democrazie occidentali. Noi crediamo nella libertà, in tutte le sue forme, molteplici e vitali: libertà di pensiero e di opinione, libertà di espressione, libertà di culto, di tutti i culti, libertà di associazione; crediamo nella libertà di impresa, nella libertà di mercato, regolata da norme certe, chiare e uguali per tutti. […] C’è un pericolo per il Paese. Io credo che questa decisione noi, tutti noi, l’abbiamo assunta certo guardando ai pericoli che si venivano profilando, ma la ragione forse ci avrebbe invitato a continuare a preoccuparci del nostro particolare, della nostra famiglia, delle nostre aziende, del nostro mestiere, delle nostre professioni. Abbiamo deciso invece di dare una risposta diversa, perché abbiamo sentito che si profilava un pericolo: la possibilità che il nostro Paese fosse governato da una minoranza, da una minoranza che conosciamo bene, che ci avrebbe inflitto un futuro soffocante e illiberale». Le ideologie non esistono più. Esiste solo la libertà, messa in discussione da una parte del Paese. Si scende in politica non tanto per proprio senso civico [la politica è fatica: meglio sarebbe restare a casa o a lavoro], quanto piuttosto per fronteggiare un nemico illiberale. E’ la battaglia del bene contro il male, che non prevede un confronto fra idee politiche differenti, ma una deligittimazione di chi la pensa diversamente, fin da subito rappresentato come un nemico da abbattere. Con questa sorta di “chiamata alle armi” berlusconi maschera i reali motivi che lo hanno portato a fondare “Forza Italia”. E’ questo il peccato originale da cui ne derivano molti altri, che insieme hanno poi condotto il nostro Paese, nel corso di questi ultimi 15 anni, alle drammatiche condizioni di oggi. «L’Italia è in preda alla paralisi. Bisogna ritrovare senso della dignità e del rispetto delle istituzioni» ha dichiarato Emma Marcegaglia solo due giorni fa.
Quelle parole del 1994 costituiscono il brodo di coltura che ha sostanzialmente spaccato il Paese su un piano culturale molto prima che politico. Da una parte chi ha da subito riconosciuto e sconfessato la mistificazione berlusconiana, e dall’altra coloro che si sono lasciati ingannare o che – nella peggiore delle ipotesi – pur avendo smascherato il gioco del Cavaliere si sono identificati nella sua figura. Come del resto scrivono in queste ore sia Beppe Grillo nel suo blog: «In un qualunque altro Stato occidentale sarebbe stato condannato per Mills, non avrebbe il monopolio televisivo, sarebbe stato fatto a pezzi dalla pubblica opinione per la sua frequentazione con dei mafiosi come Mangano o condannati in secondo grado come Dell’Utri. In nessuno Stato, neppure in Libia o in Russia, sarebbe potuto diventare presidente del Consiglio. Solo l’Italia poteva permettersi uno come lo psiconano. E’ lo specchio di una parte del Paese che vorrebbe trombarsi le minorenni (e se le tromba), vorrebbe evadere il fisco (e lo evade), vorrebbe violare le leggi (e le viola)», sia Eugenio Scalfari su Repubblica: «Berlusconi possiede l’indubbia e perversa capacità di aver evocato gli istinti peggiori del paese. I vizi latenti sono emersi in superficie ed hanno inquinato l’intera società nazionale ricacciando nel fondo la nostra parte migliore. È stato messo in moto un vero e proprio processo di diseducazione di massa che dura da trent’anni avvalendosi delle moderne tecnologie della comunicazione e deturpando la mentalità delle persone e il funzionamento delle istituzioni».