Magic in the Moonlight
Al centro della storia di questo nuovo lavoro di Woody Allen c’è un prestigiatore di fama internazionale chiamato da un amico e collega a smascherare una sedicente medium. Ancora una volta la trama serve solo da pretesto al regista newyorchese per mettere in scena se stesso. E’ facilissimo infatti trovare nei panni del personaggio interpretato da Colin Firth gli aspetti più tipicamente alleniani. Siamo di nuovo dalle parti di un artista affermato, ma depresso e disincantato nei confronti della vita. Razionale fino al cinismo, brillante ancorchè misantropo, che si imbatte nel’amore di una donna molto più giovane di lui. Lo sviluppo della storia è prevedibile. La sceneggiatura è priva di guizzi, le battute fulminanti latitano e i due protagonisti non raggiunguno mai un alto livello di empatia con il pubblico.
Il tema è quello trattato – in modo migliore – già molte altre volte: «l’uomo ha bisogno di illusioni come dell’aria che respira». Sono infatti coloro che accettano di vivere nell’illusione, gli unici capaci di godersi l’esistenza anche solo per un istante. La vita è miseria e solitudine, ma se si cede al sogno, alla magia, alla speranza, allora si può persino trovare la felicità. La conclusione è quella di sempre: l’amore – anche se è un sentimento effimero – resta in cima alla famosa lista di cose per cui vale la pena vivere. In fondo non importa se sia vero oppure no, quel che conta è “che funzioni”. Un Allen sicuramente minore, anche se – vale la pena ricordarlo – comunque al di sopra di tanti film di plastica, superficiali e fracassoni, di cui sono piene oggigiorno le sale cinematografiche.