Più di una consonante
Grillo ha sempre sostenuto che tutti i partiti sono uguali. L’unica differenza fra il pd e il pdmenoelle – come li definisce lui – sta in una consonante che in un caso c’è e nell’altro manca. Se ne consegue che Grasso e Schifani siano due figure perfettamente sovrapponibili e che la storia personale del ex procuratore antimafia sia assimilabile a quella del vecchio avvocato di berlusconi, accusato – detto per inciso – di concorso esterno in associazione mafiosa. Fortunatamente ieri qualcuno fra i suoi senatori non deve averla pensata allo stesso modo e così – contravvenendo all’ordine di scuderia – ha dato il proprio voto al candidato del PD, provocando una spaccatura all’interno del Movimento e una scomposta reazione da parte del santone del vaffanculo.
Ancora una volta Grillo ha attaccato le fondamenta della democrazia parlamentare, affermando che «nella votazione di oggi per la presidenza del Senato è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso» e spingendosi di fatto a chiedere le dimissioni dei disobbedienti. Negli ordini liberali l’eletto non è un automa teleguidato, nè un semplice mandatario dei propri elettori. Secondo la nostra Costituzione, esercita le sue funzioni senza alcun vincolo, in piena libertà. Ma evidentemente questo aspetto costituisce solo un intralcio per chi vorrebbe che il proprio movimento fosse un esercito di marionette. In questi ultimi giorni però, prima presso l’elettorato pentastellato – che in maggioranza chiede un’assunzione di responsabilità nei confronti di un governo del centrosinistra – e poi anche fra alcuni eletti, sta facendosi largo un idea più democratica di quella del proprio padre padrone. Un’idea che preveda che si possa votare secondo la propria coscienza e non sulla base di direttive, o chiedendo il permesso a dei capi bastone. Un’idea che contempli persino la possibilità che fra pd e pdmenoelle ci sia ben più di una consonante di differenza.