Romanzo di una strage
«Il vero senso del film è il suo tentativo di spiegare ai ragazzi d’oggi cos’è stato quel tempo e quell’età, ma non mi sorprendo che chi l’abbia vissuta possa criticarlo. Me l’aspetto, l’ho messo in conto». Così Marco Tullio Giordana sulle polemiche che – come ormai accade a qualsiasi film sugli Anni di Piombo, o che più genericamente si occupi della storia contemporanea di questo Paese – hanno accompagnato Romanzo di una Strage. Il nuovo lavoro del regista di I Cento Passi e La Meglio Gioventù racconta gli oscuri retroscena dell’attentato di Piazza Fontana del 1969, uno dei più tragici ed ancora insoluti avvenimenti che l’Italia abbia dovuto affrontare e che è costato la vita a 17 persone.
Limitandosi ad analizzare gli aspetti eminentemente filmici ed accantonando quelli attinenti alla ricostruzione dei fatti [contestata da diversi protagonisti della vicenda, fra cui il giudice D’ambrosio], la cui veridicità va comunque pretesa da ben altre sedi, Romanzo di una Strage è una scommessa vinta. La pellicola convince ed avvince lo spettatore, forte del provato mestiere del regista e della bravura del cast, su cui spiccano Pierfrancesco Favino nei panni dell’anarchico Pinelli, Valerio Mastrandea in quelli del commissario Calabresi e Fabrizio Gifuni in quelli dell’allora Ministro degli Esteri, Aldo Moro. Un film sicuramente complesso, perchè complesse e torbide sono le vicende che narra, legate alle indagini della Questura di Milano, inizialmente convinta della matrice anarchica della strage, che poi però dovrà fare i conti – fra mille ostacoli, coperture e depistaggi – con un insieme di indizi che porta ad una cospirazione fra neonazisti veneti e settori deviati dei servizi segreti. Si tratta comunque di un lavoro che – dato l’assunto iniziale – svolge ottimamente l’importante compito didattico che si era prefisso.