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Categoria: calabresi

La corsa del coniglio

La corsa del coniglio

Massimo Giannini su La Repubblica: «La responsabilità primaria pesa tutta sull’ex segretario. Toccava a lui, non da oggi, farsi carico di tenere unita quella “comunità di senso e di destino” che dovrebbe ma non è mai riuscito ad essere il Pd. Toccava a lui, anche solo per un giorno, mettere da parte le ragioni e i torti dei due schieramenti, e indicare una via d’uscita condivisa. E invece, ancora una volta, Renzi non è riuscito ad andare oltre se stesso. Non ha saputo o non ha voluto aprire spiragli, rimettendo in discussione la sua road map “da combattimento” e i suoi tre anni di governo. Ha riproposto il solito linguaggio conflittuale (dalla “sfida” ai “ricatti”) e il solito schema concorrenziale (“Se siete capaci, sconfiggetemi al congresso”). Soprattutto, non ha fugato l’atroce sospetto rivelato dal “fuorionda” di Delrio: “I renziani pensano che la scissione convenga, perché così diminuiscono le poltrone da distribuire…”. La vera posta in gioco può essere il potere, e non l’identità?». Così invece il direttore Mario Calabresi: «Un compromesso alto è possibile se i contendenti faranno un passo indietro. In questo senso la prima responsabilità dovrebbe averla Matteo Renzi. Spetta prima di tutto a lui il compito di tenere unito il suo partito, lui deve farsi carico delle esigenze di un grande movimento in cui devono coesistere sensibilità diverse. È lui che deve avere l’elasticità di rappresentare le diverse culture presenti nel Pd. È il segretario del partito che ha l’onere di trovare in prima istanza una soluzione che rimetta i democratici in condizione di essere vincenti e un punto di riferimento culturale e sociale per il Paese».

Entrambi gli articoli continuano addossando alla minoranza dem una parte di responsabilità su quanto sta succedendo. E’ evidente che quando si giunge ad una separazione la colpa non è mai tutta di una sola parte, ma è altrettanto evidente che Renzi sia stato il peggior segretario che il PD potesse mai avere. Dopo aver dilaniato il Paese sul tema della Costituzione, la sua leadership – da sempre contraddistinta da un sistematico disprezzo per il dissenso interno e da una particolare passione per le ambizioni personali piuttosto che per gli interessi della propria comunità – divide oggi il partito.  Oltre che divisivo però il segretario è andato gradualmente definendosi anche come un gigantesco equivoco ed uno straordinario bluff. Un equivoco perchè si è pensato che anche il PD, così come FI o il M5S,  avesse bisogno per vincere di un capo che seguisse la logica cesarista e del pensiero unico, che fosse prima di tutto seduttore televisivo, con la battuta pronta e lo slogan populista facile. Dimenticando però che il segretario di un partito che ha fatto del pluralismo il suo tratto distintivo deve prima di ogni altra cosa saper ascoltare, mediare e convincere, tutte qualità che Renzi non ha mai dimostrato di possedere. Un bluff perchè Renzi ha perso su tutti i fronti: non è riuscito ad accreditarsi presso l’elettorato di destra a cui ha sempre puntato, non è riuscito a svuotare il consenso dei Cinque Stelle, non è riuscito nel suo programma di riforme e, in ultimo, non è riuscito a tenere insieme il suo partito.  Aggredendo gli esponenti del PD critici verso la sua linea politica sempre lontana dalle istanze della Sinistra, molto più che i tradizionali avversari esterni, come Grillo, Salvini e Berlusconi, Renzi ha instaurato dentro il partito un clima di progressivo livore e  logoramento  che ha avuto come logica conseguenza quanto sta succedendo in questi giorni. Renzi sarà ricordato come l’uomo che ha stravolto la natura ed i valori fondanti del Partito Democratico, finendo per frantumarlo. Il dubbio, però, è che su quella macchina lanciata in corsa verso lo strapiombo non ci sia soltanto un partito politico, ma tutta l’Italia.

La post-verità secondo Grillo

La post-verità secondo Grillo

Post-verità è la parola dell’anno secondo l’Oxford dictionary. L’utilizzo di questo termine è cresciuto del duemila per cento nel 2016 rispetto all’anno precedente, in virtù sopratutto della campagna referendaria inglese per l’uscita dall’UE e delle elezioni americane vinte da Trump. In entrambi i casi infatti notizie completamente false, spacciate per autentiche, sono state in grado di influenzare una parte dell’opinione pubblica e spostare di conseguenza il voto. Al di là delle veridicità, cio che conta quando si parla di post-truth è la capacità – come sostiene l’Oxford Dictionary – di catturare l’attuale spirito del tempo e di possedere il potenziale per restare culturalmente significativa nel lungo periodo. Il fenomeno, certo non nuovo, conosce oggi nella Rete il veicolo più capillare ed interessato, visto che chi diffonde bufale sul Web lo fa molto spesso per raccattare milioni di clic e di conseguenza gonfiare il proprio portafoglio.

La proposta di Grillo di istituire una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media, colpevoli – a suo dire – di offrire una visione distorta dell’azione politica del Movimento, sfrutta questo contesto per provare ad uscire da una situazione sempre più sfavorevole e di difficile gestione che lo vede coinvolto a Roma, ma non solo. E’ quindi certamente una strategia controffensiva, ma si tratta anche del riflesso di ciò che Grillo ha in mente debba essere la libera informazione: prona ed acritica verso il potere. Mario Calabresi oggi su La Repubblica risponde in modo molto lucido alla becera provocazione dell’ex comico: «Sarebbe sbagliato orchestrare una difesa d’ufficio del giornalismo italiano, senza dubbio non esente da pecche e peccati, ma nel dibattito sui falsi che circolano in rete non siamo noi i colpevoli. La prima responsabilità ricade infatti su chi da anni predica l’inutilità di esperienza e competenza, per cui chiunque può concionare su vaccini, scie chimiche, chemioterapia o cellule staminali con la pretesa di avere in tasca una verità popolare, da nulla suffragata se non da un sentimento di massa. (…) A noi, però, preoccupa di più il danno che la propaganda grillina arreca al tessuto sociale, alla fiducia nell’informazione e il farsi strada dell’idea che il giornalismo sia establishment a cui contrapporre il popolo. Il nostro popolo è la comunità dei lettori, che è anche il nostro unico giudice. Il suo verdetto lo emette ogni mattina, decidendo se leggerci o no».