Il linguaggio è politica
Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità
Sono almeno tre le notizie che più di altre hanno guadagnato le prime pagine dei giornali in questi ultimi giorni. Prima di tutto la vicenda della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov espulse brutalmente dall’Italia e riconsegnate al sanguinario dittatore kazako, amico di berlusconi, senza che per adesso siano stati individuati tutti i livelli di responsabilità tecnica e politica, in primis quella del Ministro dell’Interno Alfano. Secondariamente il pesante insulto che Roberto Calderoli ha lanciato nei riguardi di Cecile Kyenge, paragonata ad un orango durante un comizio! Insulto che – se mai ce ne fosse bisogno – dimostra ancora una volta tutto il carico di rozzezza e razzismo degli esponenti del Carroccio. Quella per il ministro dell’integrazione è una vera ossessione della Lega che evidentemente non riesce a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. Infatti il vicepresidente del Senato arriva da buon ultimo dopo una bella lista di frasi inaccettabili che vanno dai rimandi al Congo, all’evocazione del bonga-bonga e all’incitamento allo stupro.
Infine il disegno di legge presentato dal PD che mira a superare la legge del 1957 che stabilisce che i titolari di una concessione pubblica e i rappresentanti legali di una società che fa affari con lo Stato non possono essere eletti. Il testo, sottoscritto da Luigi Zanda, capogruppo dei democratici al Senato, insieme ad altri 24 firmatari, sostituisce il principio di ineleggibilità con quello più blando di incompatibilità, consentendo a berlusconi di mantenere la carica di senatore [eventuali condanne a parte], a patto di rinunciare entro un anno al controllo sulle sue aziende. Un ddl che definire inopportuno è un eufemismo e che è stato accolto in modo controverso all’interno dello stesso PD. «Se l’intenzione è quella di tentare una forma compromissoria per mantenere inalterati gli equilibri politici nazionali, allora io metto in guardia: non verrebbe compreso dalla maggior parte dei nostri elettori, per non dire da tutti», afferma Laura Puppato. Ironico poi Pippo Civati: «Non si sono resi conto che questa è la prima dichiarazione del PD in cui si dice chiaro e tondo che Berlusconi è ineleggibile».
La rumba
E’ stata fissata per il prossimo 30 luglio la data dell’udienza in Cassazione per la discussione del ricorso presentato dalla difesa berlusconi contro la condanna in secondo grado per il caso Mediaset. Il Cavaliere è stato condannato a 4 anni di reclusione (di cui tre indultati) e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale. Così su Repubblica.it in merito alla vicenda: «L’altro giorno il ministro Dario Franceschini ha detto che il collante dell’antiberlusconismo è finito, e che il Pd avrebbe dovuto ritrovare le ragioni del suo stare insieme, quand’ecco che il fantasma di Berlusconi riappare, a porre a ciascuno dei senatori democratici la fatale domanda: tu con chi stai? Dopo il 30 luglio, in caso di condanna e d’interdizione dei pubblici uffici, il Senato dovrà decidere a voto segreto se confermare o negare la decadenza da parlamentare di Berlusconi. Se lo salvano, salta il Pd; se fanno la cosa più ovvia, fatta sin qui in sessantacinque di storia repubblicana – ovvero ottemperare a una sentenza definitiva letta dai giudici in nome del popolo italiano – allora si sfasciano le larghe intese. E’ subito partita la solita rumba dei falchi e dei falchetti di Silvio, che minacciano perfino l’Aventino pur di concedere un salvacondotto al Capo, e le cui gridano echeggiano nel Paese sfinito dalla crisi, dove ogni italiano si chiede con angoscia fino a quando ancora avrà il suo posto di lavoro, e chi non ce l’ha più non sa dove sbattere la testa. Il Pd, aggrumatosi nella strana maggioranza, pacificato, si era illuso di poter archiviare l’anti-berlusconismo; invece alla fine riemerge sempre con tutto il suo carico di anomalie, come succede ormai da vent’anni: a interrogarlo, a interrogarci tutti».
Un assaggio di quanto potrebbe succedere si è già avuto nel pomeriggio di oggi, quando il PdL ha minacciato la crisi e ha imposto al suo alleato di governo il blocco dei lavori parlamentari per un giorno, per protesta contro il partito dei giudici che vuole “giustiziare” il Cavaliere. La resa di fronte al diktat berlusconiano, che ha spinto il PD ad «avallare atteggiamenti di eversione istituzionale» [come affermato da Rosy Bindi] dà la misura esatta dell’inettitudine dei democratici.
Caccia ai caccia
«Ovviamente sono d’accordo con i colleghi che la rifiutano in toto, perché si tratta di un fatto di estrema gravità, rispetto al quale il Presidente della Repubblica e, soprattutto, la Presidente della Camera dovrebbero riaffermare la sovranità del Parlamento. Immediatamente». Così Pippo Civati a proposito della decisione presa al termine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa, tenutasi al Quirinale e presieduta dal capo dello Stato, secondo la quale il Parlamento non può porre veti al Governo sull’adozione di provvedimenti riguardanti l’ammodernamento delle forze armate.
La disposizione si riferisce alla mozione parlamentare, approvata lo scorso 26 giugno, che impegna il Governo a non procedere a “nuove acquisizioni” nell’ambito del programma di acquisto degli F35 senza che il Parlamento si sia espresso dopo un’indagine conoscitiva di sei mesi. Si riaccende la polemica sull’acquisto dei caccia americani, che comporterebbe una spesa di circa 15 miliardi di euro. Un esborso difficilmente giustificabile in un periodo di grave crisi economica come il nostro, per far fronte al quale – peraltro – viene chiesto ai cittadini ogni genere di sacrificio. Per questo motivo SeL, insieme al M5S ed una pattuglia di deputati del PD, aveva presentato una mozione di sospensione dell’acquisto dei caccia che è stata bocciata. Il primo firmatario della mozione, il deputato di SeL Giulio Marcon, aveva dichiarato: «Il programma F35 non serve alle persone che sono senza lavoro, ai lavoratori precari, alle famiglie impoverite, ai giovani. E non serve nemmeno ad una politica estera di pace, come vuole l’articolo 11 della nostra Costituzione. Spendere tanti miliardi di euro per dei cacciabombardieri, mentre invece non abbiamo i i soldi per bloccare l’aumento dell’IVA e sufficienti risorse per il lavoro, è uno schiaffo all’Italia, alle sue sofferenze». Il PD, dopo che con Bersani aveva sostenuto in campagna elettorale di voler tagliare le spese per gli F35, oggi si ritrova spaccato fra chi vorrebbe dar seguito alle promesse fatte ed un fronte governista, dove ad esempio Francesco Boccia afferma: «La storia degli F35 è assurda e per me delinea l’identità del Pd. Io sono favorevole. Creano posti di lavoro e danno valore all’eccellenza tecnologica».
Una condanna esemplare
«I sette anni di condanna inflitti a Berlusconi nel primo grado del processo Ruby -uno in più di quanto richiesto dalla pubblica accusa- sarebbero toccati a chiunque altro avesse tenuto simili comportamenti e avesse cercato di avvolgerli in una nuvola di menzogne prendendo in giro il Parlamento e i Tribunali della Repubblica. L’interdizione a vita dai pubblici uffici di un uomo che cerca il sesso a pagamento con delle minorenni, appare a sua volta un provvedimento minimale di precauzione della collettività. Di fronte a una mole schiacciante di riscontri e di prove documentali, Berlusconi ha come al solito opposto la sfacciataggine con cui si dichiara perseguitato. Ma il processo Ruby chiarisce, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la sua assoluta incompatibilità con incarichi da uomo di Stato. Un evasore fiscale puttaniere è meglio che giri al largo dalle istituzioni». Così Gad Lerner sul suo blog.
Spiace non ritrovare lo stesso provvedimento di precauzione della collettività nè in Grillo che, al di là dei proclami di facciata, ha portato berlusconi nuovamente al centro della scena politica, nè tantomeno in Letta che, da una parte ha indotto il ministro Idem alle dimissioni dopo le polemiche sull’Imu non pagata, mentre dall’altra ha addirittura spianato la strada all’ex premier per la riforma costituzionale! Non resta che sperare che questa sentenza esemplare, che colpisce il Caimano per entrambi i reati di cui era imputato: concussione e prostituzione minorile, dia finalmente la misura politica di un personaggio che tutto deve continuare ad essere tranne che un uomo di governo intento a revisionare la massima legge dello Stato.
Setta Pentastellata
Uno vale zero
Una senatrice pentastellata individua in Grillo la ragione del crollo elettorale del loro movimento e rilascia questa dichiarazione: «Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo, i suoi post minacciosi soprattutto quelli contro il Parlamento. Mi chiedo come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più». Per il profeta del vaffanculo è un evidentissimo ed intollerabile caso di lesa maestà. Sul suo blog promuove immediatamente un referendum su di sè, che altro non è che un invito mascherato al linciaggio della parlamentare ribelle. Si titilla l’ego con le centinaia di commenti che lo glorificano e gode delle offese all’ennesima, disgraziatissima, traditrice. Infine convoca l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del Movimento, per valutare la proposta di espulsione della senatrice, da sottoporre successivamente alla pubblica gogna della rete! (sic).
Persino berlusconi, prima di mettere alla porta Fini, aspettò parecchi mesi, lasciando che l’ex Presidente della Camera ribadisse le sue posizioni critiche sulla politica del Pdl più e più volte. Viceversa in questo caso [che non è certo il primo] sono sufficienti due righe, espressione di un pensiero non allineato con quello imposto dall’autocrate genovese, perchè chi le ha pronunziate sia fatto oggetto di un processo di scomunica. Ancora una volta Grillo dimostra una scarsissima confidenza col concetto di democrazia. Quella stessa democrazia che il filosofo Norberto Bobbio aveva messo in diretta relazione col diritto al dissenso. Un vero leader questo lo sa perfettamente. Ma Grillo non è un leader. E’ solo un guru capriccioso e demagogo, un capocomico insicuro e volgare, che ha messo in piedi un movimento politico che vorrebbe trasformare in una setta, composta esclusivamente da adepti docili ed obbedienti.
Il Centrosinistra fa il pieno
Sono due i dati politici che emergono da queste amministrative. Il primo è che il centrosinistra vince ovunque, strappando alla destra, oltre che Roma, anche storiche roccaforti come Imperia, Brescia e Treviso. Si impone un’alleanza incentrata su un partito, il PD, che è rimasto l’unico a vantare una struttura democratica, distribuita e radicata sul territorio. Perdono i partiti e i movimenti padronali, come il PdL ed il M5S, che poggiano unicamente sul carisma del proprio leader e sono incapaci di produrre dei candidati forti e credibili a livello locale. E’ un dato che fotografa, come ha affermato Vendola, l’affermazione di una coalizione che puo’ e deve liberare l’Italia dal berlusconismo e dalla cattiva politica.
L’altro elemento di riflessione è la diffusa protesta, che però – differentemente da quanto successo solo tre mesi fa – prende le distanze dai Cinque Stelle e si rifugia nell’astensionismo. Il Movimento di Grillo infatti non riesce più a mobilitare e smuovere la grande massa dei delusi, continuando la disfatta evidenziatasi due settimane fa e andando a perdere quasi dappertutto in Sicilia [che è andata al voto in ritardo di 15 giorni], con percentuali lontanissime sia dalle elezioni politiche di febbraio che da quelle regionali di ottobre. Da Messina a Siracusa, fino a Catania i grillini non vanno al di là di un misero 4% e restano in corsa per il ballottaggio soltanto a Ragusa.