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10 anni della nostra vita

10 anni della nostra vita

A fine mese si chiudera’ un decennio infernale. Lo scrive il settimanale Time, dedicando la copertina alla fine della prima decade del nuovo secolo, una delle peggiori della storia contemporanea: «Chiamatelo il decennio infernale o della resa dei conti o dei sogni infranti o il decennio perduto. Chiamatelo come volete, ma siate grati che è quasi finito».

E’ stato un decennio breve e febbrile. A fronte di una straordinaria accelerazione tecnologica in tutti settori – comunicazioni e web in testa – il mondo si è dibattuto con vecchi e nuovi spaventosi problemi. Ci si è affacciati al nuovo millennio pensando di concederci il lusso dell’ottimismo, ma questa speranza è andata seppellita insieme alle macerie di Ground Zero e alle devastazioni che ne sono seguite: le guerre in Afghanistan e in Iraq, il terrorismo, lo scontro di civiltà, la precarietà economica. Vittorio Lingiardi, professore alla Sapienza, lo ha definito «Il decennio dell’impotenza: grandi mezzi per conoscere e pochi per cambiare». L’Europa, pur adottando una moneta unica ed allargando i propri confini ai paesi provenienti dall’ex blocco sovietico, si è trovata a fronteggiare forti spinte localiste, tese ad allontanare le popolazioni più deboli. I tragici fatti del G8 di Genova hanno rappresentato l’espressione delle mutate condizioni socioeconomiche, in cui i ricchi sono sempre più ricchi e gli altri sempre più poveri. Così una nuova generazione di migranti è approdota nel Vecchio Continente con la speranza di evitare una morte per fame, malattia o guerra, in un contesto di globalizzazione che per adesso non è stato in grado di condurre ad un reale confronto e ad una effettiva condivisione di risorse e conoscenze. Anche lo Tsunami che ha colpito l’Oceano Indiano non ha fatto che rimarcare le responsabilità del mondo occidentale ipersviluppato nei confronti delle zone più povere del pianeta, dove un evento naturale finisce obbligatoriamente per assumere i contorni di un’immane tragedia e dove la solidarietà non si traduce mai in fratellanza od unione. Quanto alla politica, come ha precisato Carlo Bernardini, anch’egli docente alla Sapienza, «Il primo decennio del Duemila è nato dalle menzogne: tutti hanno mentito, Bush, Blair, i manager di Wall Street. La falsità sembra lo strumento politico principe». Una situazione che ha consentito agli stati più industrializzati di appiattirsi su logiche consumistiche ed imperialistiche, facendogli così perdere di vista l’estrema importanza e l’improrogabile urgenza di avviare politiche durature, allo scopo di garantire una redistribuzione del benessere sociale e delle risorse economiche su scala planetaria.

Il pensiero unico

Il pensiero unico

W.” è un film incolore, almeno quanto la figura di George Bush. Un presidente inadeguato, privo di ideali, se non quelli religiosi inculcategli da un pastore protestante. Ma non è della pellicola in sè che voglio parlare, quanto piuttosto del fatto che in Italia il film di Oliver Stone non abbia goduto di una regolare distribuzione in sala e che, di conseguenza, sia stato trasmesso direttamente in televisione, su La7, due settimane fa.
 
Già lo scorso ottobre vi erano state delle polemiche quando la Festa del Cinema di Roma aveva deciso di non programmare “W.” I responsabili della produzione avevano allora affermato:  «Eravamo in trattativa con la manifestazione di Roma, ma la cosa è stata un po’ strana perchè a un certo punto gli organizzatori ci hanno detto che il Primo Ministro italiano, Silvio Berlusconi, è un gran sostenitore del Presidente Bush e quindi non avrebbe gradito che un film come quello di Stone aprisse il festival». Il film è uscito nelle sale americane lo scorso ottobre, incassando un totale di circa 26 milioni di dollari. Certo non un incasso eccezionale, ma sicuramente dignitoso, in grado di rassicurare i distributori italiani, specie se si considera che sul nostro territorio sono stati fatti circolare film che alla prova dei botteghini americani si erano comportati molto peggio, e che Oliver Stone è comunque un regista che anche da noi ha uno zoccolo duro di estimatori. Visto che i maggiori distributori italiani sono Medusa [di proprietà di berlusconi] e 01 Distribution [controllata dalla Rai, che è controllata dal primo ministro] la questione diventa sempre più evidente.
 
Amareggia constatare che anche in questo caso nel nostro Paese diventa sempre più difficile star fuori dal coro, sia che si tratti di registi, di giornalisti televisivi o della carta stampata, di avversari politici o quant’altro. Impossibile criticare. I panni sporchi si lavino in casa o, meglio ancora, si mantengano sporchi. Chi esprime idee o porta avanti azioni non aderenti ad una sorta di “pensiero unico” viene discreditato, attaccato e, quando si riesce, allontanato.