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Realtà e finzione in Lost

Realtà e finzione in Lost

Da pochi minuti negli Stati Uniti è iniziata l’ultima stagione di Lost. Da noi SKY ha deciso di trasmettere ogni episodio in lingua italiana solo con una settimana di ritardo rispetto all’edizione americana. Lo straordinario impatto globale di una serie che ha rivoluzionato il modo di far televisione ha molte spiegazioni. Prima di tutto l’abilità nel mescolare cultura alta e bassa, sperimentazione e popolarità, filosofia e fantascienza, sfruttando fino in fondo i tempi lunghi della narrazione televisiva, ben diversi da quelli cinematografici. Lost propone una serie di questioni dal sapore metafisico: Cos’è un isola? Esiste il mondo esterno oppure è un’illusione? Quali sono i significati di redenzione e rinascita? Qual’è il rapporto fra sogno e realtà? Quale la commistione fra passato e futuro? In particolare poi mette in campo i limiti del concetto di verità come qualcosa di oggettivo, spronando gli spettatori ad andare oltre a quello che può apparire più “giusto” o “logico”. La verità quindi non è la fine di un piatto percorso razionale che non lascia dubbi, ma qualcosa di più complesso e sfaccettato che – svelato poco a poco – mantiene sempre un cono d’ombra impalpabile, concedendo spazio ad altre prospettive e dimensioni. Uno degli sceneggiatori, Damon Lindelof, ha infatti affermato «Se fossimo davvero in grado di concludere la serie come vorremmo, mi piacerebbe restassero delle domande insolute, perchè una delle cose coinvolgenti della serie è che rende il pubblico creativo».

Lost spinge chi la guarda all’interpretazione, ponendolo di fatto sul medesimo piano dei protagonisti della storia. Quindi allo stesso modo in cui Jack, Kate, Sawyer, Sayid, Locke e gli altri si rapportano ai misteri dell’isola, noi ci rapportiamo a Lost, restando sospesi come loro in uno spazio in cui non è sempre facile distinguere fra realtà e finzione, fra verità e rappresentazione. Questo gioco viene portato all’estremo dagli autori, facendo interagire vecchi e nuovi media, ed in particolare avvalendosi appieno delle potenzialità del Web. Una strategia in cui si impiegano i canali di comunicazione del mondo reale per fornire informazioni attinenti ad una dimensione di finzione come quella di Lost. Ecco allora che in Rete si può trovare il sito della Oceanic Airlines [la linea a cui appartiene il volo che ha fatto naufragio sull’isola], o il sito dei Drafshaft [la band di Charlie], così come una serie di siti dedicati agli appassionati. In uno di questi, si è dato il via ad una caccia planetaria a dei codici necessari per attivare – attraverso una complessa procedura – un filmato in grado di svelare molti degli enigmi di Lost. Esistono poi documentari inchiesta ed anche giochi interattivi volti ad appurare la verità dei fatti narrati nella serie. Insomma, un prodotto globale che si traduce in un’intreccio insolubile fra reality e fiction e che ci fa sentire confusi e perduti, proprio come i nostri eroi.

There’s no place like home

There’s no place like home

Ci risiamo. Anche quest’anno non ci stiamo facendo mancare la nostra dose intramuscolare di Lost. Il serial di  J.J. Abrams  ha assunto per noi una funzione prettamente curativa. Simona ed io siamo pazienti ormai cronici e gravi, che non rispondono a nessun altro trattamento a base di morfina o di altri narcotici affini. Soltanto i giovamenti terapeutici prodotti dalla visione delle vicende dei naufraghi più famosi della televisione ci consentono di ottenere una significativa attenuazione della sintomatologia, di cui siamo preda da circa tre anni a questa parte.
 
Ieri abbiamo iniziato ad iniettarci il primo episodio della quinta serie, non senza un breve ripasso della precedente, che avanza adrelinicamente fino all’intensissimo climax del ritorno a casa di alcuni dei protagonisti. Un’emozionante slow motion in cui Jack e cinque compagni mettono finalmente piede sulla terra ferma e baciano commossi i loro cari in attesa, mentre Kate, sola, stringe al petto il figlio di Claire. Il pathos della scena viene amplificato dallo straziante tema musicale di Michael Giacchino, straordinario autore della colonna sonora del serial ed anche delle musiche di alcuni film Pixar, considerato il più grande giovane talento fra i compositori per il cinema e la televisione.  Interessante ciò che dice in una recente intervista a proposito del suo importante lavoro in Lost «I miei genitori mi mettevano a letto, ed io dalla mia camera potevo udire le colonne sonore dei telefilm che loro guardavano in salotto. Mi divertivo molto a cercare di indovinare che telefilm stessero seguendo, sfruttando la sola musica come riferimento: e così, ho scoperto che i telefilm migliori erano quelli per i quali era più facile indovinare, quelli dotati di uno stile sonoro inconfondibile. Ho voluto far sì che anche Lost diventasse come quei telefilm che ascoltavo durante l’infanzia»There’s no place like home, così si chiama il motivo in questione, travolge fin quasi alle lacrime, perchè ognuno di noi, pur non essendo naufragato su un isola misteriosa, può – talvolta – sentirsi come di ritorno da un lunghissimo, estenuante, terribile viaggio, bisognoso soltanto della salvifica intimità della propria casa.