Di Arte, Cinema, Noia, Malick e Von Trier
Il danese Lars Von Trier ha affermato che lui non fa cinema per gli altri, ma solo per se stesso. Ed è proprio questa sorta di assoluto onanismo autoriale ad ascrivere Melancholia allo stesso tipo di esercizio artificoso e velleitario descritto per Malick. I loro due lavori, entrambi inopinatamente premiati all’ultimo Festival di Cannes [miglior film Malick, migliore attrice Von Trier], presentano diversi aspetti comuni, oltre quello di avermi profondamente annoiato. Sia l’uno che l’altro mettono in parallelo il particolare della vita delle persone con l’universale dei grandi eventi astrali. E mentre Malick realizza uno sfinente videoclip a base di musica classica, Von Trier si impegna ad essere più narrativo, ma con risultati altrettanto deludenti. La sceneggiatura abbozzata e farraginosa non approfondisce mai nessuno snodo di una vicenda di per sè già oltremodo banale. Situazioni e dialoghi imbarazzanti sono nella migliore delle ipotesi frutto della dichiarata depressione del regista, se non dell’assunzione di sostanze forse lecite e forse no. Probabilmente le stesse che durante la conferenza stampa di presentazione del film lo hanno portato a sostenere di simpatizzare per Hitler.