Democrazia dall’alto
Tutti i sondaggi sulle intenzioni di voto (per quello che ancora valgono) indicano da qualche tempo il sorpasso del M5S sul PD. Gli ultimi mesi per il partito di Renzi sono stati segnati da una serie di errori più o meno grossolani: il referendum costituzionale, la scissione, la vicenda Consip, la questione Minzolini. A trarne giovamento sono stati i pentastellati, che – benchè protagonisti di vicende assai discutibili – continuano a godere di un crescente credito da parte dell’elettorato. Qualche giorno fa, a Genova, è andata in scena l’ennesima dimostrazione di come il movimento venga gestito in modo autoritario ed illiberale dal proprio leader, con buon pace della formuletta tanto strombazzata quanto menzognera dell’uno che vale uno. Il guru del vaffa ha annullato il voto on-line delle comunali del capoluogo ligure, ha tolto il simbolo alla vincitrice e ha quindi indetto una seconda votazione che ha promosso con circa 16.000 preferenze un candidato a lui gradito.
Per giustificare la sua decisione Grillo ha chiesto un atto di fede nei suoi confronti, intimando a chi non fosse d’accordo di andarsene e di fondare un nuovo partito. Sta tutto qui il senso di una forza politica che si configura molto più come una setta piuttosto che un partito. Una sorta di confraternita che, dietro il paravento di una propaganda mediatica tutta giocata su parole chiave come “democrazia dal basso” o “approccio partecipativo”, nasconde in realtà una gestione cesaristica e dittatoriale che non prevede, nè tantomeno tollera, alcuna digressione rispetto al pensiero unico del capo. Il cosiddetto “garante” (straordinario eufemismo) infatti fa e disfà con grande disinvoltura e senza alcun sostanziale dibattito interno, e – cosa ancor più preoccupante – effettiva censura da parte del proprio elettorato. Se questa è l’idea del confronto democratico che deve regolare una comunità di persone, cosa ci aspetterà una volta che il Movimento dovesse conquistare il mandato per governare il Paese?