Fascista anzichenò
Per favore non mi si venga più a dire che Grillo è solo il portavoce del suo movimento. I Cinque Stelle sono una struttura estremamente gerarchizzata, dove le voci fuori dal coro vengono immancabilmente fatte fuori e dove i vari esponenti, se non fosse per il comico genovese, verrebbero votati soltanto dai propri parenti. E comunque Bersani ha ragione: Grillo è un fascista. Come altro definire un leader di un partito che rifiuta ogni confronto con gli avversari politici? Non esiste un precedente nel mondo occidentale in cui il capo di una forza politica decida di non partecipare ad alcun dibattito pubblico o di non utilizzare la televisione per spiegare le proprie posizioni presso il maggior numero di persone possibile.
Ho sempre guardato con estrema diffidenza i partiti che si rivolgono ad un sottoinsieme di persone. Come la Lega Nord rispetto ai settentrionali, il M5S guarda solo ad un target composto esclusivamente da chi sa usare la Rete per informarsi. E la casalinga di Abbiate Grasso? Ed il pensionato di Pizzo Calabro? Evidentemente non interessano. Come gli extracomunitari per Bossi, vadano fora dai ball. Meglio fare politica solo attraverso un blog, dove si può restare nell’ambito generico del comizio, dei facili slogan e degli insulti gratuiti, senza alcun contradditorio e senza essere costretti a spiegare davvero come si intende risolvere i mille problemi di questo Paese. C’è qualcosa di razzista nel posizione di Grillo, qualcosa di fascista. Non a caso, anche Severgnini in un suo recente articolo pubblicato sul Financial Times lo ha paragonato a Mussolini: «Agli italiani “piace essere drammaticamente governati”, ha scritto l’ambasciata americana al Dipartimento di Stato nel 1920. Allora, lo showman era più scuro, la figura più pericolosa: Benito Mussolini. Quando i tempi sono duri, le democrazie sono tentate da facili soluzioni formulate dai leader istrionici. Ovviamente, le tattiche e gli strumenti sono cambiati. In principio, era un palco e un campo in una piazza, poi radio e film, poi tv, e ora è internet. Potremmo chiamarlo populismo 2.0.»