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Categoria: de gregorio concita

Fare silenzio

Fare silenzio

In questi ultimi tempi la voglia di scrivere di politica è nulla. Anche perchè in Italia la politica non esiste. E’ forse politica sostenere che un proprio avversario “non si lava”, oppure che è un ladro, sapendo che non è vero? E’ politica quella che consente ad un plurimputato di insultare ogni giorno la magistratura che fa il proprio lavoro? E’ davvero politica quella che in televisione oscura le ragioni di chi porta avanti idee opposte a quelle del Governo? Ecco perchè mi taccio e faccio mia una riflessione di Concita De Gregorio.

«Ci sono giorni in cui si resta ammutoliti. Viene da ridere, poi da piangere, poi da non crederci. […] In fondo persino nel giorno in cui dice che vuole portare i sacchi di immondizia in procura, che vuole più poteri di Napolitano e che i leader della sinistra non si lavano – così, tutto insieme, in sequenza, la riforma costituzionale Bersani puzzolente i giudici che sono un cancro e la sapete l’ultima sui negri, mancano solo le corna le puzzette a ritmo di swing e una tarantella coi rutti – ecco persino in un giorno così, anzi soprattutto davanti all’evidenza patetica di una maschera grottesca, quello che davvero stringe il cuore e fa montare la rabbia non è lui, siamo noi. Sono gli italiani che ancora ci credono e quelli che non sono stati in grado di smascherarlo, di farsi alternativa, di ribellarsi al ridicolo dietro a cui cela i suoi interessi. […] Bisognerebbe fare silenzio, lasciare un momento che questo vergognoso frastuono risuonasse da solo. Sperare che la pornografia delle parole possa saturare e infine stancare anche gli insaziabili. Resta solo da stabilire quanto tempo ci vorrà ancora, perché non ne resta più molto. Per quante generazioni i figli dei figli saranno chiamati a ricostruire e a far dimenticare le macerie prodotte dall’inettitudine dei padri?»

Scontro globale

Scontro globale

«Il decreto sul federalismo varato ieri dal governo in spregio del voto del Parlamento [15 a 15, il Parlamento non approva] segna un salto di qualità nel gioco al massacro fra le istituzioni fondamentali della Repubblica a cui da mesi stiamo assistendo. Se allo scontro tra potere esecutivo e giudiziario siamo purtroppo abituati […] ecco che ora siamo allo scontro fra governo e parlamento. […] Bossi vuole il federalismo, altrimenti si va al voto. Berlusconi glielo fornisce in fretta e furia, nottetempo, alla fine di una giornata in cui la commissione Bicamerale incaricata di valutare il testo in questione non lo approva. […] Il Parlamento è un peso, una zavorra che impedisce a Berlusconi di servire il piatto caldo al suo socio, la cui base padana scalpita. Il parere dei rappresentanti del popolo disturba i progetti: lo si ignora. Così oggi Bossi potrà dire che il risultato è incassato e placare i suoi. Il governo sopravvive ancora un po’. La palla passa ora a Napolitano, dunque. Sarà il presidente a decidere se emanare o meno il decreto delegato. E’ facile prevedere che tipo di battaglia si sta per scatenare. Bossi dirà ai suoi elettori: il federalismo è cosa fatta, se il presidente non lo vara è lui il colpevole. Berlusconi è uno specialista nell’individuare il nemico e nell’additarlo al pubblico tv».

Mi pare che le parole di Concita De Gregorio ben evidenzino il pesante schiaffo inferto alle regole costituzionali da parte della maggioranza, mentre – tra le altre cose – la Camera respingeva la richiesta dei PM di perquisire gli uffici di Giuseppe Spinelli, il cassiere del premier che secondo l’accusa avrebbe pagato le ragazze partecipanti alle feste di Arcore. Feste di cui parrebbe esistano diverse foto – offerte sul mercato al miglior offerente – raffiguranti berlusconi senza vestiti, circondato dal suo harem. Il re è nudo e per questo motivo attacca sguaitamente le basi della democrazia: dalla Bicamerale definita «un artificio», alla Magistratura a causa della quale l’Italia sarebbe ormai «una repubblica giudiziaria». Difficile che il nostro Paese possa sopportare ancora per molto un tale  furioso clima da “scontro globale”.

Un paese di orticelli

Un paese di orticelli

A prima vista la vittoria pare netta. La maggioranza conquista 6 regioni su 13, di cui le due più importanti e strategiche: Piemonte e Lazio. Però, ad un esame più attento [e libero dalle manipolazioni della TV di regime], non si può non registrare il crollo del PDL che, rispetto all’ultimo turno elettorale [europee del giugno 2009], perde ben 9 punti percentuali, attestandosi al 27% circa delle preferenze. Appena un soffio sopra il PD che, contrariamente al suo principale antagonista, si mantiene stabile al 26%. Il partito di Bersani, oltre che dell’astensionismo, oggi deve preoccuparsi anche del successo di un movimento come quello di Beppe Grillo che, dove si è presentato, ha eroso il 3% dei voti e ha contribuito a frammentare ulteriormente un’area politica che invece ha il dovere di ritrovare al più presto unità e coesione. E’ solo responsabilità dell’opposizione – infatti – se nonostante lo sconquasso del PDL si è nuovamente riusciti a non vincere le elezioni. Se si fosse in grado di far tesoro di queste regionali, si dovrebbe – a mio avviso – ripartire da Nichi Vendola, l’unico esponente che per carisma, spessore culturale e storia personale può incarnare lo spirito della vera sinistra. Così Concita De Gregorio su L’Unità: «Questo è un voto di delusione e di rabbia verso un centrosinistra che ha disatteso le aspettative. Che rispetto a quel che l’elettorato chiedeva non ha avuto abbastanza coraggio: di cambiare la sua classe dirigente, di puntare sul rinnovamento, su logiche nuove e non solo su somme aritmetiche di alleanze possibili, su un progetto chiaro semplice e alternativo che fosse anche – come dice Vendola – un nuovo racconto».

Ho sempre sostenuto che in Italia prima di ogni altra cosa esiste un problema culturale. Ed in questo senso la vittoria al Nord di una forza populista e reazionaria come il partito di Bossi non può che preoccupare.  Come ha scritto ieri Vittorio Zucconi: «L’Italia è, e rimane, una sottocultura proporzionale e localistica. A ciascuno il proprio poderino, il proprio orto, il proprio manipolo di consiglieri o assessori, la propria contrada, e chi se ne frega dell’agricoltura nazionale».