«Help me Clarence, please… please! I want to live again! I want to live again! I want to live again… please God, let me live again!». Clarence è un angelo di seconda classe, un essere semplice dalla fede pura come quella di un bimbo. E’ a lui, di turno la sera di Natale, che viene affidato il caso di
George Bailey, un uomo che ha dedicato la propria vita agli altri e che ora, sull’orlo dell fallimento, ha deciso di suicidarsi. Se Clarence riuscirà ad aiutarlo, potrà finalmente avere le ali che attende da 200 anni. Così, quando George decide di gettarsi nelle acque gelide di un fiume, è Clarence ad intervenire e salvarlo, e poi, per dissuaderlo dalla convinzione che sarebbe stato meglio non essere mai nato, gli mostra come sarebbe stato il mondo senza di lui: una dimensione parallela che evidenzia i fitti intrecci di un sistema in cui ogni vita tocca e condiziona centinaia di altre esistenze, fino a consentirne la stessa sopravvivenza:
«La vita di un uomo è legata a tante altre vite e quando quest’uomo non esiste lascia un vuoto» gli spiega l’angelo. In quella notte George sceglie di vivere, nonostante tutto. Torna alla sua famiglia in tempo per scoprire che la solidarietà della sua piccola cittadina lo ha salvato dalla bancarotta. A Natale George prende coscienza del significato della parola “destino” ed il destino concede sempre una rivincita a chi ha il coraggio di lottare. Il suo altruismo spontaneo ha fatto sì che, nel momento di maggiore difficoltà, qualcuno si sia ricordato altrettanto spontaneamente di lui. Infatti, come gli rammenta Clarence nel finale del film,
«Nessun uomo è un fallito, se ha degli amici».
La vita è meravigliosa è un mito intramontabile che ha saputo rendersi sempre attuale. Una favola agrodolce che stringe alla gola con il più lungo nodo di commozione che il cinema ricordi. Il senso profondo dell’esistenza è racchiuso in questo film che non ha vinto l’Oscar, ma il premio più ambito per un regista che vuole raccontare la sua visione della vita: il successo di pubblico che supera le barriere del tempo. Prevale su tutto la prova maestosa dell’indimenticabile James Stewart che riveste il suo personaggio di chiaroscuri adeguati all’evolversi della figura complessa di un uomo che sa passare da momenti di grande slancio gioioso, al pessimismo più tragico, al dolore acutissimo per la sorte dei suoi cari. Di lui il regista Frank Capra disse: «Il protagonista non avrebbe potuto essere altri che James Stewart, l’unico capace di rendere con naturalezza e credibilità lo stato d’animo di un uomo sull’orlo del suicidio, ma ancora disposto a spendere un soldo di speranza».