Tutto si può dire tranne che il “Da Solo Show” di Vinicio Capossela sia uno spettacolo solitario, visto la formidabile band di “strumenti inconsistenti” che supporta il cantautore ed il pubblico che ogni sera continua a rispondere numeroso e calorosissimo! Definirlo un concerto è assolutamente riduttivo. Ciò a cui abbiamo assistito ieri sera al Carlo Felice di Genova è uno zibaldone in forma di varietà, affollato da tanti personaggi prelevati di peso dai baracconi delle stranezze che ad inizio del secolo scorso affiancavano il Circo Barnum. Ed ecco quindi maghi illusionisti, saltimbanchi, giganti e donne mangiafuoco, l’uomo dalla faccia deturpata dalle storie, il polpo palombaro, la medusa nervosa, il minotauro, il maiale dalle due teste che «mangia per due ma rende la stessa quantità di prosciutto. Lo spettacolo è uguale, ha due teste quindi scusate le spalle e scusate la faccia».
La prima parte dello show racchiude le canzoni dell’ultimo splendido e celebrato disco, l’unico disco italiano che la famosa rivista britannica Mojo inserisce fra i migliori dieci dell’anno scorso. E’ la parte più intimista e raccolta, che inizia con Il gigante e il mago e si snoda attraverso la poesia e la magia di canzoni come In clandestinità, Parla piano e Orfani ora fino ad approdare alla struggente metafora de Il paradiso dei calzini, eseguita con un pianoforte giocattolo non più alto di 20 centimetri. Dopo l’intervallo, comincia una seconda parte in cui la scaletta pesca invece dai precedenti lavori. L’atmosfera si fa più calda, sul palco fa il suo ingresso una gabbia illuminata, i musicisti, le cui divise ricordano in parte quelle di Sergent Pepper, incantano con grancasse, tromboni, vibrafoni, banjo e clarinetti e Vinicio trascina un pubblico sempre più festoso ai piedi del palco. Esegue Marajà con una maschera scimmiesca, Canzone a manovella in abito da pesce e Che cos’è l’Amor vestito da cantante country. Per L’uomo vivo il mago viene impacchetato in una camicia di forza ed appeso a testa in giù, fino a quando, secondo la migliore tradizione di Houdini, riesce a liberarsi. In un attimo il teatro è tutto in piedi e vi rimane sino alla fine dello show, ballando, cantando e battendo le mani a tempo, sotto diluvi di coriandoli. C’è spazio anche per diversi pensieri su Genova, «una città in cui ti senti imbarcato, anche se rimani a terra» e per una personale versione de La citta vecchia di De Andrè. Capossela, che dà fondo al suo genio fantastico e visionario, sa intrattenere con intelligenza ed ironia: «se non proprio l’autostima, che di questi tempi è un lusso, coltiviamo almeno un pò di autosolidarietà». Per due e ore e mezza il suo varietà ci ha emozionato, avvinto ed esaltato e, cosa più importante di tutte, è riuscito a condurci in un luogo dove si è tornati bambini a sgranare gli occhi «dentro una sfera di meraviglia».