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Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra

Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra

«Le scelte compiute dalla Banca Centrale Europea nelle ultime ore hanno il sapore di un vero e proprio ricatto nei confronti della Grecia. Provano a neutralizzare il significato di una svolta democratica che parla a tutta l’Europa e che dice che è giunto il momento di archiviare le politiche dell’austerity». Queste le dichiarazioni di un leader della nostra Sinistra.

«La deci­sione della Banca cen­trale euro­pea sulla Gre­cia è legit­tima e oppor­tuna». Queste invece le parole di un leader che di sinistra ha ben poco e che solo qualche giorno prima aveva assicurato al Primo Ministro greco di «avere in comune con lui l’idea di pro­vare a cam­biare le cose». Con uno stile che ricorda molto quello portato al successo dal suo predecessore berlusconi – ossia quello del presidente imprenditore ma anche operaio, che di volta in volta si immedesima nei suoi interlocutori, cambiando pelle (ed idee) per essere gradito a tutti – ieri è stato velo­cis­simo a com­pli­men­tarsi con Fran­co­forte per la porta sbat­tuta in fac­cia alla Gre­cia. Chi, all’interno del suo partito, ha ancora ben chiaro in mente cosa sia la Sinistra, così gli risponde: «Il governo ita­liano si distin­gue per subal­ter­nità alla Ger­ma­nia, come a voler dimo­strare che siamo i primi della classe, fac­ciamo i cosid­detti com­piti a casa e dun­que meri­tiamo un po’ di fles­si­bi­lità, ma in que­sto modo si com­mette un dop­pio errore: si con­danna la Gre­cia e non si  rico­no­sce che i pro­blemi che Tsi­pras sta ponendo sono comuni a tutti i paesi dell’euro, se non li si affronta affon­diamo anche noi (…). Il presidente del Consiglio si è schie­rato con quelli che, affron­tando il caso della Gre­cia, stanno cer­cando di dimo­strare che le scelte fatte dai cit­ta­dini con il voto demo­cra­tico hanno poco spa­zio all’interno delle regole euro­pee».

Il senza vergogna

Il senza vergogna

«Le riforme dovevano essere affrontate diversamente, seguendo le procedure previste (senza perdere sei mesi a tentare di approvare una deroga all’art. 138, poi riposta in un cassetto senza spiegare perché né chiedere scusa ai cittadini), che indicano una certa lentezza. Che non significa perdere tempo (come avviene con continue accelerazioni e battute d’arresto, come quella che c’è stata sulla legge elettorale), ma impiegarlo per riflettere e valutare attentamente. Più che sui tempi bisognerebbe concentrarci sulle scelte, che dovrebbero essere compiute con il reale apporto di tutti. Per essere più precisi, l’attuale riforma costituzionale, al contrario di quanto si dica, è stata discussa molto poco e assai male.  Ma si è andati avanti come se nulla fosse, alzando ancora il livello dello scontro, fino a sostituire nella stessa Commissione i componenti che rispetto al testo governativo avevano mosso alcune critiche di fondo (pur sostenendone altri aspetti, a partire dalla necessità di differenziare le due Camere). Ora, non so più come dirlo, l’errore consiste nel non avere saputo valorizzare il confronto in Commissione, ma più grave sarebbe continuare ad alzare i toni e a irrigidire lo scontro, con minacce di contingentamenti, ghigliottine e lavori forzati (e quindi mal riflettuti), per chiudere con tempi la necessità del cui rispetto non pare avere alcun concreto riscontro. In realtà, le riforme costituzionali – la cui lunghezza è costituzionalmente imposta – possono tranquillamente procedere nel corso della legislatura, facendo tesoro di tutti i contributi che fino ad ora – lo ripetiamo – non hanno potuto trovare spazio in alcuna sede».
 
«Trovo francamente sconcertante che si possa definire ricatto l’esercizio legittimo delle prerogative che sono riconosciute all’opposizione dai regolamenti parlamentari. Fare ostruzionismo non significa essere ricattatori. Certamente non siamo ricattabili. Vogliamo proporre al Governo la possibilità di ragionare seriamente su questioni come il Senato elettivo. Noi abbiamo il diritto di interloquire, quando si tratta di riforme della Costituzione, che non possono essere ridotte al rango di una puntata di Masterchef, dove ci sono alcuni minuti per poter cucinare la ricetta del cambiamento. La Costituzione è la legge fondamentale che tiene in piedi una società e uno Stato. Per cui abbia pazienza il ministro Boschi, impari un pò il rispetto nei confronti delle Istituzioni, delle opposizioni e del Paese. Noi vogliamo sapere se le istituzioni di domani consentiranno ai soggetti sociali che per esempio oggi hanno protestato davanti a Montecitorio, a partire da una condizione di disagio e di esclusione, di poter esprimere le proprie ragioni. Se poi  si vuole un Parlamento addomesticato, se si vogliono istituzioni che sono una specie di corolla floreale attorno al sovrano, allora lo si dica. Ma quello noi limpidamente non lo accetteremo.» 
 
Ho riportato stralci da due post, il primo a firma Civati [leggere qui e sopratutto qui], il secondo Vendola [leggere qui e qui]. Le posizioni di entrambi sono quelle che dovrebbe avere il leader di un vero partito di Centro Sinistra, che ha a cuore il bene del Paese, la volontà dei cittadini ed il rispetto delle minoranze. Così non è purtroppo. Ed è sotto l’occhio di tutti [tranne di quelli che non vogliono vedere, naturalmente]. Invocare la “ghigliottina” per delle riforme istituzionali è una delle cose più antidemocratiche che si possa avere in mente. Fornire una prova muscolare, miope ed arrogante, che sta a metà fra il peggior craxi ed un berlusconi qualunque, sul terreno di riforme che devono costituire l’ossatura dello Stato e che riguardano tutti, senza distinzioni alcune fra destra e sinistra, maggioranza e opposizione, politici e cittadini comuni [e che non possono essere oggetto di protagonismi e brame personali] è spettacolo esecrabile. Mai mi sarei aspettato che potesse essere messo in scena da un Presidente del Consiglio, segretario del Partito Democratico, che oramai di democratico non ha più nulla. Che vergogna!
 
Il capezzonismo

Il capezzonismo

Così Alessandro Gilioli suo sul blog: «Lo sapevamo, cosa stava succedendo in Sinistra Ecologia e Libertà. Lo sapevamo cioè che c’era una parte di quei compagni che si sentiva attratta dal potente e dinamico contenitore onnicomprensivo di Renzi. Niente di strano, niente di male: capisco benissimo la sensazione di frustrazione costituita dalla marginalità. Capisco benissimo anche che la testimonianza in sé non è un valore, se non incide nella società. (…) Rispettabile ma sbagliato: per il semplice fatto che là dove stanno andando non incideranno sul Paese un milligrammo di più di quanto abbiano fatto finora. Anzi, saranno più marginali di prima. E lo saranno trasformandosi pure in complici di ciò che avversano. O almeno hanno avversato fino a ieri: la precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, i regali alle banche, l’allontanamento (ulteriore) della rappresentanza dai rappresentati, le liste bloccate, il governo con Alfano e Giovanardi. Non mi sembra un grandissimo risultato.(…) E se l’obiettivo è incidere, la stessa Sel residua non basta più. Anzi, come tale, da sola e con il suo attuale leader, non ha proprio più prospettive. Per via di tanti motivi. Non ultimo, la parabola da tre anni in fase discendente del suo fondatore, appunto. (…) Ma non è nemmeno tanto Vendola, la questione. La questione è l’area a sinistra del Pd. L’area che io – scusate – definisco semplicemente di sinistra, senza più quell’aggettivo – “radicale” – che ne fa una nicchia. Ci sono altre sinistre in giro, certo: in una parte del Pd e pure nel Movimento 5 stelle. Ma non c’è un partito in cui la sinistra sia prevalente. Non c’è una una forza politica di sinistra, oggi, in Italia. Credo che l’obiettivo oggi possa essere solo fare piazza pulita delle identità vecchie e nuove – Sel, Rifondazione, perfino la lista Tsipras – e costruire una cosa che si chiama la Sinistra e basta. Una cosa che abbia come primo obiettivo delineare un disegno politico, economico, sociale e di cittadinanza chiaro per questo Paese. Senza farsi pippe di alleanze, ora. Costruendo invece consenso e radicamento sociale sul proprio progetto alternativo di Paese. E su battaglie concrete in quella direzione».
 
Sinceramente comprendo poco i parlamentari di SEL che oggi decidono di avvicinarsi a Renzi. Una decisione posta in essere proprio nel momento in cui il PD si configura come partito neocentrista e leaderista. Un partito sempre meno propenso a coltivare la propria anima pluralista e in particolare a tollerare le varie componenti di sinistra (si pensi ad esempio alla marginalizzazione di Civati, Cuperlo e Mineo). Cosa è allora questa scelta se non un becero esercizio di salire sul carro del vincitore? Cosa differenzia Migliore, Fava e gli altri dal “capezzonismo” di cui sono affetti troppi politici italiani?
Oltre

Oltre

Con buona pace di chi sosteneva che il voto dato all’ Altra Europa non fosse un voto utile, perchè la lista guidata da Alexis Tsipras non avrebbe mai raggiunto la soglia di sbarramento, oggi la Sinistra Italiana porta in Europa 3 esponenti. Questo, insieme allo straordinario successo di Syriza in Grecia, fa ben sperare che in Italia e nel Continente ci sia ancora spazio per le istanze portate avanti dalla Sinistra. Credo che – come ha giustamente sottolineato Vendola – si sia piantato non una semplice bandiera, ma ben più di un seme.
 
A parte ciò, i dati che emergono da questo turno elettorale sono sostanzialmente due. Il trionfo del PdR (il partito di Renzi) e il vistoso calo delle due più grandi forze populiste. Evidentemente la gente si è convinta che al momento Renzi costituisca la speranza più concreta di un reale cambiamento e che il suo partito rappresenti la roccaforte più robusta contro il dilagare della demagogia, della volgarità, dell’insulto e della piccineria. Renzi ha oggi un mandato solido ed autorevolissimo. Guai a sciuparlo, perchè al prossimo giro potrebbe succedere ciò che è accaduto in Francia ieri. Rispetto alle elezioni politiche dell’anno scorso Forza Italia perde il 5,5% (anche se allora si presentava insieme ad Alfano) ed il M5S il 4,5%. Un crollo in entrambi i casi. Per berlusconi segna sicuramente l’inizio della fine e per grillo, accreditato alla vigilia delle consultazioni di ben altre percentuali, è una sonora porta in faccia ai propositi di vittoria espressi durante la sua campagna. Perde l’Italia antidemocratica, violenta ed impresentabile. Perde l’Italia che non prevede il pluralismo di idee e soffoca il dissenso, autoritaria ed illiberale. L’Italia che va avanti a forze di becera propaganda; che mette all’indice il giornalismo che osa criticare; che deligittima ed insulta gli avversari politici; che specula sulla disperazione e sulla rabbia della gente; che si muove secondo una presunzione di superiorità, politica e morale; che non contempla il confronto democratico; che è “oltre Hitler”. Il punto più basso di questa agghiacciante campagna elettorale l’ha toccato proprio grillo, quando – nel corso dello stesso comizio – ha affermato da una parte di voler istituire dei tribunali popolari via web che giudicheranno le colpe e stabiliranno la pena per giornalisti, imprenditori e politici, e dall’altra di essere l’unico leader che si rifà alla lezione di Berlinguer. Tanto. Troppo per qualsiasi persona normalmente dotata di raziocinio e buon senso. Oltre non c’è Hitler, ma solo la più perfetta stupidità.

Dall’antipolitica all’antistato

Dall’antipolitica all’antistato

«Giocare cinicamente con il dolore, la paura e persino la disperazione della gente. Buttare benzina sul fuoco della crisi. Mettere nella lista nera le persone sgradite. Istigare all’odio e al disprezzo contro tutti quelli che la pensano diversamente. Chi è che fa così? In che anno siamo? 1921 o 2013?» Così Nichi Vendola sulle ultime posizioni di Grillo. Stiamo assistendo ad un’evoluzione dei 5 Stelle. La democrazia si fonda sul diritto al dissenso, sulla libertà di criticare. Eppure il profeta del vaffanculo prevede una società in cui se sei un giornalista sgradito al Movimento debba essere messo alla pubblica gogna, se invece sei un rappresentante delle Istituzioni, democraticamente eletto, debba essere lasciato in balia della rabbia sociale.
 
L’invito che Grillo fa alle forze dell’ordine di farsi da parte, di non difendere più lo Stato, ha una cifra incendiaria ed eversiva, oltre che illecita. Come giustamente ricorda Matteo Renzi: «Due anni fa Grillo invitava i militanti no Tav a picchiare i poliziotti. Derideva i poliziotti, ora li blandisce. E’ un tentativo di rompere la coesione sociale, di mandare tutto all’aria, di scardinare il sistema». Il leader dei 5 stelle non si fa scrupolo di strumentalizzare un clima di disagio, di fomentare l’odio e lo scontro solo per il proprio tornaconto politico, in una logica del tanto peggio tanto meglio che ha superato ogni limite consentito.
Il Centrosinistra fa il pieno

Il Centrosinistra fa il pieno

Sono due i dati politici che emergono da queste amministrative. Il primo è che il centrosinistra vince ovunque, strappando alla destra, oltre che Roma, anche storiche roccaforti come Imperia, Brescia e Treviso. Si impone un’alleanza incentrata su un partito, il PD, che è rimasto l’unico a vantare una struttura democratica, distribuita e radicata sul territorio. Perdono i partiti e i movimenti padronali, come il PdL ed il M5S, che poggiano unicamente sul carisma del proprio leader e sono incapaci di produrre dei candidati forti e credibili a livello locale. E’ un dato che fotografa, come ha affermato Vendola, l’affermazione di una coalizione che puo’ e deve liberare l’Italia dal berlusconismo e dalla cattiva politica.

L’altro elemento di riflessione è la diffusa protesta, che però – differentemente da quanto successo solo tre mesi fa – prende le distanze dai Cinque Stelle e si rifugia nell’astensionismo. Il Movimento di Grillo infatti non riesce più a mobilitare e smuovere la grande massa dei delusi, continuando la disfatta evidenziatasi due settimane fa e andando a perdere quasi dappertutto in Sicilia [che è andata al voto in ritardo di 15 giorni], con percentuali lontanissime sia dalle elezioni politiche di febbraio che da quelle regionali di ottobre. Da Messina a Siracusa, fino a Catania i grillini non vanno al di là di un misero 4% e restano in corsa per il ballottaggio soltanto a Ragusa.

La disfatta del PD

La disfatta del PD

«Proporre oggi Giorgio Napolitano è una fuga dalla realtà per il Partito Democratico. E in corso la tessitura delle larghe intese. Vince l’ipotesi restauratrice rispetto al rinnovamento. Ha vinto Berlusconi».  Così poco fa Nichi Vendola, che riferendosi a Grillo aggiunge: «Chi parla di golpe sbaglia drammaticamente, quella in corso è un’altra cosa. E’ un rinchiudersi nel palazzo, sprezzanti rispetto a quella domanda di cambiamento che sta scuotendo l’intera società italiana. E’ una clamorosa sordità quella che il Parlamento sta dimostrando». Il leader di SeL è durissimo col PD che esce inopinatamente disfatto da questi tre giorni di elezioni presidenziali. Incapace di dimostrare lo stesso coraggio e lo stesso senso di innovamento che solo un mese fa aveva portato Boldrini e Grasso alla presidenza delle Camere. Incapace di esprimere una linea politica chiara e coerente, partendo dal netto rifiuto di ogni ipotesi di larghe intese, passando poi per un accordo discusso con il PdL, terminando infine con la proposta del candidato più inviso a berlusconi. Incapace di spiegare al proprio elettorato perchè non si sia voluto appoggiare una personalità di sinistra, eminente come Stefano Rodotà. Incapace di trovare una sola figura condivisa fra le proprie fila. Incapace di risolvere antichi dissidi, contrasti, contrapposizioni tutte interni al partito, che hanno drammaticamente fatto precipitare la situazione fino alla dimissioni del Presidente e del Segretario. 

Affidarsi ad un uomo di 88 anni, che a fine mandato ne avrà 95, forzando la sua volontà di ritirarsi a vita privata, dà la misura esatta della crisi disperata in cui è piombata la politica italiana che non ce la fa più a garantire la governabilità e la funzionalità democratica. Da domani il centrosinistra dovrà avviare un profondo processo di rinnovamento e rifondazione, pena la consegna del Paese ai grevi populismi di Grillo e berlusconi.

No, Marini no!

No, Marini no!

«Le istituzioni non sono solo funzioni. Sono anche simboli. L’Italia ha bisogno di competenza, lucidità, finezza politica e conoscenza dei meccanismi dello Stato. Ma anche di un segnale fortissimo di novità rispetto alla convinzione diffusa, giusta o sbagliata che sia, di essere soffocati da una nomenclatura immobile e autoconservativa». Così ieri il giornalista Marco Bracconi sul suo blog.

Solo un mese fa il PD pareva aver perfettamente appreso la lezione che era arrivata dalle urne. Aveva rifiutato qualsiasi intesa con berlusconi, aveva messo in difficoltà Grillo chiedendo a gran voce una sua assunzione di responsabilità e aveva accantonato l’idea di collocare alla Presidenza delle Camere due figure come Franceschini e Finocchiaro, degnissime persone ma troppo legate alla gerarchia del partito. Con Boldrini e Grasso il PD era ripartito nel miglior modo dopo la “non vittoria” elettorale, dando l’impressione di essere finalmente in linea con le istanze di rinnovamento espresse dall’elettorato. Ecco perchè la scelta di portare al Quirinale il pur rispettabile Franco Marini, secondo una logora e consunta logica conservativa, rappresenta oggi un errore terribile. In un colpo solo allontana nuovamente il partito dai desiderata della società e ridà fiato e forza ai proclami qualunquisti del M5S che nelle ultime settimane era in costante calo di consensi. Ciò che è difficile da digerire è che Bersani si sia incapponito nel cercare un’intesa con berlusconi, finendo per votare un sindacalista democristiano della Prima Repubblica, già candidato alla Presidenza della Repubblica nel 1999, mentre dall’altra parte i Cinque Stelle [corteggiati fino al giorno prima in funzione governativa] esprimevano la candidatura di un’eminentissima figura della sinistra come Stefano Rodotà, che – nonostante l’età – incarna sicuramente una scelta più coraggiosa ed innovativa. Se poi – come ha ammonito Nichi Vendola – questo accordo PD-PdL costituisse la prova d’orchestra di un governissimo, significherebbe fare i conti con pesantissime ripercussioni sul futuro della coalizione di centrosinistra.

I Fantastici 5

I Fantastici 5

Checchè ne dica Grillo, il confronto è il sale della democrazia. Se ne è avuta una dimostrazione ieri sera, assistendo al dibattito fra i 5 candidati alle primarie del centrosinistra. Finalmente si è riusciti a parlare di programmi ed intenzioni con grande misura ed equilibrio senza scontri verbali e personalismi fuori luogo. Bersani, Renzi e Puppato del PD, Vendola di SeL e Tabacci di API sono riusciti ad evitare ogni genere di rissa e, pur nei limiti temporali imposti dal format, a dare un’idea costruttiva di ciò che deve tornare ad essere la politica in Italia: uno scambio serrato, ma civile, di opinioni a confronto.

Dopo vent’anni di aggressioni e violenze, deligittimazioni reciproche e facili demagogie, dopo il cesarismo di berlusconi, la grezza propaganda di Bossi ed il populismo 2.0 di Grillo, si è finalmente tornati a parlare con passione e competenza di cose concrete: di tasse, di casta, di lavoro, di privilegi, di diritti. Un dibattito che difficilmente sposterà dei voti, ma che ha evidenziato come, anche in Italia, possa trovar spazio un’idea diversa di politica. Al di là delle differenti posizioni espresse, il progetto politico del centrosinistra è l’unico in grado di dare un’orizzonte futuro all’Italia post berlusconiana, e porsi definitivamente alle spalle i pifferai magici di ieri e di oggi.

L’antitesi antropologica

L’antitesi antropologica

Alla domanda se sia finito il berlusconismo, Fini ha risposto «E’ finito il Governo Berlusconi. Accontentiamoci.» E come si fa a non esser contenti quando si pensa che i nostri ministri non sono più gente come Calderoli, Sacconi, Gelmini, Frattini, La Russa e Brunetta? Impossibile! E se Vendola ricorda che «se il ventennio fascista condusse nel baratro della guerra il Paese, il quasi ventennio del populismo berlusconiano ha prodotto macerie economiche e sociali che ci hanno condotto al disastroso rischio di default attuale», Travaglio scrive «la prima Liberazione, nel ’ 45, avvenne grazie alle truppe anglo-americane con qualche migliaio di partigiani. La seconda avviene grazie alle truppe franco-tedesche con qualche Carlucci e Pomicino di complemento». Dobbiamo infatti ringraziare i leader europei, i mercati e la stampa internazionale se oggi berlusconi ha rassegnato le dimissioni. Se avessimo fatto affidamento sulla reattività dell’opposizione o sull’intelligenza politica di molti nostri connazionali, ci saremmo dovuti tenere questo sciagurato Governo – il peggiore dal dopoguerra, espressione di un potere arrogante, corrotto e corruttore, autoritario e mistificatore, populista ed eversivo – ancora per un bel pò.

L’incarico sarà affidato a Mario Monti, un uomo che di berlusconi è «l’antitesi antropologica. Difficile immaginarlo con Mangano in giardino, Gelli e Craxi al piano di sopra, Tarantini dietro la porta, Ruby nel lettone e Lavitola al telefono». Ex Rettore e Presidente della Bocconi, ex Commissario Europeo, in qualità del quale inflisse una multa pesantissima a Microsoft per comportamenti contrari alle normative antitrust, è uomo che ha fatto del rigore [parola caduta in disgrazia durante il berlusconismo] la sua cifra personale e professionale. Come editorialista del Corsera è sempre lui, più recentemente, a criticare aspramente berlusconi all’indomani della sua dichiarazione sull’Euro che non avrebbe convinto nessuno: «A ogni rialzo dei tassi, dovuto alla scarsa fiducia nell’ Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo». Un bel segnale per un nome che rappresenta non solo competenza e serietà [altri termini desueti nell’Italia degli ultimi 20 anni], ma soprattutto la garanzia di un Paese credibile, capace di cambiare registro e politica.