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Categoria: di caprio

J.Edgar

J.Edgar

Difficilissimo condensare in due ore la vita di una figura così complessa e controversa come quella di J. Edgar Hoover. Il direttore dell’FBI che ha attraversato da protagonista 50 anni della recente storia americana, sotto ben 8 diverse presidenze. Clint Eastwood sceglie di prediligire gli aspetti privati alla dimensione pubblica del personaggio, finendo così per non dargli sufficiente spessore o perlomeno per affrontare con superficialità alcuni snodi che forse avrebbero avuto bisogno di un’altra sottolineatura. La narrazione, non sempre equilibrata, è ulteriormente appesantita da continui ed inutili salti temporali che finiscono col far perdere di vista il quadro generale.

In questo contesto, il film risulta a tratti freddo ed irrisolto, esattamente come il personaggio descritto. Un uomo potentissimo, eppure privo di una vita personale, succube di una madre autoritaria e represso da un’omosessualità mai accettata. A fronte dell’eccessivo materiale di utilizzare – si va dalla lotta contro gli anarchici e i comunisti, passando per la cattura di Dillinger, il rapimento Lindbergh, la rivoluzione tecnologica dell’FBI, i vari intrighi di potere, via via sino al pessimo rapporto con Bob Kennedy, l’attentato di Dallas, l’ossessione contro Martin Luther King e la presa del potere da parte di Richard Nixon – Eastwood riesce comunque a farsi apprezzare per il rigore della ricostruzione scenica e per la scelta di un eccellente cast. In particolare, Leonardo Di Caprio – che si prenota per una probabile vittoria ai prossimi Oscar – spesso sepolto sotto chili di trucco per apparire un credibile settantenne, ne è un protagonista efficace e convincente.

Il 2010 al Cinema

Il 2010 al Cinema

Questa stagione ci ha regalato due capolavori che curiosamente presentano più di un aspetto in comune. Entrambi hanno come protagonista Leonardo Di Caprio ed entrambi condividono la stessa straordinaria capacità di indagare sul rapporto fra realtà e sogno. Ognuno a modo proprio, Christopher Nolan con Inception e Martin Scorsese con Shutter Island, si muovono sul terreno incerto e confuso che separa la verità dall’immaginazione, riuscendo – cosa non più così comune nel cinema americano degli ultimi anni – a sposare autorialità ad intrattenimento. Al terzo e al quarto posto della mia personale top five dei film usciti nel 2010 si trova un’altra coppia di pellicole dirette – anche questa volta – da un regista della vecchia generazione e da uno della nuova. Roman Polanski con Un uomo nell’ombra firma un thriller solidissimo come pochi negli ultimi decenni, dalle atmosfere cupe ed opprimenti, in cui lo smarrimento dell’uomo comune di fronte ad un intrigo internazionale rimanda al miglior Hitchcock. David Fincher realizza The social network, una poderosa storia di solitudine e rivalsa tra le pieghe del più importante fenomeno di costume di questi ultimi anni. Non fa neppure più notizia l’ennesimo gioiello in casa Pixar, che anche quest’anno con Toy Story 3 propone la magia di una storia che sa parlare al cuore di tutti, grandi e piccini.

Il 2010 è stato un anno orribile per le tante morti che hanno colpito il mondo del cinema. Quel che restava della commedia all’italiana è stato falciato via: Mario Monicelli, i grandi sceneggiatori Furio Scarpelli e Suso Cecchi d’Amico, il produttore Dino de Laurentiis ed il “solito ignoto” Tiberio Murgia. Sono morti i due registi francesi Eric Rohmer e Claude Chabrol. In America ci hanno lasciato Dennis Hopper, Tony Curtis, Jill Clayburgh, Leslie Nielsen, Tom Bosley e i registi Arthur Penn e Blake Edwards. Per non parlare di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini che, pur avendo solo sfiorato il cinema, sono da considerarsi due pietre miliari del mondo dello spettacolo italiano.

La materia di cui sono fatti i sogni

La materia di cui sono fatti i sogni

Quando nel 2000 uscì Memento, pensai che il suo regista e sceneggiatore, allora sconosciuto, fosse un genio. Oggi, dopo aver visto l’ultimo film di Christopher Nolan, ne sono ancor più fermamente convinto. Come ha scritto Newsweek, in questi ultimi anni la maggior parte dei prodotti mainstream hanno raccontato storie di viaggi verso luoghi fittizi in cui poter imparare qualcosa di noi. Due esempi su tutti: Pandora, il pianeta di Avatar, e l’isola di Lost. Il primo usato per veicolare un’opinione politica, la seconda per discutere di morale e filosofia. Nolan invece pone la ricerca all’interno di sè, analizzando il subconscio dell’uomo e reinventando il modo che il cinema ha di trattare i sogni. Inception ha con Memento diversi punti in comune. Entrambi infatti giocano a destrutturare il normale fluire del tempo, hanno una struttura narrativa ad incastri e mettono in campo il rapporto, spesso confuso, fra realtà ed immaginazione, puntando a far perdere l’orientamento al pubblico. I protagonisti delle due vicende sono vittima del passato e del senso di colpa per la morte prematura e violenta della propria moglie. Sia l’uno che l’altro alla ricerca di una “verità” che si rivelerà inadatta a rispondere a criteri di oggettività ed inoppugnabilità, considerato che la nostra visione del mondo viene filtrata in base a ciò che è la propria storia e la propria personale percezione. Quindi che senso ha distinguere ancora fra vero e falso, fatto e sogno, passato e presente?

Inception è un capolavoro, la dimostrazione che si possa ancora realizzare un blockbuster che non sia obbligatoriamente in 3D o tratto da un fumetto, che sappia coniugare intrattenimento ad intelligenza, azione a metafisica. Il protagonista, interpretato da un ottimo Leonardo Di Caprio, è un abilissimo scassinatore del subconscio, in grado di penetrare nei sogni di una persona per manipolarli. Intorno a questa idea di base, ruotano – con grande sapienza narrativa – una serie di livelli di lettura e di spunti di riflessione non indifferenti. Su un impianto visivo strabiliante, costellato da effetti speciali mai visti prima, come quello che mostra Parigi che si richiude su se stessa come il coperchio di una scatola, Nolan innesta un’incursione profonda nel mondo dell’immaginazione, che può essere letta anche come un evidente rimando ad uno dei più grandi atti immaginativi esistenti: il cinema, ovvero l’arte del sogno per eccellenza, per dirla con Gondry. Ma Inception è anche [e forse sopratutto] una storia d’amore: un amore puro, folle ed ossessivo.