L’obiettivo di Beppe Grillo è quello di destabilizzare l’intero sistema politico istituzionale, come lascia intendere lui stesso nel libro scritto a più mani con Casaleggio e Dario Fo: «Noi vorremmo che i partiti scomparissero radicalmente, che ci fossero nuove regole di comunità anche in Parlamento. Lo so, molti potrebbero domandare, “Ma in Parlamento se non ci sono i partiti chi ci sarà? Come può esistere un Parlamento senza i partiti?” Nel Parlamento ci saranno i comitati, i movimenti e la società civile». Grillo però si dimentica il piccolo particolare che senza i partiti non esiste alcun esempio di democrazia al mondo. Si dimentica inoltre che, a fronte di questo richiamo alla democrazia diretta, utopistico e fumoso [non si sa come tale nuovo modello democratico dovrebbe funzionare, con quali meccanismi, quali poteri di controllo, quali bilanciamenti, quali istituzioni], lui è il leader monocratico di un movimento senza uno straccio di statuto, che censura ogni voce dissenziente, pieno di dilettanti allo sbaraglio, e con un marchio di cui egli stesso è l’unico proprietario. Quindi, mentre un Paese allo sbando aspetta una sua improbabile assunzione di responsabilità che lo conduca ad un accordo con uno di quegli inutili partiti che vorrebbe spazzare via, finendo – dal suo punto di vista – col cedere a quel sistema che in realtà vorrebbe abbattere, faccio mie alcune riflessioni di Massimo Gramellini.
Si inizia con la considerazione di come il linguaggio di Grillo sia espressione diretta del ventennio che ha visto prosperare messaggi politici come quelli di Bossi e berlusconi «Anticipando il probabile duello finale dei prossimi mesi, Grillo ha attaccato Renzi dandogli della “faccia come il c.” (in comproprietà con Bersani) e del politico di professione. Per lui e per una parte dei suoi elettori le due definizioni sono sinonimi. Tralascio ogni giudizio sull’uso del turpiloquio, uno dei tanti lasciti di questo ventennio che ancora prima delle tasche ci ha immiserito i cuori, portandoci a considerare normale e persino simpatico che un leader politico si esprima come un energumeno». Per poi sottolineare la grande mistificazione della campagna elettorale del M5S, che – cavalcando e alimentando la rabbia e la sfiducia per la classe politica – ha indotto a pensare che tutti i politici siano egualmente dei ladri e che Bersani sia sovrapponibile a berlusconi, con buona pace delle tante leggi ad personam, dei bunga bunga, delle culone inchiavabili, delle ville a Lampedusa, delle case acquistate ad insaputa del proprietario, delle forza gnocche, dei baciamani a dittatori sanguinari, dei ristoranti pieni, dei tumori sconfitti in 3 anni, dei legittimi impedimenti, dei processi brevi, degli avvocati Mills, delle condanne per frode fiscale, dei senatori accusati di mafia, di quelli comperati per 3 milioni di euro e via così: «Gli elettori hanno avuto la percezione che tutti i politici fossero uguali a Fiorito o a Scilipoti e che chiunque potesse fare meglio di loro. Ma non è così. Il “chiunquismo” è una malattia anche peggiore del qualunquismo e porta le società all’autodistruzione. Questa idea che tutti possono fare politica, scrivere articoli di giornale, gestire un’azienda o allenare una squadra di calcio è una battuta da bar che purtroppo è uscita dai bar per invaderci la vita e devastarcela. A furia di vedere buffoni e mediocri nelle foto di gruppo della classe dirigente, ma soprattutto di vedere ovunque umiliata la meritocrazia a vantaggio della raccomandazione, siamo sprofondati in un’abulia che ci ha indotti ad accettare senza battere ciglio ogni sopruso e ogni abuso antidemocratico, a cominciare dai partiti padronali e da una oscura rockstar del capitalismo come presidente del Consiglio. E ora che ci siamo svegliati, per reazione vorremmo buttare tutto all’aria, convinti che per fare politica bastino un ideale e una fedina penale intonsa. Non è vero. Gli ideali e l’onestà sono la base per distinguere i buoni leader dai cialtroni che ci hanno ridotto in questo stato».