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Anno: 2010

L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va

L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va

L’anno che sta per finire è stato purtroppo contraddistinto da terribili disastri naturali ed ambientali: dall’immane terremoto di Haiti con oltre 200.000 morti, allo sversamento di petrolio nelle acque del Golfo del Messico ad opera della multinazionale petrolifera inglese BP, per finire alle drammatiche inondazioni che hanno devastato il Pakistan. L’eruzione di un vulcano islandese ha portato alla chiusura degli spazi aerei di buona parte dell’Europa, costringendo milioni di persone a restare a terra per diverse settimane. A causa del crollo del tetto di una miniera, 33 minatori cilenisono rimasti intrappolati ad una profondità di 700 metri per ben 70 giorni. La notizia ha avuto un’immediata diffusione globale, creando intorno alla vicenda una sorta di gigantesco reality-show.

Politicamente il 2010 è stato un anno di grandi fermenti. La crisi economica ha attanagliato l’Europa, colpendo in particolare la Grecia che ha cercato di reagire con un severissimo piano di austerity, che però ha alimentato forti tensioni sociali, sfociate in scioperi generali e in una vera e propria rivolta popolare. Obama ha annunciato l’inizio del ritiro delle truppe internazionali dall’Iraq, ma nonostante questo le elezioni di midterm lo hanno visto sconfitto a beneficio dei Repubblicani, i quali – sospinti dal Tea Party, un movimento populista e ultraconservatore – hanno conquistato la maggioranza alla Camera. Le rivelazioni del sito Wikileaks che diffonde documenti internazionali coperti da segreto, ha messo a rischio la credibilità dei rapporti diplomatici tra i vari Stati. In particolare alcune informazioni riservate sulla guerra in Afghanistan, come l’uccisione di civili, l’occultamento di cadaveri, l’esistenza di un’unità militare il cui compito sarebbe uccidere i talebani anche senza processo, hanno messo in grave difficoltà l’amministrazione americana.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Ci vuole una sbalorditiva vocazione per riuscire sempre a muoversi contro la logica ed il buon senso e per fare esattamente il contrario di ciò che la propria base chiede e si aspetta. L’elettorato del Partito Democratico vuole le primarie ed un’alleanza a sinistra? Bene. Allora la dirigenza propone di rinunciare alle primarie in nome di un’alleanza con il nascente Polo della Nazione di Fini e Casini, i quali – peraltro – già in più di un’occasione si sono dichiarati indisponibili ad una coalizione del genere. Beppe Civati, uno degli esponenenti di punta fra i trentenni del partito, anima del movimento dei rottamatori, così scrive sul suo blog «Se il Terzo polo si costituirà e si vorrà presentare alle elezioni, sarà una buona notizia. Se vorrà venire con noi [cosa di cui è lecito dubitare], facciamo in modo che siano loro a chiedercelo, alla fine, e non noi, all’inizio, mettendoci in una posizione ancillare che sconfessa le stesse ragioni per cui il Pd è stato concepito. E valutiamo se questa alleanza risponde all’esigenza di cambiamento che dovrebbe essere la nostra unica ragione di vita. Perché qualcuno dice che il Pd forse non esiste più. E, dopo l’intervista di oggi, non ha tutti i torti». Parole durissime e condivisibili che si riferiscono all’intervista in cui Bersani ha annunciato questa nuova, lungimirante mossa politica, che più di una strategia appare come un tentativo di suicidio.

Piuttosto che rafforzare l’idea di una politica partecipata dal basso, il partito si arrocca nel palazzo, nella disperata difesa di una dirigenza incapace di assecondare le istanze di rinnovamento che arrivano da più parti. Piuttosto che dimostrare la reale intenzione di sconfiggere il Caimano, nel momento in cui la sua maggioranza si è sgretolata, il PD cerca di abbattere coloro che impediscono alla “cupola” di preservare la propria posizione di potere. A tutti gli effetti per Bersani e Franceschini, per D’Alema e Veltroni, per Fassino e la Finocchiaro, Nichi Vendola costituisce un pericolo maggiore e più urgente che la destra berlusconiana. Nessun progetto per il Paese quindi, ma l’ennesima autoreferenziale manovra di palazzo.

Se ne va il papà della Pantera Rosa

Se ne va il papà della Pantera Rosa

«Un gigante del divertimento, uno scienziato dell’allegria». Cosi’ Roberto Benigni ricorda Blake Edwards, morto due giorni fa a 88 anni. Basterebbero tre titoli per comprendere la statura del regista e sceneggiatore: Colazione da Tiffany, La Pantera Rosa e Hollywood Party. Accanto a questi gioielli, la formidabile filmografia di Edwards annovera pellicole di grande qualità, come Operazione Sottoveste, I giorni del vino e delle rose, La grande corsa, Dieci, Victor Victoria. Pur misurandosi nei generi più disparati, il suo nome è essenzialmente legato alla commedia, che – assimilata la lezione di Maestri come Hawks, Lubitsch e Wilder – il regista declina in tutte le sue varianti: dalla commedia sentimentale e sofisticata, allo slapstick e alla commedia demenziale, non tralasciando una feroce critica di costume.

Insieme al genio trasformista di Peter Sellers, crea nel 1963 una delle maschere cinematografiche più amate di sempre: lo sfortunato e maldestro Ispettore Clouseau, che i due porteranno sullo schermo per ben sette volte. Nel 1969 sposa Julie Andrews, la più grande star di musical del tempo, che che gli resta accanto sino alla fine.

Un giorno di ordinaria corruzione

Un giorno di ordinaria corruzione

Un uomo che ha costruito il proprio impero economico grazie alla corruzione, non poteva che ottenere la fiducia al suo Governo con lo stesso metodo. Ieri si è consumato un rito che è fino in fondo simbolico della figura del Presidente del Consiglio, da sempre abituato a comperare le persone: si tratti di finanzieri, di giudici, di testimoni, di escort ed ora di avversari politici. Una vittoria numerica che potrà trasformarsi in vittoria politica esclusivamente se il signor b. riuscirà nell’improbabile impresa di allargare la propria maggioranza. Al riguardo sarebbe interessante sapere cosa ha provato la base della Lega, sentendo ieri gli esponenti di punta del proprio partito dichiararsi disponibili a lavorare insieme all’UDC, quando – solo due mesi fa – Bossi definiva Casini «uno stronzo».

Sono più propenso a pensare che un governo del genere, sorretto soltanto dalla corruttela e dalla illiberalità, abbia ormai vita breve. Prova ne sono le manifestazioni e le proteste nate spontanemante in tutta Italia a seguito della notizia della fiducia alla Camera. La piazza non è più disposta a tollerare questo stato di cose. La tensione sociale è altissima e continuerà così fino a quando il pifferaio magico non se ne sarà andato. Quanto alla risicata maggioranza di 3 voti, dubito che possa offrire al Cavaliere un  orizzonte politico sereno e credibile. In proposito concordo con quanto ha dichiarato Nichi Vendola «Il Governo che godeva della più ampia base parlamentare dell’intera Storia Italiana non c’è più. La precaria fiducia ottenuta oggi serve semplicemente a certificare la morte di un ciclo politico».

I sogni e le illusioni di Woody

I sogni e le illusioni di Woody

«La vita è piena di rumore e furore e alla fine non significa nulla».  Prende le mosse da queste amarissime parole di Shakespeare il nuovo film di Woody Allen, che – seguendo le frenetiche vicende di due coppie in crisi, quella già attempata di Helena ed Alfie [un istrionico ed efficace Anthony Hopkins] e quella della loro figlia Sally – finisce col giungere alla stessa conclusione di una sua pellicola di 20 anni fa: Ombre e Nebbia, secondo cui «L’uomo ha bisogno di illusioni come dell’aria che respira». Sono infatti coloro che accettano di vivere nell’illusione, gli unici capaci di godersi l’esistenza anche solo per un istante. Intorno a questo concetto, su cui si innesta una considerazione cinica e spietata sulla vecchiaia, il regista – che ha da pochi giorni compiuto 75 anni – sviluppa Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni. Una commedia agrodolce a cui manca l’umorismo dissacrante dei tempi migliori, ma che comunque è  in grado di offrire riflessioni profonde ed intelligenti. I temi trattati sono tipicamente alleniani:  la disperata ricerca di risposte e soddisfazioni da parte della middle class colta e frustrata, alle prese con amori, tradimenti ed aspirazioni fallite, oltre che con le casualità della vita.

Concordo con Curzio Maltese che su La Repubblica scrive «Essere contemporanei di Woody Allen è una fortuna, come esserlo stati di altri geni prolifici e longevi, Georges Simenon per esempio. Ogni anno c’è un film che vale sicuramente la pena di vedere. Un altro capitolo di una commedia umana cominciata negli anni Settanta. Nuovi caratteri, altri memorabili personaggi e la filosofia di sempre. Ogni nuovo film di Allen è in fondo un apologo sul senso della vita, o sul non senso». Chi si aspettava le battute fulminanti di Basta che funzioni è rimasto deluso ed infatti il film ha spaccato la critica. Chi lo ha visto si è sostanzialmente diviso fra chi sostiene che ormai Allen fa sempre lo stesso film e chi – come me – spera che continui a farlo ancora per molto. «Per me non c’é differenza fra chi legge le carte, chi si affida a un biscotto della fortuna o ad una qualsiasi delle religioni organizzateha recentemente dichiarato il regista  – sono tutte ugualmente valide, o non valide. E tutte ugualmente d’aiuto. Ero interessato al tema della fede, al concetto del credere in qualcosa. Sembra banale ma tutti noi abbiamo bisogno di un’illusione per andare avanti e le persone che sanno illudersi sono più felici di quelle che non sanno farlo». Come dargli torto? Ma soprattutto: come negare che l’amore – che resta ancora in cima alla famosa lista di cose per cui vale la pena vivere – ancorchè illusorio, non meriti d’esser pienamente vissuto? In fondo non importa se sia vero oppure no, quel che conta è “che funzioni”.

Verdi e Verdini

Verdi e Verdini

La settimana politica è stata indubbiamente segnata dalle rivelazioni di Wikileaks, che hanno dimostrato – al di là delle dichiarazioni di facciata – la sfiducia profonda che la diplomazia americana nutre nei confronti di berlusconi. Io però voglio concentrarmi su tre altri avvenimenti, diversi fra loro, che tuttavia sono pienamente esemplificativi della cifra autoritaria ed illiberale di questa destra governativa.

Due giorni fa il coordinatore nazionale del PdL Denis Verdini, indagato per corruzione e associazione segreta, facendo seguito ad una nota di Napolitano dichiara: «Noi sappiamo delle prerogative del capo dello Stato, ma ce ne freghiamo». L’arroganza e la strafottenza di queste parole dimostrano, oltre al legittimo nervosismo dei falchi del Partito dell’Amore, l’ennesimo scriteriato attacco alla Costituzione e alle regole democratiche, che nell’eventualità di una crisi prevedono un preciso e collaudato iter istituzionale. Il Presidente della Repubblica ha infatti il dovere, visto che la nostra è una Repubblica Parlamentare, di verificare se in seno alle Camere esista un’altra maggioranza e – in caso affermativo – di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a chi la rappresenta. Nelle stesse ore a Padova il consigliere provinciale della Lega Pietro Giovannoni afferma «Basta soldi pubblici alla Maratona di Sant’Antonio perché a vincere sono sempre atleti africani o comunque extracomunitari in mutande», mentre alcuni suoi colleghi di partito a Milano si oppongono all’assunzione di infermieri stranieri, anche se in Lombardia mancano circa 8mila infermieri, e di italiani se ne trovano sempre meno. Due fra i tanti segnali di intolleranza xenofoba e ottusa discriminazione di cui il Carroccio si fa triste portatore e che ben rappresentano l’altra faccia della protervia dell’asse berlusconi-bossi.

Un eroe dei nostri tempi

Un eroe dei nostri tempi

Mario Monicelli è la Commedia all’Italiana. Ne costituisce il suo inizio con quei due capolavori che sono I soliti ignoti e La Grande Guerra, rispettivamente del 1958 e del 1959 e ne segna la fine nel 1977 con l’immenso Un borghese piccolo piccolo. Prima, durante e dopo, tanti film indimenticabili, di straordinaria fattura, impreziositi da sceneggiature curatissime e da una precisa analisi della quotidianità dell’uomo medio. Un lunghissimo racconto caratterizzato da uno sguardo acuto e disincantato, che traspone sul grande schermo quell’amara ironia che è il vero filo rosso che attraversa ed unisce tutta l’opera del regista viareggino. Il tratto più rilevante della personalità di Monicelli sta proprio nel contrappunto che si pone tra una puntuale attenzione sociologica ed una vena comica travolgente. Irrispettoso di ogni conformismo e di ogni retorica, è sempre riuscito a cogliere con allegra ferocia o con umana comprensione vizi e vezzi del nostro Paese, regalando ai più grandi attori italiani i loro ruoli migliori.

Si è spento ieri a 95 anni, scegliendo di andare deliberatamente incontro alla morte, un pò come Sordi e Gassman nel film più bello della storia del Cinema Italiano, perchè l’idea di libertà è più grande della vita stessa.

La convergenza fra mafia e politica

La convergenza fra mafia e politica

Oggi Barbara Spinelli ha scritto un illuminante articolo dal titolo: L’osceno normalizzato, in cui fra l’altro si afferma: «Ci fu un tempo, non lontano, in cui era vero scandalo, per un politico, dare a un uomo di mafia il bacio della complicità. Il solo sospetto frenò l’ascesa al Quirinale di Andreotti. Quel sospetto brucia, dopo anni, e anche se non è provato ha aperto uno spiraglio sulla verità di un lungo sodalizio con la Cupola. Chi legga oggi le motivazioni della condanna in secondo grado di Dell’Utri avrà una strana impressione: lo scandalo è divenuto normalità, il tremendo s’è fatto banale e scuote poco gli animi. Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi – futuro Premier – aveva a Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent’anni, almeno fino al ’92. Dell’Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell’incontro a Milano della primavera ’74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest’ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d’un “uomo di garanzia”. C’è dell’osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra».

Com’è possibile che questo Parlamento abbia negato l’autorizzazione a procedere per un personaggio come Nicola Cosentino? Com’è possibile che in Italia nessuno chieda le dimissioni del senatore Marcello Dell’Utri, amico e stretto consigliere del premier, al quale suggerì la discesa in politica? Come può essere che berlusconi ricopra il ruolo di Presidente del Consiglio senza che ancora non abbia risposto dei reati di cui è accusato dalla Magistratura? Di chi è la colpa di tutto questo? Di tutti. Naturalmente del Cavaliere prima degli altri, il quale – grazie al suo impero mediatico – è riuscito nell’impresa di promuovere una condizione sociale di indifferenza ed ignoranza, ideale brodo di coltura perchè si sviluppasse il berlusconismo. Della sinistra che non ha mai saputo [e talvolta voluto] opporsi realmente a questo stato di cose. Di una buona parte della pubblica opinione che non ha saputo [e spesso voluto] impedire la degenerazione attuale della nostra democrazia, inquinata da un sistema autocratico e corrotto. Ecco perchè concordo con la Spinelli quando scrive «Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia». Negli ultimi mesi però vi sono stati diversi segnali di una rinnovata presa di coscienza da parte della gente e di mutati equilibri politici. E nel giorno delle proteste dei ricercatori e degli studenti universitari e della discesa in campo di Montezemolo, forse si avvicina una nuova stagione per questo Paese martoriato.

Generazione Facebook

Generazione Facebook

Dopo Seven e Fight Club David Fincher continua con The social network la sua analisi delle contraddizioni e dei mali della società contemporanea. Il film narra la genesi e l’ascesa di Facebook, il sito di reti sociali che ha rivoluzionato le abitudini di 500 milioni di persone nel mondo e che oggi è valutato circa 25 miliardi di dollari. Una vicenda che, prendendo a prestito la frase di Balzac secondo cui Dietro ogni grande fortuna si nasconde un crimine, fornisce una versione amara ed ossessiva del sogno americano, inserendolo nel contesto della neo-classista società americana di questo primo scorcio di secolo. La paradossale storia di un ragazzo incapace di relazionarsi con amici e amori, che proprio sulle relazioni umane costruisce il più colossale business della storia moderna, fa quindi da spunto per esplorare l’era della comunicazione globale. Facebook nasce come idea anarchica e ribelle nei confronti dell’elitarismo dei college americani. Uno strumento di riscatto attraverso cui Mark Zuckerberg, il ventenne fondatore del social network, intende emanciparsi dalla propria condizione di nerd, tra rivalità, gelosie, intrighi, tradimenti e battaglie legali. Uno “stronzo per scelta” che, pur di raggiungere il suo obiettivo, fa il vuoto intorno a sè e, in una scena finale straordinaria per intensità e simbolismo, cade vittima della propria creazione cercando dalla Rete ciò che la Vita gli ha negato.

L’occhio del regista è neutrale, non giudica, non prende posizione su chi siano i buoni e i cattivi, ma racconta con grandissima efficacia le diverse verità della stessa storia. Un montaggio che scompone la linea temporale del racconto conferendo al film un ritmo incalzante, i dialoghi taglienti dovuti al talento dello sceneggiatore Aaron Sorkin, ed un cast perfetto su cui spicca il protagonista Jesse Eisenberg, sono i punti di forza di questa nuova perla nella carriera di David Fincher.

Vieni via con me

Vieni via con me

A proposito di Vieni via con me e delle diverse polemiche che in queste due settimane l’hanno accompagnato, posso dire di condividere quanto ha recentemente scritto Curzio Maltese. Trovo giusto evidenziare che «un programma che batte il Grande Fratello non soltanto con uno strepitoso Benigni, che sarebbe comprensibile, ma con don Gallo e le storie dei rom o della ‘ndrangheta dell’hinterland milanese, non è un fenomeno di costume, ma la spia di una svolta della società italiana».  In una qualche misura esiste infatti un parallelismo fra il successo senza precedenti della trasmissione di Fazio e Saviano e la crisi finale del berlusconismo, che è tale non soltanto per mere questioni di carattere politico, ma anche per motivazioni più attinenti alla sfera sociale. Inizia ad avvertirsi nel nostro Paese una sempre più marcata e diffusa insofferenza nei confronti della figura del premier, e novità di questi ultimi mesi, tale fenomeno è riconducibile anche all’elettorato di destra.

Il merito di Vieni via con me, che – come sottolinea Maltese – «a differenza di altri programmi proibiti non conduce battaglie politiche, ma sociali»,  è quello di aver «ricondotto alla platea Rai un pubblico giovane e colto che da tempo aveva abbandonato disgustato le reti pubbliche». Questo tentativo di contrapporsi all’egemonia aculturale del regime videocratico di berlusconi non poteva però non scatenare una reazione scomposta e violenta da parte di coloro che di tale regime sono i servitori, i quali – nel più puro stile berlusconiano – sono avvezzi discreditare ed aggredire chi osa muovere critiche al Governo. Ed ecco che così Roberto Saviano, reo di avere raccontato a nove milioni di telespettatori i rapporti tra mafia e politica al Nord tirando in ballo la Lega, viene inopinatamente attaccato dal Ministro dell’Interno, pur avendo fatto affermazioni risapute e confermate dalla Direzione Investigativa Antimafia. Come se non bastasse, proprio come aveva già fatto con Fini, Il Giornale – infastidito dalla popolarità trasversale dello scrittore casertano  che contrasta un potere fortemente compromesso con le organizzazioni criminali – promuove una raccolta di firme contro di lui perchè lo ritiene responsabile di una campagna denigratoria del Nord [SIC!]. Tristi colpi di coda di un sistema ormai morente, che però è ancora in grado di fare molto male.