La musica è ancora ribelle?
Oggi, Franco Battiato, in verità non nuovo a pezzi di ferma denuncia, riporta la musica italiana ad una dimensione più sociale, facendosi interprete della disillusione che una larga fetta del Paese vive nei confronti della politica. Inneres auge [l’occhio interiore, in tedesco] è un brano colmo di profonda indignazione e fortissimo disagio, in cui il geniale artista siciliano si esprime in modo furente ed alquanto esplicito: «Come un branco di lupi affamati che scende dagli altipiani ululando, o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti, precipitano come massi da altissimi monti in rovina. Uno dice: che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato? Non ci siamo capiti, e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?». Mi auguro sia il primo segnale di un ritrovato coraggio a schierarsi. Anche se è vero che «con le canzoni non si fan le rivoluzioni», come cantava Guccini, forse si può contribuire a svegliare qualche coscienza. Sarebbe già un ottimo risultato.
Preferisco vivere nel mio appartamento
Come Peter Pan
30 anni fa in musica
Il 1979 è un anno di grande fermento ed innovazione nel campo musicale. Un anno che fa da spartiacque fra il tipico seventies sound e la new wave degli Anni 80. Sicuramente, se si esaminano le vendite nei primi mesi dell’anno, la disco è ancora in auge, anche se spesso virata su nuove sonorità come in Hot Stuff di Donna Summer o come in Rapper’s Delight dei Sugarhill Gang che segna la nascita embrionale dell’ hip hop, la nuova musica nera che negli anni a venire governerà le classifiche di mezzo mondo. Con un impianto più tradizionalmente da discoteca si presentano invece i due smashing hit I Will Survive di Gloria Gaynor e We are family delle Sister Sledge. Sempre nello stesso anno la scena underground newyorkese diventa famosa su scala internazionale, specie con gruppi come i Talking Heads e come i Blondie con il loro clamoroso successo Heart of Glass. Tra gli artisti più popolari del 1979 vi sono, oltre ai già citati, i Bee Gees, gli Chich, Rod Stewart, i Police, i Pink Floyd, i Supertramp. Esplodono i Knack di My Sharona che qualche critico paragona ai Beatles, salvo però cambiare repentinamente idea quando, solo un anno dopo, nessuno si ricorderà più della band.
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La banda dei cuori solitari di Vinicio Capossela
Tutto si può dire tranne che il “Da Solo Show” di Vinicio Capossela sia uno spettacolo solitario, visto la formidabile band di “strumenti inconsistenti” che supporta il cantautore ed il pubblico che ogni sera continua a rispondere numeroso e calorosissimo! Definirlo un concerto è assolutamente riduttivo. Ciò a cui abbiamo assistito ieri sera al Carlo Felice di Genova è uno zibaldone in forma di varietà, affollato da tanti personaggi prelevati di peso dai baracconi delle stranezze che ad inizio del secolo scorso affiancavano il Circo Barnum. Ed ecco quindi maghi illusionisti, saltimbanchi, giganti e donne mangiafuoco, l’uomo dalla faccia deturpata dalle storie, il polpo palombaro, la medusa nervosa, il minotauro, il maiale dalle due teste che «mangia per due ma rende la stessa quantità di prosciutto. Lo spettacolo è uguale, ha due teste quindi scusate le spalle e scusate la faccia».
La prima parte dello show racchiude le canzoni dell’ultimo splendido e celebrato disco, l’unico disco italiano che la famosa rivista britannica Mojo inserisce fra i migliori dieci dell’anno scorso. E’ la parte più intimista e raccolta, che inizia con Il gigante e il mago e si snoda attraverso la poesia e la magia di canzoni come In clandestinità, Parla piano e Orfani ora fino ad approdare alla struggente metafora de Il paradiso dei calzini, eseguita con un pianoforte giocattolo non più alto di 20 centimetri. Dopo l’intervallo, comincia una seconda parte in cui la scaletta pesca invece dai precedenti lavori. L’atmosfera si fa più calda, sul palco fa il suo ingresso una gabbia illuminata, i musicisti, le cui divise ricordano in parte quelle di Sergent Pepper, incantano con grancasse, tromboni, vibrafoni, banjo e clarinetti e Vinicio trascina un pubblico sempre più festoso ai piedi del palco. Esegue Marajà con una maschera scimmiesca, Canzone a manovella in abito da pesce e Che cos’è l’Amor vestito da cantante country. Per L’uomo vivo il mago viene impacchetato in una camicia di forza ed appeso a testa in giù, fino a quando, secondo la migliore tradizione di Houdini, riesce a liberarsi. In un attimo il teatro è tutto in piedi e vi rimane sino alla fine dello show, ballando, cantando e battendo le mani a tempo, sotto diluvi di coriandoli. C’è spazio anche per diversi pensieri su Genova, «una città in cui ti senti imbarcato, anche se rimani a terra» e per una personale versione de La citta vecchia di De Andrè. Capossela, che dà fondo al suo genio fantastico e visionario, sa intrattenere con intelligenza ed ironia: «se non proprio l’autostima, che di questi tempi è un lusso, coltiviamo almeno un pò di autosolidarietà». Per due e ore e mezza il suo varietà ci ha emozionato, avvinto ed esaltato e, cosa più importante di tutte, è riuscito a condurci in un luogo dove si è tornati bambini a sgranare gli occhi «dentro una sfera di meraviglia».
Pensosamente leggero
Lo scorso mese ho avuto la fortuna di assistere ad uno show case che il cantante ha tenuto alla Fnac di Genova e ho scoperto oltre all’Artista sensibile e delicato, anche un uomo simpaticissimo e brillante. Alla fine del mini concerto si è intrattenuto con i fan e ha scambiato qualche battuta anche con me e Simona. Pochi minuti, ma sufficienti per apprezzarne la genuina naturalezza, tipica di chi fa della propria creatività ed espressività un momento di verità.