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Categoria: politica

La buffonata dell’impeachment

La buffonata dell’impeachment

La politica del chiamarsi sempre fuori da qualsiasi accordo o soluzione condivisa dà agio al M5S di continuare a sbraitare all’inciucio dei partiti tradizionali, in uno stato di perenne campagna elettorale, dove l’unica cosa che importa è alzare i toni. Sempre e comunque. Ciò gli permette di raggiungere quella visibilità che in altri modi non riesce ad ottenere.  L’ultima tappa di questa escalation oltranzista è la ridicola richiesta di impeachment contro il Presidente della Repubblica.
 
La Costituzione prevede che il Capo dello Stato possa essere messo in stato di accusa dal Parlamento, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nei casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione. Ora, tutto si può dire su Napolitano tranne che si sia realmente macchiato di una di queste due gravissime colpe. E su tutto può fare affidamento Grillo, tranne naturalmente che sul voto del Parlamento a favore della sua richiesta. Qual’è allora il senso di questa becera operazione di propaganda, priva del minimo valore giuridico, e che non si fa scrupolo di utilizzare uno strumento serissimo e di fondamentale importanza istituzionale per mere logiche di bottega? E’ quello di proseguire pervicacemente un’azione di delegittimazione del sistema politico, che si vuol fare apparire – nella sua interezza – come corrotto, marcio e malato, a fronte di un M5S, unico baluardo di legalità a fianco dei cittadini. Piuttosto che impiegare i milioni di voti ottenuti lo scorso febbraio per partecipare al normale confronto democratico fra i vari partiti [per ultimo quello intorno alla legge elettorale], Grillo preferisce la contrapposizione sempre più insultante e violenta, arrivando a trasformare un dibattito parlamentare in una rissa da angiporto e a interpretare l’applicazione di un regolamento come un’intimidazione mafiosa. Ancora una volta si sceglie di cavalcare l’onda del populismo e della rabbia contro la casta, allo scopo di conquistare maggiore visibilità e consensi. E lo si fa oggi ancora più forsennatamente perchè, come scrive Bracconi sul suo blog, «il dato oggettivo è che il quadro politico ha subito una brusca accelerazione. Giusto o sbagliato che sia, tutto si è messo in movimento, e ciò costituisce un problema politico serio per un Movimento che ha fatto dell’immobilismo altrui uno dei pilastri su cui costruire la propria identità».
Un passo avanti… ed uno indietro

Un passo avanti… ed uno indietro

Se ciò che conta è il risultato finale, va riconosciuto a Renzi il successo di una legge elettorale condivisa fra le forze politiche più importanti del Paese (se si eccettua naturalmente il M5S, che ancora una volta si rifiuta di partecipare al dibattito democratico e così disattende il mandato ricevuto dagli elettori). In un mese il sindaco di Firenze porta a casa un’operazione che la politica aveva inseguito da tanto tempo. Si è detto molto dell’incontro fra Renzi e berlusconi. Si doveva tenere. Non si doveva tenere. Non si doveva tenere al Nazareno. Probabilmente tutti hanno un pò di ragione. Resta il fatto che una legge elettorale non si può fare a colpi di maggioranza e non è colpa del PD se il leader di FI è ancora berlusconi. Nel merito, certo qualche perplessità c’è. Prima fra tutti la mancanza delle preferenze, che però potrebbe essere ovviata con le Parlamentarie. Inoltre un premio di maggioranza attribuito a chi prende il 35% dei voti significa prevedere una soglia troppo bassa. Bene invece il doppio turno, unico sistema che allo stato delle cose impedisce una nuova stagione di larghe intese. Meglio ancora la soglia di sbarramento al 5% per le forze coalizzate, che evita un’eccessiva frantumazione della squadra di governo. Insomma: una legge criticabile, ma che certamente rappresenta un passo in avanti rispetto al Porcellum. Si poteva fare meglio? Forse si, ma in dieci anni nessuno c’era riuscito.
 
Ciò che invece senza alcun dubbio dispiace è l’arroganza con cui Renzi ha messo a tacere la minoranza interna ed in particolare il Presidente Cuperlo, che aveva espresso un forte ma rispettoso dissenso verso il risultato ottenuto. Una caduta di stile –  non la prima – che dimostra la difficoltà che il Sindaco di Firenze ha di svolgere il ruolo di segretario senza rinunciare al gusto dell’attacco personale, dello sberleffo umiliante, del “qui comando io” che potrebbe in futuro rivelarsi un problema molto serio. Il PD ha diverse sensibilità che vanno armonizzate nel rispetto delle opinioni altrui. In questo ambito deve muoversi il segretario che non può ricercare la «profonda sintonia» con berlusconi, senza prima impegnarsi per costruirla al proprio interno.
La Lega e la negritudine

La Lega e la negritudine

«Il giornale della Lega additerà quotidianamente gli appuntamenti pubblici della ministra Kyenge, accusata dai pensatori fosforici del movimento di “favorire la negritudine“. Probabile che si tratti di una forma di istigazione. Di sicuro ha tutta l’aria di una sciocchezza. L’ennesima. La Lega rappresenta la prova plastica di come l’assenza di cultura possa distruggere un’intuizione a suo modo geniale, quale fu trent’anni fa quella di dare voce ai ceti tartassati del Nord. In mano a una classe dirigente preparata o appena normale, l’idea avrebbe attirato le migliori energie del lavoro e dell’università per costruire un federalismo fiscale moderno. Con i Bossi, i Borghezio, gli Speroni e adesso i Salvini si è invece scelta la strada becera, antistorica e per fortuna minoritaria del razzismo secessionista. Gli attacchi a Roma ladrona si sono illanguiditi con l’aumentare dei privilegi e dei denari pubblici, in un tourbillon di mutande verdi e lauree prepagate. Sono rimasti in piedi soltanto i simboli grotteschi e i luoghi comuni. L’odio per l’euro, i terun, i negher, la diversità e la complessità di un mondo nuovo che non si lascia esplorare dalle scorciatoie del pensiero». 

Così Gramellini sull’ultima provocazione di stampo xenofobo del Carroccio, protagonista di una vera e propria ossessione per Cecile Kyenge, non riuscendo evidentemente a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. L’ennesima mossa diretta agli istinti più bassi e rozzi della società, parte di una propaganda sguaiata che mira a nascondere il vuoto di contenuti della Lega, in caduta libera di consensi a causa dei tanti scandali che l’hanno colpita. Ultima in ordine di tempo la vicenda riguardante la lista “Pensionati per Cota” inficiata da firme false, che ha portato il  TAR del Piemonte ad annullare le elezioni regionali del 2010. Una decisione contro la quale Salvini ha ovviamente già gridato al golpe e alla magistratura bolscevica, secondo il collaudato andazzo ormai di moda presso i leader dei partiti di centrodestra.

Dall’antipolitica all’antistato

Dall’antipolitica all’antistato

«Giocare cinicamente con il dolore, la paura e persino la disperazione della gente. Buttare benzina sul fuoco della crisi. Mettere nella lista nera le persone sgradite. Istigare all’odio e al disprezzo contro tutti quelli che la pensano diversamente. Chi è che fa così? In che anno siamo? 1921 o 2013?» Così Nichi Vendola sulle ultime posizioni di Grillo. Stiamo assistendo ad un’evoluzione dei 5 Stelle. La democrazia si fonda sul diritto al dissenso, sulla libertà di criticare. Eppure il profeta del vaffanculo prevede una società in cui se sei un giornalista sgradito al Movimento debba essere messo alla pubblica gogna, se invece sei un rappresentante delle Istituzioni, democraticamente eletto, debba essere lasciato in balia della rabbia sociale.
 
L’invito che Grillo fa alle forze dell’ordine di farsi da parte, di non difendere più lo Stato, ha una cifra incendiaria ed eversiva, oltre che illecita. Come giustamente ricorda Matteo Renzi: «Due anni fa Grillo invitava i militanti no Tav a picchiare i poliziotti. Derideva i poliziotti, ora li blandisce. E’ un tentativo di rompere la coesione sociale, di mandare tutto all’aria, di scardinare il sistema». Il leader dei 5 stelle non si fa scrupolo di strumentalizzare un clima di disagio, di fomentare l’odio e lo scontro solo per il proprio tornaconto politico, in una logica del tanto peggio tanto meglio che ha superato ogni limite consentito.
Il baluardo

Il baluardo

In questi ultimi giorni le forze populiste del Paese si stanno avvicinando, in un attacco comune ai principali organi istituzionali. Pare infatti saldarsi un asse fra Forza Italia e M5S che mira ad andare subito al voto deligittimando Capo dello Stato e Parlamento democraticamente eletti. Così Grillo sulle pagine del suo blog: «In Parlamento siedono 150 abusivi di Pd, Sel, Cd e Svp. Questi signori non devono più entrare alla Camera, non hanno alcuna legittimità. Devono essere fermati all’ingresso di Montecitorio.». Lo stesso profeta del vaffanculo redige inoltre una lista di proscrizione dei giornalisti che hanno osato criticare il Movimento, sottoponendoli alla gogna digitale, in spregio alle più elementari regole liberali. Tutto questo mentre il PD fornisce una straordinaria dimostrazione di democrazia, portando a votare quasi tre milioni di persone. Quelle stesse persone che con un linguaggio squadrista, perfettamente in linea con quello del proprio leader, una deputata grillina definisce: «tanti pecoroni contenti di dare 2 euro per farsi prendere per il culo piano piano come piace alle persone per bene». Un’affermazione indegna nella bocca di una rappresentante dello Stato a cui si aggiunge quella di un collega, che bolla il Partito Democratico come «melma putrida da buttare».
 
Sono questi i motivi che evidenziano come il PD sia ormai l’ultimo grande baluardo democratico. Renzi ha vinto nettamente. A lui il difficilissimo compito di rinnovare il partito, nel rispetto però delle diverse identità e culture che lo attraversano. Si collabori, vincitori e vinti, ci si confronti senza imporre le proprie posizioni in modo pregiudizievole. Si lavori insieme con l’obiettivo di ridare credibilità e dignità alla politica, altrove così svilita. Si abbandoni la logica delle rivalse personali, dei veti incrociati, delle correnti e correntine che lavorano una contro l’altra. Soltanto così il partito potrà crescere unito e farsi portatore della riscossa politica, culturale e civile di cui ha così bisogno il Paese.
Fuori dal Parlamento!

Fuori dal Parlamento!

L’Italia non ha nulla a che fare con qualsiasi altro Paese occidentale, o con una democrazia civile ed evoluta. Altrove un politico si sarebbe dimesso ben prima di attendere la condanna definitiva, qui invece sono 4 mesi che gli si consente di fare il bello ed il cattivo tempo: minacciare parlamentari, pressare il Capo dello Stato per ottenere la grazia, togliere la fiducia al Governo, chiedere la testa del Presidente del Consiglio, gridare al golpe, promuovere manifestazioni di piazza, fondare nuovi partiti e chi più ne ha. Ancora una volta la responsabilità però non è di berlusconi, ma di un’opinione pubblica bovina ed inetta che non sa cosa significa indignarsi e per cui tutto è lecito, persino che un pregiudicato attacchi la Magistratura, le leggi dello Stato ed il primato del diritto. Una collettività di cui il ducetto di Arcore è da vent’anni modello e allo stesso tempo specchio.
 
A nulla è valso l’anatema che qualche giorno fa aveva rivolto ai senatori del PD e del M5S: salvatemi o della vostra colpa dovrete vergognarvi per sempre di fronte ai vostri figli, ai vostri elettori e a tutti gli italiani. Il Caimano è decaduto, ma sbaglieremmo se pensassimo che questo atto costituisca la fine del berlusconismo. In questo senso sono d’accordo con Barbara Spinelli, che scrive: «È un sollievo sapere che non sarà più decisivo, in Parlamento e nel governo, ma il berlusconismo è sempre lì, e non sarà semplice disabituarsi a una droga che ha cattivato non solo politici e partiti, ma la società. Sylos Labini lo aveva detto, nell’ottobre 2004: “Non c’è un potere politico corrotto e una società civile sana”. Fosse stata sana, la società avrebbe resistito subito all’ascesa del capopopolo, che fu invece irresistibile: “Siamo tutti immersi nella corruzione”, avvertì Sylos.»
Le strette intese

Le strette intese

«Non accetterò più di stare al governo con i miei carnefici» tuona berlusconi all’indomani della decisione della Giunta che ha stabilito che il 27 novembre il Senato dovrà decidere con voto palese sulla sua decadenza. Una frase che, a pensarci bene, potrebbero benissimo pronunziare anche i dirigenti democratici nei confronti di chi, solo 5 anni prima,  aveva comprato un parlamentare a suon di milioni per far cadere la loro maggioranza. Mai come in questo momento le larghe intese sono apparse così strette. Il PDL è allo sbando, scosso dalla distanza sempre più profonda fra i filo governativi e chi invece vorrebbe scatenare l’inferno contro ciò che viene percepito come una persecuzione politica, un attentato alla democrazia, una caccia all’uomo degna di quella che gli ebrei subirono da parte di Hitler!

Dall’altra parte Renzi – che ha più volte ribadito “mai più larghe intese” –  sta a guardare, sperando che il PdL consumi quello strappo suicida che porterebbe ad elezioni anticipate, le sole che potrebbero garantirgli una vittoria nettissima, prima che il ruolo di segretario del PD – un partito che non lo ama e che lui non sa rappresentare in toto – finisca col logorarlo. Straordinario parolaio [«il futuro è il posto dove voglio vivere» o «abbiamo bisogno della rivoluzione della semplicità»], si produce intanto in ciò che gli riesce meglio, ossia dire quello che il popolo vuole sentirsi dire, fra show incantatori, slogan ad effetto, banalità, battute e strizzatine d’occhio. E la sinistra? La sinistra che non cambia si chiama destra, sostiene il sindaco di Firenze. Ma la sinistra che si trasforma in destra, come si chiama? Alla Leopolda si sono visti molti industriali. Ma i lavoratori, i precari, i disoccupati, i pensionati? Staremo a vedere.

La legge Grillo-Casaleggio

La legge Grillo-Casaleggio

«Ieri è passato l’emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull’abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale. Non è stata discussa in assemblea con gli altri senatori del M5S, non faceva parte del Programma votato da otto milioni e mezzo di elettori, non è mai stata sottoposta ad alcuna verifica formale all’interno. Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo perché un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico».
 
Questa la posizione di Grillo circa l’approvazione dell’emendamento del M5S che abroga il reato di immigrazione. In queste parole ci sono tutte le miserie del Movimento. Da una parte il greve populismo che è il vero motore che anima le scelte del profeta del vaffanculo. Le decisioni politiche vengono prese non tanto per il bene comune o in nome di ciò che è giusto o di buon senso, quanto piuttosto allo scopo di ottenere consenso o perlomeno di non perderlo. La famosa democrazia dal basso poi è solo propaganda. L’uno vale uno ha un significato soltanto se quell’uno si chiama Grillo o Casaleggio. In caso contrario uno vale niente e se prova a valere qualcosa, viene zittito o espulso. I parlamentari pentastellati che – è bene ricordarlo ancora una volta – secondo la Costituzione Italiana agiscono [come tutti gli altri] senza alcun vincolo di mandato, sono invece relegati a meri esecutori, obbligati ad obbedire ai diktat dei due fondatori del Movimento, i quali non si fanno scrupolo di sconfessarli ed umiliarli quando si ritiene che le loro azioni non inseguano la pancia dell’opinione pubblica.
La fine di una stagione?

La fine di una stagione?

Ieri Enrico Letta ha dichiarato che il ventennio berlusconiano è finito. Ma è davvero così? Certo il Caimano ha vissuto una gran brutta settimana. Prima il fallimento del suo tentativo di far cadere il Governo: berlusconi è stato costretto a votare la fiducia a Letta come estremo tentativo di evitare la scissione del PdL e la fine del suo regno, perdendo così in un colpo solo sia il potere di interdizione sull’esecutivo, sia l’insindacabilità della sua parola all’interno del partito. Un passaggio delicatissimo reso ancor più complicato dalla condizione di incandidabilità in cui a breve incorrerà e dalle altre scadenze giudiziarie che lo attenderanno nei prossimi mesi. Una carriera politica che a questo punto pare avviata sul viale del tramonto, ma che potrà ancora riservare temibili colpi di coda.
 
Ma la fine della Seconda Repubblica non passa solo attraverso il declino di berlusconi, perchè è un intero Paese ad essere in crisi, perennemente sull’orlo del baratro economico, oltre che allo sfascio politico, culturale e sociale. Bisognerà ripartire dalle macerie, ritrovando prima di tutto un unità nazionale messa in discussione da vent’anni di demonizzazione dell'”altro”. Si dovrà mettere fine a tutti i populismi che hanno contribuito ad involgarire i partiti e a produrre guasti nella coesione sociale. Occorrerà poi riprendere il cammino della formazione e della crescita culturale dei giovani, ed attivare un’idea di democrazia partecipata recuperando il rapporto fra cittadini, politica ed istituzioni.
Il delirio della destra

Il delirio della destra

Mai prima d’ora nella nostra storia repubblicana si è giunti a minacciare  simultanee dimissioni di massa dal Governo e dal Parlamento. Berlusconi chiede ai suoi di lasciare subito, aprendo una crisi istituzionale senza precedenti. Non potendolo fare sul tema a lui più caro, ossia quello dell’accanimento giudiziario sulla sua persona, si serve dell’aumento dell’IVA come specchietto per le allodole ad uso e consumo del proprio elettorato. Ancora una volta una becera manovra populista, ancora una volta una spregiudicata torsione della verità: la vera cifra della comunicazione berlusconiana. La realtà ovviamente è assai diversa, ed è quella di una destra che – senza un briciolo di decenza – non si fa scrupolo di piegare le regole democratiche e di utilizzare le istituzioni come uno strumento di ricatto pur di salvare un delinquente condannato in via definitiva. E’ il punto più basso di vent’anni di berlusconismo.

Tutto questo – è bene ricordarlo – con buona pace di Grillo, il quale, per tutta la durata del Governo Letta non ha fatto altro che blaterare di inciuci, di un PdL e di un PD che sarebbero la stessa cosa, di finte contrapposizioni fatte esclusivamente a beneficio dei media, di un esecutivo che non sarebbe mai caduto perchè non conveniva a nessuno dei due partiti, dei democratici che avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di salvare il Cavaliere. Anche in questo caso la verità viene mistificata per mere logiche di consenso. E non è un caso se il ducetto di Arcore ed il profeta del vaffanculo sono allineati sull’andare immediatamente ad elezioni, pur sapendo che se si votasse domani col Porcellum si consegnerebbe il Paese ad una nuova stagione di ingovernabilità dalle ricadute imprevedibili. Entrambi si muovono secondo personali interessi di bottega. Entrambi puntano allo sfascio dell’Italia. La Grecia si avvicina. Muoia Sansone con tutti i filistei.