Un passo avanti… ed uno indietro
La Lega e la negritudine
«Il giornale della Lega additerà quotidianamente gli appuntamenti pubblici della ministra Kyenge, accusata dai pensatori fosforici del movimento di “favorire la negritudine“. Probabile che si tratti di una forma di istigazione. Di sicuro ha tutta l’aria di una sciocchezza. L’ennesima. La Lega rappresenta la prova plastica di come l’assenza di cultura possa distruggere un’intuizione a suo modo geniale, quale fu trent’anni fa quella di dare voce ai ceti tartassati del Nord. In mano a una classe dirigente preparata o appena normale, l’idea avrebbe attirato le migliori energie del lavoro e dell’università per costruire un federalismo fiscale moderno. Con i Bossi, i Borghezio, gli Speroni e adesso i Salvini si è invece scelta la strada becera, antistorica e per fortuna minoritaria del razzismo secessionista. Gli attacchi a Roma ladrona si sono illanguiditi con l’aumentare dei privilegi e dei denari pubblici, in un tourbillon di mutande verdi e lauree prepagate. Sono rimasti in piedi soltanto i simboli grotteschi e i luoghi comuni. L’odio per l’euro, i terun, i negher, la diversità e la complessità di un mondo nuovo che non si lascia esplorare dalle scorciatoie del pensiero».
Così Gramellini sull’ultima provocazione di stampo xenofobo del Carroccio, protagonista di una vera e propria ossessione per Cecile Kyenge, non riuscendo evidentemente a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. L’ennesima mossa diretta agli istinti più bassi e rozzi della società, parte di una propaganda sguaiata che mira a nascondere il vuoto di contenuti della Lega, in caduta libera di consensi a causa dei tanti scandali che l’hanno colpita. Ultima in ordine di tempo la vicenda riguardante la lista “Pensionati per Cota” inficiata da firme false, che ha portato il TAR del Piemonte ad annullare le elezioni regionali del 2010. Una decisione contro la quale Salvini ha ovviamente già gridato al golpe e alla magistratura bolscevica, secondo il collaudato andazzo ormai di moda presso i leader dei partiti di centrodestra.
Dall’antipolitica all’antistato
Il baluardo
Fuori dal Parlamento!
Le strette intese
«Non accetterò più di stare al governo con i miei carnefici» tuona berlusconi all’indomani della decisione della Giunta che ha stabilito che il 27 novembre il Senato dovrà decidere con voto palese sulla sua decadenza. Una frase che, a pensarci bene, potrebbero benissimo pronunziare anche i dirigenti democratici nei confronti di chi, solo 5 anni prima, aveva comprato un parlamentare a suon di milioni per far cadere la loro maggioranza. Mai come in questo momento le larghe intese sono apparse così strette. Il PDL è allo sbando, scosso dalla distanza sempre più profonda fra i filo governativi e chi invece vorrebbe scatenare l’inferno contro ciò che viene percepito come una persecuzione politica, un attentato alla democrazia, una caccia all’uomo degna di quella che gli ebrei subirono da parte di Hitler!
Dall’altra parte Renzi – che ha più volte ribadito “mai più larghe intese” – sta a guardare, sperando che il PdL consumi quello strappo suicida che porterebbe ad elezioni anticipate, le sole che potrebbero garantirgli una vittoria nettissima, prima che il ruolo di segretario del PD – un partito che non lo ama e che lui non sa rappresentare in toto – finisca col logorarlo. Straordinario parolaio [«il futuro è il posto dove voglio vivere» o «abbiamo bisogno della rivoluzione della semplicità»], si produce intanto in ciò che gli riesce meglio, ossia dire quello che il popolo vuole sentirsi dire, fra show incantatori, slogan ad effetto, banalità, battute e strizzatine d’occhio. E la sinistra? La sinistra che non cambia si chiama destra, sostiene il sindaco di Firenze. Ma la sinistra che si trasforma in destra, come si chiama? Alla Leopolda si sono visti molti industriali. Ma i lavoratori, i precari, i disoccupati, i pensionati? Staremo a vedere.
La legge Grillo-Casaleggio
La fine di una stagione?
Il delirio della destra
Mai prima d’ora nella nostra storia repubblicana si è giunti a minacciare simultanee dimissioni di massa dal Governo e dal Parlamento. Berlusconi chiede ai suoi di lasciare subito, aprendo una crisi istituzionale senza precedenti. Non potendolo fare sul tema a lui più caro, ossia quello dell’accanimento giudiziario sulla sua persona, si serve dell’aumento dell’IVA come specchietto per le allodole ad uso e consumo del proprio elettorato. Ancora una volta una becera manovra populista, ancora una volta una spregiudicata torsione della verità: la vera cifra della comunicazione berlusconiana. La realtà ovviamente è assai diversa, ed è quella di una destra che – senza un briciolo di decenza – non si fa scrupolo di piegare le regole democratiche e di utilizzare le istituzioni come uno strumento di ricatto pur di salvare un delinquente condannato in via definitiva. E’ il punto più basso di vent’anni di berlusconismo.
Tutto questo – è bene ricordarlo – con buona pace di Grillo, il quale, per tutta la durata del Governo Letta non ha fatto altro che blaterare di inciuci, di un PdL e di un PD che sarebbero la stessa cosa, di finte contrapposizioni fatte esclusivamente a beneficio dei media, di un esecutivo che non sarebbe mai caduto perchè non conveniva a nessuno dei due partiti, dei democratici che avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di salvare il Cavaliere. Anche in questo caso la verità viene mistificata per mere logiche di consenso. E non è un caso se il ducetto di Arcore ed il profeta del vaffanculo sono allineati sull’andare immediatamente ad elezioni, pur sapendo che se si votasse domani col Porcellum si consegnerebbe il Paese ad una nuova stagione di ingovernabilità dalle ricadute imprevedibili. Entrambi si muovono secondo personali interessi di bottega. Entrambi puntano allo sfascio dell’Italia. La Grecia si avvicina. Muoia Sansone con tutti i filistei.