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Categoria: politica

Il discorso alla nazione

Il discorso alla nazione

«Non è un seggio che fa il leader ma il consenso». Ecco l’unica frase condivisibile dell’ennesimo videomessaggio di berlusconi. E di consenso popolare il Cavaliere ne ha ancora molto, visto che alle recenti elezioni la coalizione da lui guidata è stata votata da quasi 10 milioni di persone. Un discorso alla nazione altrimenti irresponsabile e farneticante, grottesco a tratti, in cui l’ex premier recita come un mantra le solite veementi accuse nei riguardi della Magistratura e degli avversari politici, e chiama a raccolta i cittadini contro un potere dello Stato italiano.

Nelle parole del leader della rediviva Forza Italia c’è tutto il fallimento della Seconda Repubblica. Un fallimento che investe prima di tutto la destra, incapace in vent’anni di presentare una personalità alternativa a berlusconi che fosse in grado – per storia, capacità e carisma – di sostituirsi autorevolemente alla leadership del ducetto di Arcore. Fino a quando questa destra sarà composta unicamente da tanti yesmen e yeswomen, il cui maggiore compito è quello di difendere il padre padrone dai propri guai giudiziari, il Paese non potrà uscire dalla gigantesca anomalia che ne ha compromesso la crescita in tutto questo periodo. Il fallimento della Seconda Repubblica riguarda anche un centrosinistra che dal 1994 ad oggi è riuscito nell’impresa di apparire allo stesso tempo troppo sussiegoso e sterilmente antiberlusconiano, a dimostrazione dell’impreparazione a maneggiare il fenomeno berlusconi. Un fallimento però che non è soltanto politico, ma anche culturale, perchè alimentato da una pubblica opinione incapace di reagire ad una situazione che sarebbe inimmaginabile in qualsiasi altro Paese. L’indifferenza che i più dimostrano nei confronti in cui la cosa pubblica è stata gestita in questi anni è sicuramente il brodo di coltura che ha consentito a berlusconi di seguitare a spostare sempre un pò più in là il limite di ciò che viene considerato normale o giusto.

Di agibilità politica e quant’altro

Di agibilità politica e quant’altro

Agibilità politica. Grazia. Amnistia. Commutazione della pena. Decadenza da senatore. Incostituzionalità della legge Severino. Ecco ciò di cui si è parlato in questo mese di Agosto. Ancora una volta gli interessi di un uomo solo si sono anteposti a quelli di un Paese intero. Ancora una volta le vicende giudiziarie del Cavaliere hanno condizionato la vita politica ed istituzionale. Dato mille volte per finito berlusconi domina ancora la scena ed è arrivato – da pregiudicato – a dettare l’agenda politica del Governo, riuscendo ad imporre al PD l’abolizione dell’ IMU.
 
Vent’anni fa Craxi fu costretto all’esilio perchè ancor prima che dalla giustizia venne condannato dalla pubblica opinione. Lo scorso febbraio la coalizione guidata da berlusconi è stata votata da quasi 10 milioni di persone ed anche oggi il consenso per l’ex premier è tale da potergli consentire di restare autorevolmente [ed arrogantemente] in sella nonostante una condanna in Cassazione. In questa differenza si misurano i danni fatti da vent’anni di berlusconismo. Vent’anni di battaglie fra poteri dello Stato e fra berlusconiani ed antiberlusconiani che hanno lasciato un Paese in macerie, assuefatto a qualsiasi nefandezza. Un Paese in cui tutto appare normale, anche che una sentenza passata in giudicato non sia motivo più che sufficiente per abbandonare la politica. Oppure che una legge approvata 8 mesi fa dal Parlamento proprio con il preciso scopo di negare l’agibilità politica ai condannati in via definitiva, debba adesso essere portata dallo stesso davanti alla Consulta per bocciarla, perchè impedirebbe l’agibilità politica di berlusconi [sic!]. Secondo l’idea che il ducetto di Arcore ha di uno Stato di diritto infatti, l’applicazione di una legge – peraltro votata anche dal PdL e messa in atto già decine di altre volte – provocherebbe una profonda ferita alla democrazia se a subirla fosse lui, perchè il consenso politico vale più del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge [sic!].
La legge è uguale per tutti

La legge è uguale per tutti

L’uomo nel 1994 era sceso in politica per salvare le proprie aziende dal fallimento ed evitare la galera, e da allora aveva dato il via ad una guerra senza quartiere alla Magistratura, fatta di continui attacchi, intimidazioni, deligittimazioni, leggi ad personam, abolizioni di reati gravissimi, lodi Schifani, lodi Alfano, legittimi impedimenti, prescrizioni brevi, processi lunghi, e via così fino alla farsa dell’uveite. Grazie al suo enorme impero mediatico, capace di entrare nelle case di ogni italiano, aveva trasformato le sue personali vicende giudiziarie in un affare di Stato, insinuando nei più la convinzione d’essere vittima di uno spietato complotto bolscevico, posto in essere da alcuni Magistrati federati per sovvertire l’ordine democratico del nostro Paese. Vent’anni sprecati. Anni in cui il Paese è stato oppresso, schiacciato sotto il peso degli interessi di un solo uomo, ed è diventato più indifferente, più logoro, più corrotto, più volgare, più arretrato, più diviso.
 
Ieri la Cassazione ha condannato questo signore in via definitiva a 4 anni di reclusione per frode fiscale, rinviando il calcolo della pena accessoria – ovvero l’interdizione dai pubblici uffici – ad un nuovo appello, dimostrando così che l’Italia è ancora uno Stato di Diritto in cui la legge è uguale per tutti. Cosa accadrà adesso non è semplice da prevedere. Certo è difficile immaginare che non vi saranno pesantissime conseguenze per l’alleanza di Governo. In questo senso è da rimarcare la netta dichiarazione di Epifani, che ha esortato il PdL ad avere «rispetto verso la magistratura e a non fare forzature istituzionali dopo una sentenza che e’ basata sull’accertamento dei fatti e non su pregiudizi». Auspicio che naturalmente è già stato disatteso dalle prime farneticanti dichiarazioni del Cavaliere e dei suoi. Il segretario del PD ha inoltre lasciato intendere che il partito è pronto a votare la decadenza da parlamentare di berlusconi. Insomma: comunque la si metti la via della riforma costituzionale diventa per Letta molto più stretta. Complicato spiegare alla propria base che si intende mettere mano alla prima legge dello Stato insieme ad un pregiudicato.
Il linguaggio è politica

Il linguaggio è politica

In politica il linguaggio è politica esso stesso. E’ difficile pensare che il vocabolario di Beppe Grillo, sempre così truce e violento, possa davvero veicolare un nuovo modello di democrazia più partecipativa ed efficace. E’ difficile pensare che dietro i grevi epiteti con cui l’ex comico genovese descrive istituzioni e uomini politici, dietro le sue parole cariche di disprezzo in cui non riconosce mai dignità all’avversario politico, possa nascondersi un’idea di rispetto e tolleranza verso chi è diverso da sè. Non a caso in una recentissima intervista Gianroberto Casaleggio ha sostenuto che il M5S governerà quando avrà raggiunto il 51% dei consensi. Quando cioè non sarà costretto a confrontarsi con nessun’altra forza politica. Quando la cultura autoritaria ed antidemocratica dei 5 stelle non dovrà scendere a patti con quanti la pensano differentemente.
 
Pochi giorni fa la Presidente della Camera è intervenuta sul linguaggio di Grillo che dal suo blog aveva lanciato l’ennesimo attacco alle istituzioni: «Con il suo linguaggio aggressivo e distruttivo – ha detto Laura BoldriniGrillo continua a rovesciare insulti sulle istituzioni. Dice di volerle migliori, più efficienti, ma i suoi costanti attacchi verbali contribuiscono non poco a screditarle e a far scadere il confronto collettivo: anche perché le sue offese possono autorizzare ogni cittadino a ritenere che questo sia il modo più efficace di intervenire nella discussione pubblica. Grillo dimentica tra l’altro che il Parlamento nasce comunque, nonostante i limiti dell’attuale legge elettorale, dal voto di milioni e milioni di italiani, lo stesso che ha portato alle Camere anche 163 deputati e senatori del Movimento 5 Stelle. Grillo dovrebbe dimostrare più rispetto per i cittadini e per coloro che li rappresentano».
Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità

Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità

Sono almeno tre le notizie che più di altre hanno guadagnato le prime pagine dei giornali in questi ultimi giorni. Prima di tutto la vicenda della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov espulse brutalmente dall’Italia e riconsegnate al sanguinario dittatore kazako, amico di berlusconi, senza che per adesso siano stati individuati tutti i livelli di responsabilità tecnica e politica, in primis quella del Ministro dell’Interno Alfano. Secondariamente il pesante insulto che Roberto Calderoli ha lanciato nei riguardi di Cecile Kyenge, paragonata ad un orango durante un comizio! Insulto che – se mai ce ne fosse bisogno – dimostra ancora una volta tutto il carico di rozzezza e razzismo degli esponenti del Carroccio. Quella per il ministro dell’integrazione è una vera ossessione della Lega che evidentemente non riesce a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. Infatti il vicepresidente del Senato arriva da buon ultimo dopo una bella lista di frasi inaccettabili che vanno dai rimandi al Congo, all’evocazione del bonga-bonga e all’incitamento allo stupro.

Infine il disegno di legge presentato dal PD che mira a superare la legge del 1957 che stabilisce che i titolari di una concessione pubblica e i rappresentanti legali di una società che fa affari con lo Stato non possono essere eletti. Il testo, sottoscritto da Luigi Zanda, capogruppo dei democratici al Senato, insieme ad altri 24 firmatari, sostituisce il principio di ineleggibilità con quello più blando di incompatibilità, consentendo a berlusconi di mantenere la carica di senatore [eventuali condanne a parte], a patto di rinunciare entro un anno al controllo sulle sue aziende. Un ddl che definire inopportuno è un eufemismo e che è stato accolto in modo controverso all’interno dello stesso PD. «Se l’intenzione è quella di tentare una forma compromissoria per mantenere inalterati gli equilibri politici nazionali, allora io metto in guardia: non verrebbe compreso dalla maggior parte dei nostri elettori, per non dire da tutti», afferma Laura Puppato. Ironico poi Pippo Civati: «Non si sono resi conto che questa è la prima dichiarazione del PD in cui si dice chiaro e tondo che Berlusconi è ineleggibile».

La rumba

La rumba

E’ stata fissata per il prossimo 30 luglio la data dell’udienza in Cassazione per la discussione del ricorso presentato dalla difesa berlusconi contro la condanna in secondo grado per il caso Mediaset. Il Cavaliere è stato condannato a 4 anni di reclusione (di cui tre indultati) e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale. Così su Repubblica.it in merito alla vicenda: «L’altro giorno il ministro Dario Franceschini ha detto che il collante dell’antiberlusconismo è finito, e che il Pd avrebbe dovuto ritrovare le ragioni del suo stare insieme, quand’ecco che il fantasma di Berlusconi riappare, a porre a ciascuno dei senatori democratici la fatale domanda: tu con chi stai? Dopo il 30 luglio, in caso di condanna e d’interdizione dei pubblici uffici, il Senato dovrà decidere a voto segreto se confermare o negare la decadenza da parlamentare di Berlusconi. Se lo salvano, salta il Pd; se fanno la cosa più ovvia, fatta sin qui in sessantacinque di storia repubblicana – ovvero ottemperare a una sentenza definitiva letta dai giudici in nome del popolo italiano – allora si sfasciano le larghe intese. E’ subito partita la solita rumba dei falchi e dei falchetti di Silvio, che minacciano perfino l’Aventino pur di concedere un salvacondotto al Capo, e le cui gridano echeggiano nel Paese  sfinito dalla crisi, dove ogni italiano si chiede con angoscia fino a quando ancora avrà il suo posto di lavoro, e chi non ce l’ha più non sa dove sbattere la testa. Il Pd, aggrumatosi nella strana maggioranza, pacificato, si era illuso di poter archiviare l’anti-berlusconismo; invece alla fine riemerge sempre con tutto il suo carico di anomalie, come succede ormai da vent’anni: a interrogarlo, a interrogarci tutti».

Un assaggio di quanto potrebbe succedere si è già avuto nel pomeriggio di oggi, quando il PdL ha minacciato la crisi e ha imposto al suo alleato di governo il blocco dei lavori parlamentari per un giorno, per protesta contro il partito dei giudici che vuole “giustiziare” il Cavaliere. La resa di fronte al diktat berlusconiano, che ha spinto il PD ad «avallare atteggiamenti di eversione istituzionale» [come affermato da Rosy Bindi] dà la misura esatta dell’inettitudine dei democratici.

Caccia ai caccia

Caccia ai caccia

«Ovviamente sono d’accordo con i colleghi che la rifiutano in toto, perché si tratta di un fatto di estrema gravità, rispetto al quale il Presidente della Repubblica e, soprattutto, la Presidente della Camera dovrebbero riaffermare la sovranità del Parlamento. Immediatamente». Così Pippo Civati a proposito della decisione presa al termine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa, tenutasi al Quirinale e presieduta dal capo dello Stato, secondo la quale il Parlamento non può porre veti al Governo sull’adozione di provvedimenti riguardanti l’ammodernamento delle forze armate.

La disposizione si riferisce alla mozione parlamentare, approvata lo scorso 26 giugno, che impegna il Governo a non procedere a “nuove acquisizioni” nell’ambito del programma di acquisto degli F35 senza che il Parlamento si sia espresso dopo un’indagine conoscitiva di sei mesi. Si riaccende la polemica sull’acquisto dei caccia americani, che comporterebbe una spesa di circa 15 miliardi di euro. Un esborso difficilmente giustificabile in un periodo di grave crisi economica come il nostro, per far fronte al quale – peraltro – viene chiesto ai cittadini ogni genere di sacrificio. Per questo motivo SeL, insieme al M5S ed una pattuglia di deputati del PD, aveva presentato una mozione di sospensione dell’acquisto dei caccia che è stata bocciata. Il primo firmatario della mozione, il deputato di SeL Giulio Marcon, aveva dichiarato: «Il programma F35 non serve alle persone che sono senza lavoro, ai lavoratori precari, alle famiglie impoverite, ai giovani. E non serve nemmeno ad una politica estera di pace, come vuole l’articolo 11 della nostra Costituzione. Spendere tanti miliardi di euro per dei cacciabombardieri, mentre invece non abbiamo i i soldi per bloccare l’aumento dell’IVA e sufficienti risorse per il lavoro, è uno schiaffo all’Italia, alle sue sofferenze». Il PD, dopo che con Bersani aveva sostenuto in campagna elettorale di voler tagliare le spese per gli F35, oggi si ritrova spaccato fra chi vorrebbe dar seguito alle promesse fatte ed un fronte governista, dove ad esempio Francesco Boccia afferma: «La storia degli F35 è assurda e per me delinea l’identità del Pd. Io sono favorevole. Creano posti di lavoro e danno valore all’eccellenza tecnologica».

Una condanna esemplare

Una condanna esemplare

«I sette anni di condanna inflitti a Berlusconi nel primo grado del processo Ruby -uno in più di quanto richiesto dalla pubblica accusa- sarebbero toccati a chiunque altro avesse tenuto simili comportamenti e avesse cercato di avvolgerli in una nuvola di menzogne prendendo in giro il Parlamento e i Tribunali della Repubblica. L’interdizione a vita dai pubblici uffici di un uomo che cerca il sesso a pagamento con delle minorenni, appare a sua volta un provvedimento minimale di precauzione della collettività. Di fronte a una mole schiacciante di riscontri e di prove documentali, Berlusconi ha come al solito opposto la sfacciataggine con cui si dichiara perseguitato. Ma il processo Ruby chiarisce, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la sua assoluta incompatibilità con incarichi da uomo di Stato. Un evasore fiscale puttaniere è meglio che giri al largo dalle istituzioni». Così Gad Lerner sul suo blog.

Spiace non ritrovare lo stesso provvedimento di precauzione della collettività nè in Grillo che, al di là dei proclami di facciata, ha portato berlusconi nuovamente al centro della scena politica, nè tantomeno in Letta che, da una parte ha indotto il ministro Idem alle dimissioni dopo le polemiche sull’Imu non pagata, mentre dall’altra ha addirittura spianato la strada all’ex premier per la riforma costituzionale! Non resta che sperare che questa sentenza esemplare, che colpisce il Caimano per entrambi i reati di cui era imputato: concussione e prostituzione minorile, dia finalmente la misura politica di un personaggio che tutto deve continuare ad essere tranne che un uomo di governo intento a revisionare la massima legge dello Stato.

Setta Pentastellata

Setta Pentastellata

Pensavo di averle viste tutte con la manifestazione dei parlamentari del PdL davanti al Tribunale di Milano per preservare la fedina penale di berlusconi dal complotto bolscevico delle toghe rosse. Invece mi sbagliavo, perchè la manifestazione di parlamentari e fedelissimi pentastellati davanti a Montecitorio per difendere l’onorabilità di Grillo dalle ignominiose critiche delle dissidenti Gambaro e Pinna è – incredibile a dirsi – persino più patetica e penosa.
 
Dopo che la Gambaro è stata scomunicata dall’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari grillini, la decisione è stata confermata oggi dalla rete dei Cinque Stelle. Attenzione però che la rete dei Cinque Stelle non è la “Rete”. Sono gli attivisti certificati del Movimento, ossia un numero ristretto ed irregimentato di persone che si esprimono via web. Fatto sta che dopo questa inquisizione 2.0, a metà tra il processo mediatico, la gogna pubblica, il fanatismo online e il reality show, il M5S si configura come la forza più antidemocratica del Parlamento, riuscendo nella titanica impresa di far apparire il PdL – al confronto – come un partito dove apertura, dibattito interno e pluralismo dominano incontrastati. Nella Setta Pentastellata esiste solo il pensiero unico del profeta del vaffanculo che va difeso e salvaguardato da ogni genere di opinione che non vi si conformi. Peste colga gli eretici! Coloro i quali cioè, ingenuamente, ritengono che le dinamiche di un movimento politico che proclama di voler portare la democrazia diretta nel Paese, debbano svilupparsi secondo logiche altrettanto democratiche e liberali. Ma la purezza della razza grillina non può essere contaminata dal dubbio che il ducetto di Genova non sia sempre nel giusto, a prescindere. Lunga vita al suo Verbo! E per tutti quelli che non  si adeguano una disonorevole espulsione, e si ritengano fortunati che ancora nessuno abbia pensato di propinar loro una bella dose di olio di ricino, come invece meriterebbero per la colpa infamante di cui si sono macchiati! Eia! Eia! Alalà!
Uno vale zero

Uno vale zero

Una senatrice pentastellata individua in Grillo la ragione del crollo elettorale del loro movimento e rilascia questa dichiarazione: «Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo, i suoi post minacciosi soprattutto quelli contro il Parlamento. Mi chiedo come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più». Per il profeta del vaffanculo è un evidentissimo ed intollerabile caso di lesa maestà. Sul suo blog promuove immediatamente un referendum su di sè, che altro non è che un invito mascherato al linciaggio della parlamentare ribelle. Si titilla l’ego con le centinaia di commenti che lo glorificano e gode delle offese all’ennesima, disgraziatissima, traditrice. Infine convoca l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del Movimento, per valutare la proposta di espulsione della senatrice, da sottoporre successivamente alla pubblica gogna della rete! (sic).

Persino berlusconi, prima di mettere alla porta Fini, aspettò parecchi mesi, lasciando che l’ex Presidente della Camera ribadisse le sue posizioni critiche sulla politica del Pdl più e più volte. Viceversa in questo caso [che non è certo il primo] sono sufficienti due righe, espressione di un pensiero non allineato con quello imposto dall’autocrate genovese, perchè chi le ha pronunziate sia fatto oggetto di un processo di scomunica. Ancora una volta Grillo dimostra una scarsissima confidenza col concetto di democrazia. Quella stessa democrazia che il filosofo Norberto Bobbio aveva messo in diretta relazione col diritto al dissenso. Un vero leader questo lo sa perfettamente. Ma Grillo non è un leader. E’ solo un guru capriccioso e demagogo, un capocomico insicuro e volgare, che ha messo in piedi un movimento politico che vorrebbe trasformare in una setta, composta esclusivamente da adepti docili ed obbedienti.