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Mese: Gennaio 2015

Non è Chance il giardiniere

Non è Chance il giardiniere

Nel 1990 Sergio Mattarella si dimise da ministro della Pubblica Istruzione in segno di protesta contro l’approvazione della legge Mammì, che – unica al mondo – consentiva ad uno stesso soggetto privato di detenere più di due reti televisive nazionali. Fu tra i primi ad intuire il gravissimo azzardo di una legge che di fatto spianò la strada all’ascesa prima economica e poi politica di silvio berlusconi. Qualche anno dopo, in qualità di dirigente del Partito Popolare, definì «un incubo irrazionale» l’ingresso di Forza Italia nel PPE. Ecco perchè il Cavaliere, che è uomo che non dimentica gli sgarbi ricevuti, non ha gradito la sua candidatura al Quirinale. Chi fra i Cinque Stelle in questi giorni ha criticato la proposta di Renzi,  contesta al neo Presidente quantomeno di non essere stato sufficientemente tempestivo – come Ministro della Difesa – nel denunciare l’estrema pericolosità dell’uso dell’uranio impoverito durante la Guerra del Golfo, come queste dichiarazioni di Occhetto rilasciate 15 anni fa e rivolte al Governo D’Alema fanno intendere. Ma al di là delle speculazioni dell’ultim’ora di cui certe formazioni politiche non sanno proprio fare a meno, Mattarella – autentico coniglio dal cilindro per il premier – è persona degna di considerazione. Bene ha fatto Renzi a seguire il consiglio di Bersani e a non puntare su Chance il giardiniere, ma su una figura di alto profilo,  ferma ed indipendente, che sappia difendere la Costituzione e la legalità, e sia libero da logiche di partito. 

Rinunciando al suo importante dicastero, 25 anni fa, Sergio Mattarella dimostrò un attaccamento non comune ai propri principi ed ideali. Il suo percorso è quello di un uomo delle Istituzioni schivo e discreto, ma tutt’altro che pavido e certo non manovrabile da alcuno, in grado di interpretare il suo ruolo in autonomia e con misura. Il nuovo Presidente ha sempre fatto dell’impegno nella lotta contro la mafia e di un lavoro rigoroso al Parlamento, al Governo e alla Corte Costituzionale la sua cifra caratteristica. Oggi riesce nella titanica impresa di mettere d’accordo quasi tutti: da Vendola ad Alfano, da Civati a Casini, dai fittiani ai fuorisciti grillini. Fra polemiche, malumori, strappi e dimissioni, gli altri è bene che se ne facciano una ragione.

Non chiamatelo più democratico

Non chiamatelo più democratico

Uno dei sindaci migliori che Genova abbia mai avuto è stato Adriano Sansa, il quale riguardo alla bruttissima vicenda delle primarie liguri ha rilasciato una dichiarazione che più di ogni altra risulta condivisibile.  Anche questa riflessione di Michele Serra centra con lucidità la questione: «Se il centrodestra, mediante primarie, dovesse scegliere tra Hitler e Cicchitto, spererei che vincesse Cicchitto, o perlomeno che non vincesse Hitler. Ma non mi sognerei mai di andare a votare, per una ragione così ovvia che quasi imbarazza doverla ripetere: è intrusivo e sleale andare a decidere cose d’altri in casa d’altri (…). Per ragioni poco comprensibili, e comunque mai spiegate, questa banale regola di rispetto è saltata per le primarie del Pd, che in Liguria hanno vissuto l’ennesima pagina opaca (eufemismo). Che Sergio Cofferati parli con l’acredine dello sconfitto non leva una sola virgola alla sensatezza delle cose che ha dichiarato annunciando il suo addio al Pd. La nuova classe dirigente democratica può legittimamente pensare che perdere uno stagionato dirigente della vecchia sinistra (tra l’altro europarlamentare e dunque non sull’orlo della disoccupazione) non sia poi così grave. Ma gravi, molto gravi, sono le accuse e i sospetti che gravano su quelle primarie, e su altre precedenti: non dunque su Cofferati, ma su chi rimane. È sconcertante la sbrigativa disinvoltura con la quale il nuovo Pd parla di se stesso. Non dei suoi avversari: di se stesso».

Per tali ragioni il silenzio colpevole del PD in merito all’inquinamento del voto ligure (altrove le primarie vennero invalidate per molto meno), e soprattutto le affermazioni della Serracchiani (che ormai si limita ad essere per Renzi ciò che la Santanchè è sempre stata per berlusconi) che mirano a svilire la decisione di Sergio Cofferati, riducendola ad una volgare questione di sconfitta, sono semplicemente vergognose. Assolutamente inaccettabili sia per un personaggio come “il Cinese” che ha una storia personale e politica che meriterebbe un rispetto diverso, sia per molti fra quelli che hanno votato PD e che oramai non si riconoscono più in un partito che ha smesso di fare della giustizia, della trasparenza, della correttezza, del pluralismo, della tolleranza verso chi la pensa diversamente (in una parola sola: della democrazia) valori da perseguire. E un partito che tace di fronte al malaffare e che non è più garante di uguaglianza per tutti non può più essere chiamato democratico.

Je suis Charlie

Je suis Charlie

In queste ore se ne sono sentite tante. C’è persino chi ha sostenuto – e neppure l’ultimo degli scribacchini di Roccasecca, ma  il principale quotidiano economico-finanziario del Regno Unito – che Charlie Hebdo se l’è sostanzialmente cercata perchè da anni eccessivamente provocatorio e irrisorio verso i musulmani. Nel suo editoriale di ieri il Financial Times arriva addirittura a definire “stupidità editoriale” l’atteggiamento del settimanale francese nei confronti dell’Islam, sottolineando che “anche se il magazine si ferma poco prima degli insulti veri e propri, non è comunque il più convincente campione della libertà di espressione”. Come se la satira, che proprio nell’irriverenza e nella sfrontatezza trova le sue armi più efficaci, andasse normalizzata in nome di una non meglio definita sensibilità religiosa. Ma chi ammazza senza pietà delle persone perchè responsabili di aver disegnato delle vignette non lo fa mai per difendere il proprio credo, ma semplicemente perchè è espressione di una barbarie cieca ed infame. All’irriverenza la civiltà può rispondere – semmai – con lo sdegno, o ricorrendo alla Magistratura se lo si ritiene necessario. Ma è l’inciviltà che usa i kalashnikov e le bombe.

E non credo nemmeno che si possa definire stupido chi fa della satira. Charlie Hebdo aveva già subito diversi “avvertimenti”. Nel 2011 la sua sede era stata distrutta da un incendio provocato da una bomba molotov. Eppure non si era lasciato intimidire perchè credeva in ciò che faceva. Credeva cioè che l’ironia ed il diritto a ridere di tutto rappresentano proprio quella libertà di pensiero e di opinione su cui si fondano le democrazie occidentali e che il fanatismo mira a sopprimere, perchè inconciliabile con il regime sanguinario, oppressivo, illiberale ed integralista che vorrebbe imporre ovunque. Un regime che uccide in nome di Dio e che è talmente abbietto ed ottuso da non comprendere che ciò equivale a fare di Dio un assassino. Trucidare dei cittadini inermi gridando “Allah è grande” è sacrilego come nessuna vignetta satirica potrà mai essere.