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Mese: Ottobre 2011

Di Arte, Cinema, Noia, Malick e Von Trier

Di Arte, Cinema, Noia, Malick e Von Trier

Il film più brutto che ho visto quest’anno è The Tree of Life di Terrence Malick. Un autore con un’idea di cinema pretenziosa, infarcita di simbolismi più o meno criptici, di intellettualismi privi di consistenza, di filosofeggiamenti new-age sui massimi sistemi e sul senso dell’esistenza. Un Cinema che è inutile esercizio di pedanteria, e che stabilisce un rapporto diretto e proporzionale fra la [presunta] profondità delle tematiche affrontate e la pesantezza della pellicola che le sostiene. Un Cinema – e questo è l’aspetto peggiore – che non solo separa il regime narrativo da quello propriamente visivo, ma che si spinge a negare il primo a favore del secondo, finendo quindi col rigettare l’essenza stessa del Cinema, che è quella del racconto per immagini. L’Arte è comunicazione, ed il Cinema – che è l’Arte popolare per eccellenza – è intrattenimento. La sfida è intrattenere comunicando in modo intelligente e colto. Ma se invece si sceglie deliberatamente di fare a meno del ponte che deve sussistere fra autore e fruitore, o di realizzarlo in modo che questo arrivi ad un numero esiguo di persone, si compie un’operazione che è sleale e fasulla.

Il danese Lars Von Trier ha affermato che lui non fa cinema per gli altri, ma solo per se stesso. Ed è proprio questa sorta di assoluto onanismo autoriale ad ascrivere Melancholia allo stesso tipo di esercizio artificoso e velleitario descritto per Malick. I loro due lavori, entrambi inopinatamente premiati all’ultimo Festival di Cannes [miglior film Malick, migliore attrice Von Trier], presentano diversi aspetti comuni, oltre quello di avermi profondamente annoiato. Sia l’uno che l’altro mettono in parallelo il particolare della vita delle persone con l’universale dei grandi eventi astrali. E mentre Malick realizza uno sfinente videoclip a base di musica classica, Von Trier si impegna ad essere più narrativo, ma con risultati altrettanto deludenti. La sceneggiatura abbozzata e farraginosa non approfondisce mai nessuno snodo di una vicenda di per sè già oltremodo banale. Situazioni e dialoghi imbarazzanti sono nella migliore delle ipotesi frutto della dichiarata depressione del regista, se non dell’assunzione di sostanze forse lecite e forse no. Probabilmente le stesse che durante la conferenza stampa di presentazione del film lo hanno portato a sostenere di simpatizzare per Hitler.

Una risata ci seppellirà

Una risata ci seppellirà

Sarà capitato a tanti, durante un viaggio in Europa, di essere guardati con un misto di incredulità, scherno, commiserazione e preoccupazione, da chi, vivendo in un Paese “normale”, non riesce a comprendere come sia possibile che gli Italiani abbiano scelto di essere guidati da un personaggio come berlusconi. Quando questa situazione travalica la logica ipocrisia delle istituzioni internazionali, allora significa che la misura è davvero colma. Al vertice UE di sabato scorso, alla domanda di un giornalista sull’affidabilità di berlusconi, Sarkozy e la Merkel hanno abbandonato per un attimo ogni etichetta diplomatica e si sono lasciati andare ad un’occhiata complice e ad un sorrisetto ironico.

E’ sicuramente la prima volta nella Storia che la credibilità del nostro paese tocca questo minimo storico. Quanto accaduto a Bruxelles dà la misura esatta della considerazione di cui il Cavaliere gode oltre i confini nazionali, mentre invece qui può affidarsi ancora ai media di sua proprietà per manipolare la realtà dei fatti, e allo stuolo di politici comprati per restare aggrappato ad un potere che sta sempre più sfuggendogli di mano. Hanno un bel daffare i maggiorenti del Governo a rispondere piccati al Presidente francese e alla Cancelliera tedesca, così come hanno di che indignarsi i molti connazionali che dal 1994 hanno dato fiducia a questo imbonitore da strapazzo. Hanno semplicemente ciò che si meritano per aver portato l’Italia ad essere lo zimbello del mondo occidentale.

This Must Be the Place

This Must Be the Place

Fra i suoi primi quattro film vi sono due capolavori. Ecco perchè è comprensibile entrare in sala con aspettative piuttosto alte. This Must Be the Place non ha la genialità narrativa de Il Divo, nè lo straordinario impatto emotivo de Le Conseguenze dell’Amore, eppure è un film che non si dimenticherà facilmente. Il nuovo lavoro di Paolo Sorrentino contiene gli stilemi tipici del suo Cinema. Ogni aspetto è studiato con estrema cura e realizzato con grande padronanza tecnica: inquadrature, movimenti di macchina, ambientazioni, fotografia, montaggio, colonna sonora, costruiscono una complessa ed avvolgente tessitura in cui viene privilegiata la “messa in scena”. E se da una parte questo innegabile virtuosismo consente al regista napoletano di affacciarsi per la prima volta ad un progetto internazionale senza la minima soggezione, dall’altra ne costituisce anche il suo limite, perchè finisce per mettere in secondo piano il racconto stesso.

La vicenda è quella di una rockstar cinquantenne ritiratasi dalle scene da oltre ventanni. A causa della morte del padre si reca a New York, punto di partenza per un viaggio di formazione nel cuore dell’America, alla ricerca dell’ex criminale nazista che ad Auschiwitz aveva umiliato il genitore. Uno spunto di notevole interesse che forse avrebbe meritato un risalto maggiore. Il risultato finale è comunque affascinante, anche grazie ad una prova magistrale di Sean Penn: con mise che ricorda da vicino quella di Robert Smith dei Cure, voce in falsetto, risatina ebete e andatura lentissima, definisce un personaggio da antologia, pierrot lunare, in equilibrio fra il malinconico e l’infantile.

Il premier ha le orge contate

Il premier ha le orge contate

E’ ormai una politica che sta in piedi solo grazie ai numeri, risicati e perlopiù ottenuti attraverso una triste azione di compravendita. Una politica da bottegai che però consente a berlusconi di restare in sella quel tanto che basta per sfuggire ancora alla giustizia. Unico motivo, questo, che 17 anni fa lo ha spinto a fondare Forza Italia. Il Governo in realtà è politicamente morto dal momento in cui Fini ha deciso di abbandonare il PdL e lo è ancor di più da martedi scorso, quando cioè il Parlamento ha bocciato il primo articolo del Rendiconto Generale. Una stroncatura importantissima che in sostanza riguarda il modo in cui l’Esecutivo ha gestito la finanza pubblica nello scorso esercizio. Esistono solo due precedenti della stessa gravità. Entrambi hanno portato il Presidente del Consiglio in carica a rassegnare le dimissioni. Però berlusconi, che – come scrive il Financial Times di ieri – ha condotto l’Italia ad uno stallo politico che ha di fatto impedito quelle riforme strutturali e quelle azioni correttive che avrebbero aiutato il Paese in un momento di grave crisi economica, si guarda bene dal dimettersi.

Tuttavia è evidente che non sarà certo la fiducia di oggi a risollevare le sorti del Governo, nè tantomeno a sciogliere le preoccupazioni di Napolitano, il quale ha chiesto di assicurare che «la maggioranza di governo sia in grado di operare con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili come l’insieme delle decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei». Il premier ha ormai le «orge contate» [per citare Benigni] e appare sempre più verosimile l’ipotesi di elezioni anticipate nella prossima primavera. L’opposizione ha 6 mesi per arrivarci frammentata, litigiosa e senza un leader riconosciuto. Come ha sempre fatto.

Gli Anni 60 al Cinema

Gli Anni 60 al Cinema

Negli Anni 60 i grandi studios americani vivono un progressivo declino, che arriva ad assumere le proporzioni di una bancarotta. La televisione sottrae milioni di dollari al mondo del Cinema, costringendo le majors a licenziamenti di massa. Perdipiù questi sono anni in cui società e mercato subiscono profonde trasformazioni. Il cambiamento nei gusti degli spettatori è la molla che apre la strada ad una nuova generazione di registi, fra cui Stanley Kubrik [con capolavori come Il Dottor Stranamore e 2001: Odissea nello Spazio], Roman Polansky [Rosemary’s Baby e Repulsion] e Blake Edwards [Colazione da Tiffany, La Pantera Rosa, Hollywood Party]. Vecchi e gloriosi autori come Alfred Hitchcock, Billy Wilder e John Ford hanno giusto il tempo per alcuni straordinari colpi di coda [Psycho, Gli Uccelli, L’Appartamento e L’Uomo che uccise Liberty Valance] prima di essere soppiantati – a partire dalla seconda metà del decennio – da un nuovo linguaggio e da un processo di revisione dei classici, che solo qualche anno prima sarebbe stato impensabile.

Tali trasformazioni sono anche una reazione ai cambiamenti in atto in Europa. La Nouvelle Vague francese infatti esercita una notevole influenza sul cinema americano. Altrettanto si può dire a proposito del nuovo cinema d’autore italiano, guidato da registi come Fellini ed Antonioni, e del formidabile lavoro di Sergio Leone, in grado – da solo – di riscrivere completamente l’epopea del genere western. Tutto questo mentre la migliore commedia all’italiana [quella di Dino Risi e dei suoi Una Vita Difficile e Il Sorpasso, e quella dei vari Monicelli, Germi, Comencini, ecc.] guadagna una crescente considerazione internazionale.

Forza gnocca

Forza gnocca

Le prime due agenzie di rating al mondo declassano l’Italia, non potendo far altro che registrare il grave periodo di incertezza economica e politica che sta vivendo il Paese. Una crisi che, a lungo negata da questo Governo, ora è esplosa in tutta la sua evidenza. E mentre sono sempre più le famiglie che stentano ad arrivare a fine mese, berlusconi in Parlamento trova  il tempo per l’ennesima battuta volgare e sessista. A chi gli chiede notizie sul suo nuovo partito, risponde che farebbe bene a chiamarsi «Forza gnocca». I lavori in Aula si fermano perchè si forma un capannello  attorno al premier in vena di “spiritosaggini”. Una deputata del PD si lamenta ed in risposta alle sue proteste dai banchi della Lega le rivolgono un «Fatti scopare che è meglio».

Inutile dire che la notizia fa il giro del mondo in pochi minuti. Sintomatica dello sfascio di questo Governo, che oltre che politico è anche culturale. Nell’episodio c’è infatti tutta l’arroganza e l’ignoranza del bulletto di quartiere, che poi è il vero DNA di PDL e Lega. Riferendosi a berlusconi, Frattini si lascia scappare: «Credo che molti di noi dovrebbero cercare anche di aiutarlo a comprendere qual è il momento per poter fare una battuta e quale non sia invece il momento per farle». Ammettendo implicitamente di avere a che fare con un demente [senile?]. Ieri comunque si registra anche [e i due accadimenti non sono così slegati] la prima  fronda all’interno del Partito del Premier. Pisanu e Scajola escono allo scoperto ed affermano che «Questo governo non è in grado di reggere il peso enorme della crisi». Il primo passo verso la fine dell’impero.