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Mese: Novembre 2009

Chi ben comincia

Chi ben comincia

Mi piacciono gli inizi. Quando tutto è ancora possibile. Quando la destinazione non è ancora precisa. Mi piace quando si immagina, ma non si sa. Per dirla con Italo Calvino, mi piacciono le attese ancora senza oggetto.

Cinematograficamente parlando, mi piacciono gli incipit. Mi piacciono i titoli di testa. Quel momento in cui la storia sta per essere dispiegata e lo spettatore inizia con l’assaggiare alcuni elementi portanti del film: non solo il cast, ma anche lo stile, il ritmo ed il clima delle sequenze che seguiranno. Nascono dai cartelli del cinema muto, e – nel tempo – da semplice materiale didascalico per fornire indicazioni su produttori, autori ed interpreti della pellicola, sono diventati sempre più elemento espressivo [quand’anche non artistico] a sé stante, vero e proprio ritratto simbolico del film. Questo passaggio avviene pienamente negli Anni 60, con l’avvento della pop art, ossia della pratica “bassa” di fare arte e cultura. Il primo che porta i titoli di testa ad assumere una dimensione propria è Saul Bass, geniale inventore di un design minimalista, ma al tempo stesso altamente evocativo, capace di dire tanto con poco. I suoi lavori più importanti e rivoluzionari sono stati con registi del calibro di Otto Preminger, Alfred Hitchcock, Billy Wilder e Martin Scorsese. Dopo di lui, fra i più bravi, si possono ricordare Maurice Binder, l’autore degli opening-title di James Bond, e – in tempi più recenti – Kyle Cooper, creatore dei credits di Se7en e Spiderman. Come ha affermato Saul Bass in una sua intervista: «Quello che penso su cosa posso fare con un titolo è di introdurre un umore, di sottolineare il cuore del film, di esprimere la storia in modo metaforico. Io vedo nel titolo un modo per indirizzare gli spettatori, così nel momento in cui il film inizia, dovrebbero avere già una risonanza emotiva di ciò che stanno per vedere».

Topo Gigio e la perdita dell’innocenza

Topo Gigio e la perdita dell’innocenza

La campagna di prevenzione contro l’influenza suina, con Topo Gigio nelle vesti di testimonial del Governo, mi lascia un pò sbattuto. Mi riferisco in particolare allo spot dedicato al tema della vaccinazione, molto meno scanzonato di quello sulle 5 regole e – di conseguenza – alquanto snaturante del personaggio. Nel mio immaginario ed in quello di chi oggi è adulto, il pupazzo creato da Maria Perego nel 1959, era rimasto – fino a qualche settimana fa – un tenero esserino che arrossiva dinanzi ai complimenti di Delia Scala, provava un cauto turbamento alla visione dell’ombelico di Raffaella Carrà, faceva da dolce e stranulata spalla al Mago Zurlì, e chiedeva d’essere strapazzato di coccole alla soubrette di turno di una televisione di qualità che oggi non esiste più. Piccolo, enormi orecchie, capelli biondi a paggetto, ha sempre incarnato lo stupore di un bimbo di fronte alla società dei grandi. Deve il suo successo, come ha detto la sua stessa creatrice, «a quel candore in cui tutti i bambini si riconoscevano, e al fatto che rappresentasse il compagno ideale di chi si sentiva inadeguato di fronte al cinismo della realtà».

In verità non comprendo bene la ratio che ha portato ad impiegare come protagonista della campagna una delle icone di chi era piccolo negli Anni 60 e 70, ma che è poco più che sconosciuta dall’attuale generazione di bimbi. Quest’anno Topo Gigio ha compiuto 50 anni e, a causa della mezza età e di questa scellerata scelta di comunicazione, ha perso l’innocenza e l’ingenuità d’un tempo, trascinando anche chi è cresciuto con lui in una nuova consapevolezza di precarietà e sofferenza. Sentirlo pronunziare termini come “tumori” o “malattie croniche” con lo stesso tono di quando esclamava “ma cosa mi dici mai?”, mi provoca un acuto senso di straniamento. Quasi come se all’improvviso venissi messo davanti all’evidenza di quanto il trascorrere del tempo sia inesorabile e di come ormai non ci sia più spazio per essere protetti dalla crudezza di questa vita. I bambini di oggi hanno i Gormiti, a quelli di ieri è rimasto un invecchiato Topo Gigio in camice bianco, senza più sogni, costretto a vaccinarsi da Bonaiuti.
Filologia di Sandro Bondi

Filologia di Sandro Bondi

«Caro Saviano, ho avuto il piacere di conoscerla attraverso la sua opera ammirando il coraggio nel denunciare le organizzazioni criminali della sua città e di seguire con preoccupata partecipazione i problemi che da quel coraggio sono derivati, le minacce che ha dovuto subire e che la costringono a subire limitazioni nella sua vita quotidiana». La lettera che il ministro dei Beni Culturali scrive a Roberto Saviano prosegue con una considerevole serie di complimenti. Bondi sa perfettamente che l’autore di Gomorra è una delle pochissime personalità a godere di una popolarità larga e trasversale, quindi in questo caso preferisce evitare un attacco frontale e sprezzante. Uno di quelli che il ministro e la sua parte politica hanno già riservato a molti. Qui chiaramente occorre agire d’astuzia [!!!].

«Lei, caro Saviano, è onesto ed entusiasta. E penso che sia stato proprio questo sincero entusiasmo a spingerla a proporre una sorta di petizione sul quotidiano la Repubblica contro il decreto legge per il cosiddetto Processo breve. Credo assolutamente nella sua buona fede e nella sua volontà di fare qualcosa di buono per il Paese, e rispetto le sue idee anche se possono essere diverse dalle mie. Ma vorrei, proprio per questo, rivolgermi a lei chiedendole se non ritiene possibile trovare nuove vie di espressione rispetto alla propensione degli intellettuali italiani a farsi partito e farsi impadronire dal demone della politicizzazione e della partitizzazione della cultura. […] Non diventi anche Lei uno dei tanti scrittori che si identificano di fatto con una parte politica, anche se non è la sua intenzione. Uno dei tanti intellettuali che finiscono per presumere di dare voce all’Italia civile contro l’Italia corrotta e incolta». Ma come? Il ministro prima dice di rispettare le idee altrui, ancorchè diverse dalle proprie e poi, subito dopo, conclude affermando qualcosa di altamente irrispettoso nei riguardi dello scrittore napoletano. Lo accusa in sostanza di essere al soldo di un partito, di essere – cioè – intellettualmente disonesto. In sintesi in Italia si è onesti fino a quando non si critica berlusconi. Se invece si decide di varcare questo ideale Rubicone, ci si trova improvvisamente parte di quel culturame politico che il degno compagno di merende di Bondi, il ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta, sostiene stia organizzando un proditorio colpo di stato. Quella elite di merda [sempre per citare il poeta] che, proprio perchè politicizzata, va vilipesa, discreditata e – come in questo caso – più o meno sottilmente minacciata.

For the love of Ella

For the love of Ella

Il 21 novembre di 75 anni fa una timida ragazzina di colore fa il suo debutto sul palcoscenico dell’Harlem Apollo Theatre, durante la serata dedicata agli artisti dilettanti. La giovane si presenta come ballerina, ma una crisi di nervi le impedisce qualunque movimento. Il presentatore la implora di darsi da fare e lei comincia a cantare. Nonostante l’insicurezza vince il primo premio. Il suo nome è Ella Fitzgerald. Quella sera stessa viene notata da Chick Webb, che la vuole come cantante della sua band. È l’inizio di un percorso luminosissimo. Ella ottiene successi leggendari con una carriera durata 60 anni. Migliaia di registrazioni, magici duetti, tredici Grammy Awards ed una laurea honoris causa. La sua vita personale è meno fortunata di quella professionale. La sua infanzia è di estrema povertà e viene trascorsa in un orfanotrofio prima e in un riformatorio poi. Ha 4 mariti ed un solo figlio. Storie complicate e senza fortuna. Chi non si innamora della sua voce di eterna ragazza? Ma poi il vivere quotidiano, la tensione continua per i suoi concerti, quel suo corpo goffo con i cento e rotti chili che si porta addosso rendono tutto difficile. In età adulta è vittima di una grave forma di diabete che la tormenta fino alla fine, facendole perdere la vista e l’uso delle gambe che le sono amputate a tre anni dalla morte.

Ci lascia un mare di meravigliose canzoni, scritte dai più grandi compositori americani, come Harold Arlen, George Gershwin, Irving Berlin, Cole Porter, Jerome Kern e Duke Ellington, nonchè dal maggiore musicista brasiliano: Carlos Anton Jobim. Brani immortali il cui ascolto ci conduce immancabilmente lontano dalle brutture di questa vita e ci fa sorprendere una volta di più della bellezza cristallina e travolgente di una voce senza tempo. Un vero e proprio strumento musicale che con inventiva e fantasia riesce sempre a ragalarci una nuova emozione, anche cantando per la milionesima volta lo stesso brano.

Politica 2.0

Politica 2.0

Non ho mai tessuto le lodi di Facebook. Però in quest’occasione ne parlerò benissimo, visto che da un mese a questa parte la piattaforma sociale più famosa del Web è diventata uno strumento di lotta politica. Parte infatti da una iniziativa spontanea ed apartitica presa sul social network la manifestazione No Berlusconi day, che il prossimo 5 dicembre porterà a Roma un mare di persone con l’obiettivo di chiedere le dimissioni del Premier. La pagina ufficiale dell’evento conta già quasi 300.000 adesioni, ed il ritmo degli iscritti cresce vertiginosamente ogni giorno. Un risultato strabiliante se si pensa che l’idea non nasce attraverso i canali tradizionali della politica, bensì dal basso, grazie cioè ad un manipolo di agguerriti e sconosciuti blogger. Così – a seguito della sentenza Mills e constatata la disinformazione, l’indifferenza generale, l’irresponsabilità dell’opposizione che avrebbe dovuto urlare alle dimissioni in Parlamento e lo sciagurato tentativo di berlusconi di far approvare l’ennesima legge ad personam – dei comunissimi cittadini, ancora fiduciosi sulla possibilità di un cambiamento, hanno deciso di riportare l’impegno politico nelle piazze.

Beppe Grillo, che per primo in Italia ha trasformato il Web da agorà virtuale a nuova forma di aggregazione e mobilitazione sociale, così scrive in suo post: «Non voglio passare la mia vita a inseguire l’ultimo Lodo Alfano, l’ultima ghedinata, l’ultima assoluzione per legge di un corruttore. Non sopporto più i servi che blaterano di riforma della giustizia nei programmi televisivi. Che difendono l’indifendibile, pagati per mentire, coprire, ululare. E’ mai possibile che gli italiani, anche quelli rincoglioniti dalle televisioni, non abbiano un moto di rigetto, un conato di vomito a vedere la Repubblica Italiana trattata come una zoccola? Il Grande Corruttore ha corrotto forse ogni coscienza? Lo psiconano è un uomo in fuga, una vita in fuga dai processi, uno che ha sempre pronto un piano B per sfuggire alla Giustizia, e poi un altro piano B e un altro ancora. Milioni di piani B, fino alla consunzione del Paese. Il 5 dicembre a Roma in piazza della Repubblica è stato organizzato dalla Rete un giorno di caloroso commiato allo psiconano. Io ci sarò».

Gli ultimi saranno i primi

Gli ultimi saranno i primi

Ecco una lista assolutamente incompleta di alcuni recenti studi e ricerche internazionali che hanno collocato l’Italia agli ultimi posti in Europa. La penetrazione di Internet nelle famiglie e nelle aziende, l’alfabetizzazione informatica e la diffusione della banda larga. I salari netti, naturalmente a parità di potere d’acquisto. L’occupazione femminile. La terapia del dolore, paragonata da alcuni ricercatori del settore, «alla tortura per omissione». Lo stato dell’assistenza sanitaria pubblica. La gestione e prevenzione dell’Aids. La diffusione del telelavoro. La crescita economica e il Pil pro-capite. Gli investimenti su università e scuola. La quota di laureati. Gli stipendi dei docenti. Gli studenti relativamente all’interesse nella visita di monumenti e musei. Le vendite di libri e i consumi nel settore culturale in genere. La presenza di donne nella politica. Il potenziamento delle energie rinnovabili. La diffusione e il ricorso alla raccolta differenziata dei rifiuti. La libertà d’informazione.

Potevamo restare passivi di fronte a questa impietosa valanga di dati che fotografa quali siano le drammatiche condizioni sociali, economiche, culturali e politiche in cui versa il nostro paese? Certamente no! Ecco allora che, con uno straordinario rigurgito d’orgoglio e grazie ad un formidabile colpo di reni, siamo riusciti a piazzarci al primissimo posto almeno in una classifica. Quella riguardante il consumo di droga nei paesi del vecchio continente. Tutti abbiamo partecipato con volontà e determinazione al raggiungimento di questo storico traguardo. Studenti, operai, professionisti, politici. Un consumo di massa. Come noi nessuno. Nello Stivale si consuma il maggior quantitativo di “polvere bianca” d’Europa: 100 tonnellate l’anno per un giro d’affari di 30 miliardi d’euro. Solo nelle fogne di Torino, ogni giorno, finisce un chilo e mezzo di cocaina, resti del consumo di circa 13000 dosi. Da sottolineare infine come sia diminuita l’età del primo consumo: i ragazzi iniziano a sniffare a soli dodici anni.

Nuovo Cinema Brunetta

Nuovo Cinema Brunetta

Pochi giorni fa il ministro della Pubblica Amministrazione ha dovuto incassare la notizia che, nonostante la “cura Brunetta” tanto strombazzata dai media del premier, gli assenteisti sono tornati ad assentarsi ed i fannulloni a non far nulla. Autunno di passione quello del ministro, che nelle ultime settimane si era già reso protagonista di alcune farneticanti dichiarazioni, degne peraltro del suo ispiratore e mentore berlusconi. Un ventaglio di aggressioni livorose che hanno avuto come oggetto prima le elite di merda, cioè quelle delle rendite editoriali, finanziarie e culturali, intente ad organizzare colpi di stato per ribaltare il risultato elettorale. Poi la sinistra parassitaria che deve andare a morire ammazzata. E dopo ancora l’Associazione Nazionale Magistrati, definita come un mostro. Ma il punto più basso e al tempo stesso significativo, sta nelle dichiarazioni raggelanti che il ministro ha rilasciato a proposito del Cinema. «Mescolare cultura e spettacolo è un imbroglio. Cineasti parassiti che ti spiegano quanto l’Italia faccia schifo, gente che ha preso tanti soldi e ha incassato poco al botteghino, gente che non ha mai lavorato per il bene del Paese, anzi, non ha mai lavorato. Un film è come un’azienda: ti presto i soldi, magari a tasso agevolato, se va bene ok, se no ti attacchi e me li ridai lo stesso. Ma perchè finanziamo il cinema? Forse che finanziamo i piano bar o le discoteche?»

Niente più cinema come settima arte, dunque. Rossellini vale come un dancing di Riccione, il neorealismo quanto una balera del basso Piemonte. Ed è proprio dai tempi del neorealismo che un politico non metteva in discussione il cinema come forma artistica. La cultura, secondo il ministro Brunetta, è tale solo se fa soldi! Un assunto perfettamente in linea con un governo neofascista che non perde occasione per dimostrare la propria demagogia populista. Persino la scelta dei toni così volgari e sprezzanti dimostra come oramai non ci sia più neppure bisogno di apparire moderati presso una pubblica opinione inesistente. Oltre alla caccia al comunista, al drogato, all’omosessuale, all’uomo di colore, al rom, al sindacalista, al magistrato, ecco che berlusconi ed i suoi feldmarescialli, con Brunetta in testa, hanno apertamente dato il via alla caccia all’intellettuale.

Heroes

Heroes

Nell’estate del 1977 David Bowie era a Berlino per incidere un disco. Gli studi di registrazione si trovavano proprio di fronte al muro che allora divideva in due la città. I musicisti potevano vedere dalla finestra le torrette con i soldati ed il filo spinato. Ed è proprio la vista di una giovane coppia di innamorati che si dà appuntamento ogni giorno sotto il muro, a fare da ispirazione ad una delle più belle ed inusuali canzoni di sempre. «In piedi accanto al muro mentre i fucili sparavano sopra le nostre teste, ci baciammo come se niente potesse accadere, lasciando la vergogna dall’altra parte. Possiamo batterli, ancora e per sempre. Possiamo essere eroi, anche solo per un giorno»: non una rivoluzione quindi, nessun spargimento di sangue, ma solo due individui che si ribellano al regime per amore.

Una canzone dedicata ai veri eroi. Quelli che un giorno dopo l’altro sono capaci di andare avanti nonostante le discriminazioni, con solo la propria passione da contrapporre a chi intende separarli. Una passione intesa come forza in grado di aggredire non solo le barriere fisiche, ma anche quegli ostacoli invisibili fatti di intolleranza, pregiudizio, settarismo, conservazione. E se le prime talvolta si abbattono con fermezza, i secondi – più subdoli ma altrettanto reali – possono restare ad allontanare e dividere le persone. Non si può far altro quindi che perseguire l’amore, nel senso dell’apertura, della comunicazione, dello scambio, perchè la diversità è ricchezza. E’ la base del confronto, e solo confrontandosi si cresce. Insieme.

Croce Via

Croce Via

Cominciamo subito col dire che l’Italia è fra gli Stati firmatari della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, che – fra le altre cose – stabilisce l’equidistanza di ciascun Stato da ogni religione e quindi il diritto di ogni genitore di vedere i propri figli istruiti nel rispetto di questo principio. Di conseguenza, prendendo le mosse dal ricorso di una madre italiana di origine finlandese, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha, con piena legittimità ed autorità, giudicato in merito all’applicazione di tale fondamento. Il crocifisso nelle aule, esprimendo una maggior vicinanza dello Stato ad una religione specifica, violerebbe il principio di neutralità, tanto più che il crocifisso è presente in un contesto particolarmente influenzabile come quello dei minori.
 
Fin qui i fatti oggettivi, rispetto ai quali non si comprende bene il perchè di tante polemiche, come al solito tutte italiane. Perchè firmare una Convenzione se non se ne condividono i principi ispiratori? Perchè quella italiana è “la politica della convenienza“. La politica, cioè, di quelli che prendono le decisioni solo in funzione della successiva tornata elettorale, con un occhio sempre attento a non entrare in rotta di collisione con la Chiesa cattolica. E visto che da quest’estate, per i ben noti motivi, i rapporti fra Governo e Santa Sede si sono fatti piuttosto tesi, oggi si rende ancor più necessario ingraziarsi le alte sfere vaticane. Diventano così più chiare le reazioni scomposte del centrodestra alla decisione della Corte. Berlusconi parla di sentenza che «nega le radici cristiane del nostro Paese». Bossi con la consueta dose di eleganza afferma che si tratta di «una stronzata». La Russa dà prova di equilibrio e misura, auspicando la morte dei giudici europei e dei «finti organismi internazionali che non contano nulla». Persino Bersani preferisce assumere una posizione conciliante con la Chiesa, sostenendo che «il crocefisso è una tradizione che non può essere offensiva per nessuno» dimostrando, ancora una volta, che il PD non capisce, o finge di non capire nulla.
 
Eppure la decisione della Corte europea non fa che affermare un concetto fondamentale: nessuna istituzione può essere sotto il marchio di un unico segno religioso. Laicità significa neutralità, apertura e rispetto del pluralismo.
L’influenza del Grande Fratello

L’influenza del Grande Fratello

Pochi giorni fa il viceministro della Salute ha affermato che «il virus dell’influenza A è dieci volte meno aggressivo dell’influenza stagionale». Tuttavia continua il terrorismo mediatico sulla cosidetta influenza suina. Ogni giorno la televisionetrasmette il bollettino dei morti per il virus, omettendo di precisare che gli anni scorsi la mortalità della tradizionale influenza fu decisamente più elevata. Nessuno però in quel caso si sognava di fare la conta delle vittime. Tutto ciò ha finito con lo scatenare la psicosi fra la gente, con buona pace di chi ancora sottovaluta l’enorme ed insinuante potere di convinzione che i media, TV in testa, hanno, specialmente in questo paese. In farmacia spray igienizzanti e salviettine varie sono ormai beni rarissimi. Per strada bisogna fare attenzione a non starnutire o ad evitare il minimo colpo di tosse, perchè si potrebbe essere considerati come dei terribili untori.

Fu Adolf Hitler il primo capo di governo a pensare alla televisione come media per influenzare e condizionare le masse. Documenti rimasti segreti fino a poco tempo fa dimostrano come fosse tutto pronto per lanciare programmi tv diffondibili su megaschermi, da installare nelle piazze e nelle lavanderie. Il palinsesto prevedeva notiziari, programmi di istruzione sportiva ed educazione fisica, un serial sulla vita di una perfetta famiglia ariana ed anche riprese in diretta delle esecuzioni capitali dei nemici del regime. Il progetto venne poi fermato per motivi di budget alla vigilia della guerra.