Sfogliato da
Mese: Ottobre 2009

Il limite

Il limite

Ricordate quando Moretti ne Il Caimano afferma che «Berlusconi ha già vinto perchè le sue televisioni hanno cambiato la testa degli italiani», rievocando peraltro ciò che nei primi anni 70 aveva detto Pasolini riguardo al neofascismo consumistico: «Il fascismo non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione [specie, appunto, la televisione], non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre».

A proposito del caso Marrazzo, ho letto ripetute volte in più blog, anche da parte di persone di idee vicine al centrosinistra, che non è giusto giudicare un uomo politico in base ai suoi comportamenti privati. Dimenticando forse il concetto di rappresentatività, in virtù del quale chi legifera e governa ha il diritto di essere lì al nostro posto, ma ha il dovere di farlo nel modo più trasparente, non prestando il fianco a situazioni di dubbia moralità, o peggio, clientelismi, lotizzazioni o corruzioni. In democrazie molto più sane della nostra ci si è dimessi perchè non si è pagato i contributi alla colf. Mi si può dire: eh si, ma quello è un fatto illecito. Bene. Giusto. Allora la questione privata va considerata solo se genera un reato. Però in Italia si è considerati innocenti fino a quando non si è condannati al terzo grado di giudizio. Bene. Giusto. Però uno può sempre disconoscere la sentenza che lo riguarda, sostenendo che i giudici che l’hanno emanata sono della parte politica avversa. Bene. Giusto. Allora uno può promulgare alcune leggi ad personam per evitare di essere giudicato da magistrati di parte, a patto però che tali leggi rispettino la costituzione. Bene. Giusto. Però uno può sempre sostenere che la Consulta che valuta la costituzionalità di una legge non è un organo di garanzia, perchè composta da giudici comunisti. Bene. Giusto.

Ecco perchè Moretti e Pasolini hanno ragione. Perchè berlusconi seguita a spostare sempre un pò più in là il limite di ciò che viene considerato normale o giusto in questo piccolo paese. Non si deve mai abbassare la guardia, specie rispetto a cose che alcuni tendono surrettiziamente a far apparire irrilevanti, perchè in realtà sono molto importanti.

Dimettersi? Così non fan tutti!

Dimettersi? Così non fan tutti!

Io sono dell’avviso che nel nostro paese vi sia una grossissima questione morale da affrontatare e risolvere. Forse ci si è dimenticati che esiste un decoro delle istituzioni a cui sono chiamati a rispondere i nostri rappresentanti, che – in quanto tali – hanno il dovere di tenere comportamenti irreprensibili sotto ogni punto di vista. Pertanto per gli uomini di Stato non può e non deve esistere un distinguo fra abitudini private e sfera pubblica. I cittadini hanno il diritto di sapere se chi hanno votato è una persona proba, oppure è coinvolto in situazioni eticamente deplorevoli, quand’anche non perseguibili giuridicamente, che lo mettono, peraltro, nella posizione d’essere ricattabile. Il Governatore del Lazio Piero Marrazzo utilizzava l’auto di servizio per recarsi da alcune prostitute. Un fatto disonorevole e politicamente insostenibile che dopo l’autosospensione, lo porterà verso sempre più probabili dimissioni.

In un “paese normale” ci saremmo fermati qui. Siccome però non bisogna mai scordarsi che ci troviamo in Italia, dove non c’è limite al peggio, sopra questa vicenda si è riusciti ad innestarne un’altra, se possibile ancora più grave e sconvolgente. Grazie al suo mai risolto conflitto di interessi, berlusconi è venuto a conoscenza dell’esistenza di una registrazione video con cui si ricattava Marrazzo, proprio perchè questa è stata proposta al direttore di Chi per 200.000 €. Pronto ad offrire la sua solidarietà ad un altro uomo politico coinvolto come lui in uno scandalo sessuale, ha pensato bene di telefonargli, prima per assicurarlo che i giornali di sua proprietà non avrebbero  diffuso la registrazione compromettente, e dopo per consigliargli di ricomprare il video, facendolo sparire dalla circolazione e mettendo così tutto a tacere. Come scrive Luca Telese nel suo blog: «Ancora una volta c’è da stupirsi di come i giornali riportano con un tono apparentemente bonario e senza nessun commento questa notizia. Così scopriamo che due autorità pubbliche, un presidente di regione e un presidente del Consiglio, di fronte ad un ricatto, non sono nemmeno sfiorati dall’idea di rivolgersi alle autorità giudiziarie, a un magistrato, o a un poliziotto. Non gli passa proprio per la testa». Massimo Gramellini poi rincara la dose, ponendo l’accento sulla gigantesca anomalia del sistema politico italiano: «E’ l’ultima, lampante esplicazione del conflitto di interessi. Ma così lampante che nessuno di noi ci ha fatto caso. Provate a pensarci un attimo. I carabinieri ricattatori filmano Marrazzo e provano a vendere il video a un giornale del Premier. Non importa che il presidente del Consiglio abbia evitato di infierire. Resta il fatto che, grazie al suo ruolo di tycoon mediatico, gli era stata offerta la possibilità di distruggere un avversario politico».

La musica è ancora ribelle?

La musica è ancora ribelle?

La musica italiana d’autore ha da lungo tempo perso quell’impegno politico che l’aveva contraddistinta durante gli Anni Settanta, quando diventò espressione della controcultura giovanile, figlia di quella forte politicizzazione, avvenuta a seguito delle lotte operaie e studentesche della fine degli Anni ’60. I cantautori nati artisticamente in quegli anni personalizzarono il proprio impegno, ognuno a suo modo: De Andrè cantando di figure umili, emarginate e borderline. De Gregori usando una chiave ermetica ed assai poetica. Guccini proponendo la disillusione di storie di [stra]ordinaria quotidianità. Rino Gaetano giocando sulle corde del sarcasmo e del grottesco. Venditti fondendo denuncia sociale e cuore. Questi autori ed altri ancora furono protagonisti di un periodo di estrema creatività ed irripetuta qualità, in cui la musica diventò il simbolo più pieno di una generazione in fermento, fortemente coinvolta dalla politica.

Oggi, Franco Battiato, in verità non nuovo a pezzi di ferma denuncia, riporta la musica italiana ad una dimensione più sociale, facendosi interprete della disillusione che una larga fetta del Paese vive nei confronti della politica. Inneres auge [l’occhio interiore, in tedesco] è un brano colmo di profonda indignazione e fortissimo disagio, in cui il geniale artista siciliano si esprime in modo furente ed alquanto esplicito: «Come un branco di lupi affamati che scende dagli altipiani ululando, o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti, precipitano come massi da altissimi monti in rovina. Uno dice: che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato? Non ci siamo capiti, e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?». Mi auguro sia il primo segnale di un ritrovato coraggio a schierarsi. Anche se è vero che «con le canzoni non si fan le rivoluzioni», come cantava Guccini, forse si può contribuire a svegliare qualche coscienza. Sarebbe già un ottimo risultato.

Chi ignora il passato non saprà mai nulla del presente

Chi ignora il passato non saprà mai nulla del presente



[1973]
Silvio Berlusconi fonda la Italcantieri Srl, grazie a due misteriose fiduciarie svizzere. Tramite l’amico avvocato Cesare Previti, acquista ad Arcore, pagandola appena 500 milioni di lire, la Villa Casati ed alcuni terreni contigui. La proprietà gli è venduta da Annamaria Casati Stampa, contessina dodicenne rimasta orfana nel 1970, che versa in grandi difficoltà finanziarie, della quale l’avvocato Previti è tutore legale.
[1974]
Grazie a due fiduciarie della BNL, nasce l’Immobiliare San Martino, amministrata da un ex compagno di università,
Marcello Dell’Utri, palermitano. In un condominio di Milano 2 nasce una tv via cavo, Telemilano 58, che passerà ben presto all’etere col nome di Canale 5. Berlusconi si trasferisce con la famiglia a Villa Casati, affiancato dal boss mafioso Vittorio Mangano [nel 2000 condannato all’ergastolo per duplice omicidio], assunto in Sicilia da Dell’Utri come “fattore”, cioè come amministratore della casa e dei terreni.
[1975]
Le due fiduciarie danno vita alla Fininvest. Nascono anche la Edilnord e la Milano 2. Ma Berlusconi non compare mai: inabissato e schermato da una miriade di prestanomi dal 1968 fino al 1975, quando diventa presidente di Italcantieri, e poi fino al 1979, quando assumerà la presidenza della Fininvest.
[1977]
Appena divenuto Cavaliere del Lavoro, acquista una quota dell’editrice de Il Giornale, fondato tre anni prima da Indro Montanelli.
[1978-1983]
Riceve circa 500 miliardi di lire, di cui almeno una quindicina in contanti, per alimentare le 24 [poi salite a 37] holding che compongono la Fininvest, di cui si ignora tutt’oggi la provenienza. Sono gli anni della scalata
al poteree della ascesa al governo del suo amico Bettino Craxi, segretario del Psi.
[1978]
Si affilia alla loggia massonica deviata e occulta
Propaganda 2 [P2] del maestro venerabile Licio Gelli. Di lì a poco comincerà a ricevere crediti oltre ogni normalità dal Monte dei Paschi e dalla BNL [due banche con alcuni uomini-chiave affiliati alla P2]. E inizierà a collaborare, con commenti di politica economica, al Corriere della Sera, controllato dalla P2 tramite Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din. La P2 verrà poi sciolta, in quanto eversiva, con un provvedimento del governo Spadolini.
[1980]
Berlusconi fonda, con Marcello Dell’Utri, Publitalia 80, la concessionaria pubblicitaria per le reti tv.
[1981]
I giudici milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, indagando sui traffici del bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona, trovano gli elenchi degli affiliati alla loggia P2. Berlusconi però non subisce danni dallo scandalo che travolge il governo, l’esercito, i servizi segreti e il mondo del giornalismo.
[1982-1984]
Berlusconi acquista l’emittente televisiva Italia 1 dall’editore Edilio Rusconi e l’emittente Rete 4 dalla Mondadori: ormai è titolare di tre network televisivi nazionali, e può entrare in concorrenza diretta con la Rai. Ma tre pretori, di Torino, Pescara e Roma, sequestrano gli impianti che consentono le trasmissioni illegali di programmi in contemporanea su tutto il territorio nazionale. Craxi vara un decreto urgente [il primo “decreto Berlusconi”] per legalizzare la situazione illegale. Ma il decreto non viene convertito in legge perché incostituzionale. Craxi ne vara un altro [il secondo “decreto Berlusconi”], minacciando i partiti alleati di andare alle elezioni anticipate in caso di nuova bocciatura del decreto. E nel febbraio ’85 il decreto sarà approvato, dopo che il governo avrà posto la questione di fiducia.
[1986]
Berlusconi acquista il Milan Calcio e ne diviene presidente. Intanto fallisce l’operazione La Cinq in Francia, che chiuderà definitivamente i battenti nel ’90. E’ Jacques Chirac a cacciarlo dal suolo francese, definendolo “venditore di minestre”.
[1988]
Il governo De Mita annuncia la
legge Mammì sul sistema radiotelevisivo, che in pratica fotografa il duopolio Rai-Fininvest, senza imporre al Cavaliere alcun autentico tetto antitrust. Berlusconi acquista La Standa. La legge verrà approvata nel 1990.
[1989-1991]
Lunga battaglia fra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori, la prima casa editrice che controlla quotidiani (La Repubblica e 13 giornali locali), settimanali (Panorama, Espresso, Epoca) e tutto il settore libri. Grazie a una sentenza del giudice Vittorio Metta, che il tribunale di Milano riterrà poi
comprata con tangenti dall’avvocato Previti, il Cavaliere strappa la Mondadori al suo concorrente. Una successiva mediazione politica porterà poi alla restituzione a De Benedetti almeno di Repubblica, Espresso e giornali locali. Tutto il resto rimarrà a Berlusconi.
[1990]
Il Parlamento vara la legge Mammì, fra le polemiche: Berlusconi può tenersi televisioni e Mondadori, dovendo soltanto spogliarsi de Il Giornale [che viene girato nel ’90 al fratello Paolo].
[1994]
Berlusconi, ormai orfano dei partiti amici, travolti dallo
scandalo di Tangentopoli, entra direttamente in politica, fonda il partito di Forza Italia, vince le elezioni politiche del 27 marzo alla guida del Polo delle Libertà e diventa presidente del Consiglio. Il 21 novembre viene accusato di concorso in corruzione, reato che sarebbe stato perpetrato mediante il versamento di alcune tangenti ad ufficiali della Guardia di Finanza impegnati in verifiche fiscali presso quattro sue aziende. Il 22 dicembre è costretto a dimettersi, per la mozione di sfiducia della Lega Nord, che non condivide più la sua politica sociale e avvia una violenta campagna ai danni dell’ex alleato, esplicitamente accusato di appartenere alla mafia.
[1996]
Berlusconi, indagato nel frattempo per storie di mafia, falso in bilancio, frode fiscali e soprattutto corruzione giudiziaria insieme a Previti, si ricandida alle elezioni politiche, ma perde. Vince il candidato del centrosinistra Romano Prodi. Trascorrerà 5 anni all’opposizione, alle prese con una
serie di inchieste giudiziarie e di processi, conclusi con diverse condanne in primo grado, poi trasformate in prescrizioni e in assoluzioni in appello e in Cassazione.
La dittatura dei calzini turchesi

La dittatura dei calzini turchesi

L’altra sera ad Annozero Massimo D’Alema e Rosy Bindi non hanno avuto il coraggio di dire qualcosa di sinistra. Al leghista Castelli che così li incalzava: «Il 65% degli italiani è con Berlusconi. Saranno mica tutti scemi gli italiani?» non hanno osato dare l’unica risposta che esiste per questa domanda, ossia: sì, gli italiani sono scemi… ed anche qualcosa di più. Daniele Luttazzi sul suo blog scrive: «Circa trent’anni fa, le strategie del marketing politico USA hanno raggiunto un nuovo livello di consapevolezza con la scoperta, da parte dei “think-tank” di destra, che l’elettorato non vota in modo razionale, ma in base a suggestioni emotive. Il programma elettorale diventa secondario, se non sai come raccontarlo. Vinci le elezioni [è questo il grande trucco] se lo sai raccontare come una storia: una storia che crei con l’elettore un legame emotivo. Nella nuova realtà politica, tutta emotiva, la popolarità sostituisce la legittimazione; la vittoria la credibilità; e i sondaggi l’ideologia.»
 
Ed è proprio in questa fenomenologia che risiede il largo consenso di cui berlusconi gode ancora. Quel consenso che il premier ha costruito grazie al suo impero mediatico e che ora è pronto a monetizzare, ricorrendo al referendum per modificare la Costituzione. Lo scopo è far approvare la Riforma della Giustizia con la quale sottoporre i magistrati al controllo dell’esecutivo, e quindi distruggere quel sistema di pesi e contrappesi su cui si fonda ogni democrazia. E l’agghiacciante video sul giudice Mesiano [che ha condannato la Fininvest al risarcimento di 750 milioni di euro a favore della Cir di De Benedetti, per la vicenda del Lodo Mondadori], andato in onda su Canale 5, è solo un esempio della brutalità mafiosa con cui saranno aggrediti ed “avvertiti”, uno ad uno, coloro che intralceranno il progetto di instaurazione di una dittatura di stampo neofascista, “invisibile” alle masse incolte, qui, nel cuore dell’Europa civile. Una dittatura dove anche indossare dei calzini turchesi  sarà motivo sufficiente per essere messi alla gogna dalle TV del padrone.

E’ primario fare le primarie?

E’ primario fare le primarie?

Non c’è settimana che il PD non delizi il suo elettorato [sempre meno nutrito] con un nuovo casus belli. Non si è fatto in tempo a sbollire la rabbia per la superficialità inammissibile con cui 22 deputati democratici hanno disertato il voto sullo scudo fiscale, facendo così passare la legge e consentendo al governo di schivare una debacle dalle conseguenze imprevedibili, che ieri l’onorevole Paola Binetti ha votato diversamente dalla posizione del partito sul testo contro l’omofobia. Non mi è chiaro quale valore possa avere la presenza all’interno del PD di un’esponente che non si è fatto scrupolo di sostenere pubblicamente che l’omosessualità è una devianza. Ma ancora più incomprensibile è il motivo per cui la dirigenza del partito, constatata la continua divergenza di vedute su fondamentali questioni inerenti la laicità, non abbia ancora deciso – dopo più di un anno – la radiazione dell’onorevole.

Non voterò alle primarie del 25 ottobre perchè non mi sento più rappresentato dal partito. La sua incapacità di trarre vantaggio dal lungo momento di crisi del premier, è imperdonabile. Persino Famiglia Cristiana ha dimostrato di saper fare un’opposizione più incisiva ed insistente di quella del PD, troppo ripiegato su questioni interne da una parte e troppo preoccupato di smarcarsi dalla politica veemente di Di Pietro dall’altra. Spero però possa vincere Bersani, se non altro perchè così potrebbero aprirsi nuovi spazi di manovra al centro, allo scopo di costruire una convincente alternativa a berlusconi, in grado di attrarre l’elettorato moderato, eterno ago della bilancia della politica italiana.

Di onde, città e funamboli

Di onde, città e funamboli

Stamane, profittando di una tregua che la pioggia ha concesso, ho deciso di fare due passi sul “mio” lungomare. Il mare in questa stagione ha il sapore delle cose che appartengono al passato, di quelle che come si facevano una volta, non si fanno più. Ma, allo stesso tempo, presenta la medesima forza e la medesima vitalità di chi, col presente, deve fare i conti tutti il giorni e sa che deve lottare con le ore e con i minuti, col prossimo ed anche con se stesso. La sua tenacia nell’aggredire la spiaggia rimanda a quella di chi si sveglia ogni mattino per tenere testa alla vita. Il mare oggi è cattivo ed indomito. Bello da guardare. Poter spaziare con lo sguardo fino all’orizzonte senza che niente si frapponga, consegnando ai tuoi pensieri lo spazio necessario perchè si sciolgano quieti, confusi nella prospettiva più ampia possibile, è un dono del quale non potrò mai smettere di esser grato.
 
Anche questo è Genova. La mia città è come una di quelle ragazze dalla bellezza non appariscente che a mano a mano che frequenti, ti avvicini e conosci, si svela in tutto il suo incanto. Nell’armonia nascosta di chi conquista giorno dopo giorno la sua personale strada fra ciò che è bello e ciò che è brutto, fra salite impegnative e discese vorticose. In equilibrio sul litorale, ad imparare la vita fra la concretezza della terra e l’istintività delle onde. La mia città è come mia moglie che domani compie un nuovo anno. Piccolo e prodigioso funambolosul filo dello stupore di un amore condiviso. Auguri!

Il lodo lede

Il lodo lede

Il Lodo Alfano è lesivo della Costituzione e del principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. Per dirla con Orwell, non esiste nessuno che sia più uguale degli altri. Lo ha stabilito la Consulta, secondo la quale per introdurre uno “scudo giudiziario” di tale portata per le quattro più alte cariche dello Stato, serviva una legge costituzionale [e quindi una maggioranza parlamentare dei due terzi], e non una semplice legge ordinaria. Berlusconi ora torna ad essere imputato nei due processi che lo riguardano. Schiumanti di rabbia i commenti a  caldo del Premier, che per l’ennesima volta ha lamentato di essere vittima di un complotto bolscevico. Una sorta di gigantesco tritacarne eversivo dentro il quale ha finito per metterci tutti: dalla Corte Costituzionale al tenero Napolitano, da L’Avvenire a Serena Dandini, da Travaglio alla escort di turno. Che tanto in questa italietta ignorante, esattamente come nella Germania nazista di Goebbels, «una bugia ripetuta infinite volte diventa una verità».

Come sostiene il costituzionalista Michele Ainis oggi su La Stampa, «non è la piazza a decidere i principi che regolano la nostra convivenza.  Se lo Stato di diritto s’affida a un corpo di custodi, è perché la piazza a suo tempo mandò a morte Gesù per salvare Barabba, perché la stessa piazza durante il secolo ventesimo acclamò feroci dittatori, perché insomma le Costituzioni liberali presidiano un sistema di valori, e li sottraggono al dominio delle folle». Per quanto però la decisione della Consulta riporti finalmente equilibrio e giustizia, siamo ancora una volta costretti ad essere testimoni di uno spettacolo sempre più desolante, in cui una nazione intera è piegata sotto il peso degli interessi di un solo uomo, il quale – e questo è il dato più preoccupante – gode  tutt’ora di un ampio consenso presso l’opinione pubblica. Qualcuno ricorda il finale de Il Caimano?

Gli indifferenti e gli altri

Gli indifferenti e gli altri

Odio gli indifferenti. Quelli che “a me la politica non interessa” o “io di politica non ci capisco niente”, oppure che “tanto sono tutti uguali”. Fra questi ci sono molti incolti – certamente – ma anche coloro che, trascorrendo troppe notti sopra vecchi tomi impolverati, pensano di aver compreso cose che altri non afferrano. Basterebbe un pò di impegno per i primi ed umiltà per i secondi, per realizzare che i politici in Italia non sono tutti uguali. Molti di loro sono dei mascalzoni – è vero – ma mascalzoni in modo diverso. Odio i fanatici. C’è una sostanziale differenza fra la gran parte degli elettori del centrosinistra e quelli dello schieramento opposto. I primi, tendenzialmente, non lesinano critiche ai loro partiti di riferimento. Molti di quelli che votano per il PdL, invece, sono soliti trasformare il dibattito politico da qualcosa per cui occorre esercitare discernimento, raziocinio e senso critico, oltre che una naturale dose di passione, in un fatto di mero fanatismo sportivo. Così sostengono berlusconi nè più nè meno come farebbero il tifo per una squadra di calcio, con il medesimo impegno intellettivo di un ultras. Odio gli ipocriti. Fra questi ci sono sicuramente quegli esponenenti del PD che si sono scagliati contro lo scudo fiscale, denunciando il tentativo del Governo di offrire l’impunità a mafiosi ed evasori, salvo il giorno dopo disertare la votazione in Parlamento e consentire così che il decreto diventasse legge. Il Partito  Democratico ormai è una macchietta. Pare fare opposizione come un attore che recita svogliatamente una parte, molto più interessato e ripiegato piuttosto su logiche di potere tutte interne. Ma più di tutti odio i servi, come ad esempio il direttore del TG1, che ieri sera – dimentico del profilo istituzionale che dovrebbe ricoprire l’ammiraglia dell’informazione pubblica – ha arrogantemente attaccato la manifestazione sulla libertà di informazione, definendola assurda e dopo presentandola in modo parziale e partigiano, come una passerella di politici dell’opposizione contro il premier. Nel nostro Paese si vive una censura preventiva: i giornalisti servitori, che ben conoscono i propri padroni, si adoperano in modo che quest’ultimi non siano neppure costretti ad esplicitare i propri desiderata. A tale spregevole atteggiamento, molto frequente durante il periodo nazista, i tedeschi danno il nome di Vorauseilende Gehorsamkeit: l’obbedienza che corre con la fretta di arrivare prima ancora che giunga l’ordine.
 
Resta qualcosa d’amare in quest’Italia? Se è vero come è vero che la libertà è partecipazione, le 300.000 persone che ieri hanno manifestato a Roma, hanno dato prova che c’è una buona parte del Paese a cui stanno ancora a cuore parole come democrazia, indipendenza, pluralismo, tolleranza, giustizia, verità. E forse non è un caso che fra le cose più significative dette ieri, c’è questa affermazione di un uomo di Chiesa, Don Sciortino, che così si è espresso: «La legittimazione del voto popolare non autorizza nessuno a colonizzare lo Stato e a spalmare il Paese di un pensiero unico senza diritto di replica».

Il miglior post degli ultimi 150 anni

Il miglior post degli ultimi 150 anni

Secondo berlusconi, la manifestazione che si terrà domani a Roma per la liberta’ di informazione «è una farsa assoluta, perchè c’è più libertà di stampa in Italia che in qualunque altro Paese. Tutte le persone di buon senso questo lo sanno».Se ne ricava che i 450.000 firmatari dell’appello di Repubblica a difesa di questo inalienabile diritto, il buon senso non sanno neppure dove sta di casa. Premi Nobel come Dario Fo, Renato Dulbecco, Doris Lessing, Josè Saramago, Wislawa Szymborska. Scrittori di fama internazionale come Umberto Eco, Andrea Camilleri, David Grossman, Amos Oz, Roberto Saviano. Artisti prestigiosi come Franco Battiato, Roberto Benigni, Bernando Bertolucci, Mario Monicelli, Sting. Celebri blogger come Rear Window e Adam’s Rib. Tutti miseri farabutti, accomunati, fra gli altri, ai giornalisti di The Economist, che l’altroieri scrivevano: «E’ dai tempi di Mussolini che non si aveva un governo italiano che interferisse con i media in maniera così lampante e allarmante. L’Italia di Berlusconi si sta allontanando dall’Europa occidentale per diventare più simile alle deboli democrazie dell’est». 

 
In Italia la TV resta di gran lunga il principale media attraverso cui formare il proprio pensiero politico. Sulla scorta di questo mi chiedo – ad esempio – quanti fra i miei connazionali sono a conoscenza del caso Mills, oppure quanti sanno che il cofondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, fraterno amico del premier, è stato condannato a 9 anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, o ancora quanti sono informati sulla condanna definitiva a 6 anni per l’ex avvocato del cavaliere, Cesare Previti, colpevole di aver corrotto dei giudici al fine di ottenere sentenze favorevoli alla Fininvest.  Quel che però preoccupa ancor di più è che una larga fetta del Paese, pur conoscendo tutto ciò, seguita a condividire le idee (sic!) di  berlusconi, con un adesione che ricorda sempre più da vicino il fanatismo dei fascisti nei confronti di Mussolini.