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Mese: Settembre 2009

Basta che funzioni

Basta che funzioni

Ho sempre ritenuto che una profonda sensibilità personale non possa essere disgiunta da un malessere sottile, da un’ indefinita inquietudine, o – per intenderci – da ciò che molti chiamano mal di vivere: «Si vive una sola volta, e qualcuno, a ben vedere, neppure una». Per questo motivo amo Woody Allen. Perchè come mai nessun altro è riuscito a dare a questi temi una riconosciuta cittadinanza cinematografica, declinandoli – e qui sta il genio – su un piano di indulgente, ma al tempo stesso dissacrante umorismo: «Il cibo in questo posto è veramente terribile. Inoltre le porzioni sono scarse. Beh, questo e’ essenzialmente quello che io provo nei riguardi della vita: piena di solitudine e squallore, di guai, di dolori, di infelicità… e oltretutto dura troppo poco».
 
Con Basta Che Funzioni Woody Allen riporta il suo cinema a New York, e – riadattata una sceneggiatura scritta quasi 40 anni fa per il grande Zero Mostel – colloca di nuovo al centro della scena il proprio “pessimismo cosmico“, realizzando una delle sue commedie più intelligenti e brillanti. Sollevato dal fatto di non essere il protagonista, il regista 73enne può spingersi ancora più in là di quanto fatto in passato nel delineare il suo antieroe tipo, caricandolo anche di dosi inedite di cinismo e misantropia. Caustico ed antipatico al punto giusto, Larry David convince nella parte di un fisico giunto quasi alle soglie del Nobel, che dopo un matrimonio trentennale finito male ed un suicido fallito, lascia la comoda professione di accademico per insegnare scacchi a dei bambini che non si fa alcun scrupolo di maltrattare senza pietà. Ritmo serratissimo, dialoghi smaglianti e tempi comici perfetti danno un mordente particolare alla storia, per quanto questa non sia altro che una sorta di collage di precedenti opere del regista. Ed è proprio ad una comicità tornata tranciante e corrosiva che Allen affida il compito di dimostrare come la vita sia del tutto priva di senso, nonostante l’umanità si affanni da sempre a trovarne uno.  Non è pertanto casuale che il protagonista, sia all’inizio che alla fine del film, si rivolga direttamente al pubblico, smascherando da subito l’artificiosità della pellicola, la sua sciocca pretesa di concepire una rappresentazione assennata della realtà. Il mondo è governato unicamente dall’irrazionalità del fato. Tutto nasce per caso: gli incontri, gli amori, gli antagonismi, la ricchezza, la rovina, la felicità, ed è esattamente alla luce di questa consapevolezza che il finale del film si rivela solo in apparenza consolatorio: «Qualunque amore riusciate a dare o ad avere, qualunque felicità riusciate a rubacchiare, qualunque temporanea elargizione di grazia, basta che funzioni».
Newman. Un segno che non morirà mai.

Newman. Un segno che non morirà mai.

Ogni qualvolta penso a Paul Newman, scomparso il 26 settembre di un anno fa, mi torna alla mente la scena finale di Butch Cassidy. Lui e Redford sono assediati dall’esercito boliviano. I nemici sono mille e loro soltanto in due. Hanno quasi finito le munizioni. Sono feriti. Non hanno via di scampo. Si guardano negli occhi e, senza aggiungere altro, si lanciano di getto fuori dalla casupola dov’erano asserragliati, sparando all’impazzata.

Il film termina proprio così, senza mostrare lo scempio dei loro corpi crivellati di proiettili. Su un fermo immagine che li sottrae alla morte, consentendo ad ognuno di noi di fantasticare una fine alternativa a quella che il destino aveva previsto. Una fine che va oltre la ragione, sospesa anch’essa dal “freeze frame”, per esprimersi piuttosto su un piano di emozione e cuore: una miracolosa vittoria nello scontro finale, con forse una fuga verso l’Australia alla ricerca di nuove avventure. Una fine quindi che, proprio perchè immaginaria ed immaginifica, li colloca di fatto dalle parti del mito. La stessa mitologia che si raffigura tutte le volte che rivediamo un film di Paul Newman, il quale – come tutti i più grandi attori – è un segno che non morirà mai. Trattenuto da un fermo immagine che lo imprime nella memoria collettiva. Oggi e per sempre.

I miei 500 sogni

I miei 500 sogni

“Noi siamo i fortunati che hanno a casa i sogni. I nostri padri, i nostri nonni li vedevano passare, per due ore nella loro vita. Quando la grande luce si accendeva e quella specie particolare di buio finiva, il sogno era volato via. Diventava un ricordo, una sensazione, un’emozione. I film erano solo quel fascio di luce nel nero della sala, erano imprendibili, immateriali, pura illusione. A noi la scienza ha regalato, forse per consolarci di meraviglie di vite perdute, la magnifica opportunità di tenere a casa dei sogni. Li puoi toccare, li puoi ordinare, li puoi richiamare in vita quando vuoi. Un potere da maghi, da stregoni, da spiriti superiori […]. Noi, i padroni dei sogni, abbiamo la possibilità fantastica di cercarli, quei luoghi speciali della nostra anima, quando ne abbiamo bisogno. Come una medicina, un conforto, un amico che torna da lontano.”[Walter Veltroni]

In occasione dell’acquisto del cinquecentesimo pezzo della mia collezione, voglio segnalare i 12 DVD che più mi sono piaciuti fra quelli comperati negli ultimi 12 mesi. Alcuni capolavori del passato si mescolano ad ottimi film più recenti. Se qualcuno dei miei intrepidi lettori non sapesse cosa vedere [o rivedere] stasera, può trovare ispirazione in questa foto.

E per evitare che vi spremiate le poche diottrie rimaste, ecco l’elenco scritto dei film: Gran Torino di Clint Eastwood, Gomorra di Matteo Garrone, Il Divo di Paolo Sorrentino, Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris, Oltre il Giardino di Hal Ashby, Vedovo Aitante Bisognoso Affetto Offresi Anche Babysitter di Jack Lemmon, Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo, Nick Mano Fredda di Stuart Rosenberg, La Parola ai Giurati di Sidney Lumet, Una Vita Difficile di Dino Risi, Il Posto delle Fragole di Ingmar Bergman e L’Invasione degli Ultracorpi di Don Siegel.

A stento

A stento

Stamane sono andato in ufficio sotto una pioggia battente che si riversava giù come da enormi secchi e mi impediva di vedere al di là delle luci dell’auto che mi precedeva. Il resto era avvolto in un unicum indistinto, dentro il quale i contorni delle cose perdevano la loro precisione. La radio della mia Micra suonava questa canzone ed io mi sono sorpreso a pensare che viviamo uno strano mondo, dove ci si affanna alla ricerca di cose di cui ci dovrebbe essere una larga disponibilità, ma che invece sono difficilissime da trovare. Basterebbe un pò d’impegno per stare tutti meglio: amore, amicizia, rispetto, comprensione, empatia, fiducia. Eppure il nostro è diventato un paese egoista, nel quale ci si è chiusi in quel che si crede il proprio interesse più immediato. Fanculo agli altri. Dove gli altri sono chiunque tranne te. E così quei valori paiono come dentro una foschia molto densa. Un unicum indistinto. La visibilità è limitata. Si procede a stento.

La cattiva maestra

La cattiva maestra

La recente scomparsa di Mike Bongiorno, giustamente ricordato come il papà della televisione italiana, ha suscitato, oltre che sentimenti di dispiacere e malinconica nostalgia, un’ìnteressante riflessione su quanto sia mutato il ruolo della TV nel nostro Paese dai tempi di Lascia o raddoppia. Come ha sottolineato Aldo Grasso: «La televisione arriva in Italia e la trova in una condizione che vale la pena sottolineare. Nel ‘56 più della metà della popolazione italiana soffriva di un male che si chiamava analfabetismo. Poi c’era quel fenomeno studiatissimo e affascinante della dialettofonia. Tantissima parte della popolazione italiana si esprimeva in dialetti. Si accende quello strumento in valle d’Aosta come in Sicilia, in Tirolo come in Calabria. In alcune serate si raduna un numero immenso di persone e tutte fanno la stessa identica esperienza. Questo ha qualche cosa di miracoloso perché anche se ridotta al minimo, anche se imparano l’italiano di Mike Bongiorno, tuttavia gli italiani fanno un’esperienza culturale che non si ripeterà mai più».

Con il passare degli anni, questo nuovo modello di integrazione e crescita culturale lascerà spazio, specie se si considera la sua eccezionale capacità pubblicitaria, ad un invasivo strumento di persuasione massiva. Come sosteneva Pier Paolo Pasolini nel 1975: «È stata la televisione che ha praticamente concluso l’era della pietà ed iniziato l’era dell’edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli loro proposti, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino all’infelicità». Ma è a partire dai primi Anni 80, con l’avvento di Fininvest, che il media per eccellenza inizia pervicacemente a deformare il gusto e la sensibilità del pubblico. Si sa che i politici hanno da sempre dominato il popolo lasciandolo nell’ignoranza. Pertanto, abbruttendo i mezzi di comunicazione di massa e proponendo dei modelli di riferimento superficiali, volgari e brutali, che influenzano non soltanto il comportamento, ma anche atteggiamenti, credenze e valori, si è costruito un regime videocratico, in cui una TV vassallo e veicolo del potere ha trasformato gli italiani in un popolo di spettatori ipnotizzati.

Money money money

Money money money

Ieri abbiamo fatto un giro alle Cinque Terre. Il viaggio in treno da Genova è panoramicissimo. Scorrono dal finestrino le più belle località della Riviera di Levante: Nervi, Camogli, Santa Margherita, Portofino, Vernazza. Così ho pensato che non sarebbe male vivere in una villa a strapiombo sul mare in una qualsiasi di queste zone. Certo, resterebbe da sistemare il trascurabilissimo particolare dei soldi: bisognerebbe diventare schifosamente ricchi per permettersi una tale sistemazione. Ohibò, ma come si fa a mettere le mani su così tanto denaro? Io sono uno squattrinato web designer che ha molta più dimestichezza con interfacce grafiche piuttosto che con mercati monetari, planning finanziari e paradisi fiscali.

Ma poi i soldi fanno la felicità??? Ah saperlo! Una cosa però è sicura: è molto meglio essere infelici sui cuscini di una Rolls Royce che sulle panchette di un tram. Zio Paperone sostiene che l’oro non è tutto, ci sono anche i diamanti ed io penso che tutto sommato abbia ragione. Quindi sono graditi consigli su come diventare milionari in poche mosse e ancor meno tempo. Ma non ditemi le solite cose come gioca al superenalotto, rapina una banca oppure iscriviti alla P2 e poi diventa Presidente del Consiglio… quelle le conosco già!
Domandare è illecito, rispondere è utopia

Domandare è illecito, rispondere è utopia

Mi ero ripromesso di non scrivere più di berlusconi per un pò. Ritenevo improbabile che potesse succedere qualcosa ancora più indecente di quello a cui abbiamo assistito quest’estate. In effetti, dal caso Mills all’amicizia con il terrorista Gheddafi, dalle leggi che violano i diritti umani ai festini con le escort, non ci si è fatti mancare nulla. Cose che in un qualsiasi altro paese al mondo avrebbero costretto chiunque a ignominiose dimissioni, con tanto di calcioni nel sedere incorporati, sono stati accolte dall’analfabeta opinione pubblica nazionale con poco più che qualche sbadiglio infastidito. Slogan martellati dai media di proprietà del premier sono stati assimilati dall’italiano medio [svezzato negli anni da tante mariedefilippi, maghiotelma, fabrizicorona, veline, tronisti, grandifratelli e chi più ne ha] e fatti passare di bocca in bocca come degli oscuri mantra, la cui reiterazione sembrava far somigliare tutti a dei Gasparri ancor più imbalsamati dell’originale: toghe rosse, real politik, gossip, rispetto della privacy, complotti mediatici. Corbellerie al cui confronto Vanna Marchi e il mago Mario Pacheco Do Nascimento con il loro kit contro le influenze maligne sembrano dei credibili, seri, preparati ed onesti professionisti.

Eppure mi sbagliavo, perchè qualche giorno fa è accaduto qualcosa che non ha precedenti nella storia di alcuna democrazia. Il capo del Governo ha fatto causa ad un quotidiano per il solo fatto di avergli rivolto delle domande, a suo dire «retoriche e palesemente diffamatorie». Come se in Italia un giornalista potesse permettersi ancora di sollecitare delle risposte invece che la richiesta di 1 milione di euro di risarcimento! Mi piacerebbe chiedervi com’è che siamo arrivati a questo punto, però temo che qualcuno mi quereli, data l’evidente tendenziosità della mia domanda, così me ne starò zitto e buono come un pupazzo… o come la desolante maggioranza dei miei connazionali.