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Anno: 2009

L’ormone in astinenza: da Rosanna Fratello a berlusconi, passando per Carlo Martello

L’ormone in astinenza: da Rosanna Fratello a berlusconi, passando per Carlo Martello

Non mi portare nel bosco di sera. Sono una donna non sono una santa. Non tentarmi non sono una santa. In questo modo così evidentemente combattuto fra il desiderio di dar sfogo alla passione ed il terrore di ribellarsi alle convenzioni, Rosanna Fratello, nel lontano 1971, portava alla finale di Canzonissima tutto il sofferente calvario dell’ormone in astinenza. 38 anni dopo, silvio berlusconi, memore del successo nazionale della canzone in oggetto, si propone di diventare il nuovo portabandiera della triste e precaria condizione dei single, specie di coloro i quali, pur avendo superato il traguardo dei 70 anni, si sentono ancora in balia di un immarcescibile “spirito guerrier” ch’entro li rugge. E poco importa se tal guerriero dovrà confrontarsi, come Carlo Martello di ritorno dalla guerra in un’altra canzone d’epoca, con la desolante realtà per cui le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane. Ancor meno ci deve interessare se, fino a ieri, l’avvocato del premier liquidava le prove del fermento testosteronico del proprio assistito come inverosimili e grottesche invenzioni. Ciò che infatti conta realmente è che ora il sagace popolo italico potrà stringersi intorno al suo indomito [ed impunito] cavaliere, urlando come un sol’uomo: «Bravo Berlusca, avanti così e – si può dire? – viva la gnocca!!!»

La luna e la televisione

La luna e la televisione

«Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità». Questa frase, pronunziata dall’astronauta americano Neil Armstrong, mentre posava il piede sinistro sulla superficie lunare, rappresenta uno dei momenti più solenni e simbolici dello scorso secolo. Erano le 21:56 del 20 Luglio 1969 ora di Houston [Usa], in Italia le ore 4:56 del 21 Luglio.

La conquista della Luna è stato un evento globale senza precedenti che ha aperto una nuova era di comunicazione di massa. Si stima infatti che 500 milioni di persone abbiano guardato, in un granuloso bianco e nero, Armstrong ed il compagno Buzz Aldrin volteggiare sul terreno polveroso della Luna. Per la prima volta gli italiani poterono assistere in diretta ad un avvenimento storico di quella portata. Nello studio 3 di via Teulada Tito Stagno e, collegato da Houston, Ruggero Orlando, raccontarono la vicende dello sbarco degli astronauti americani, in una lunghissima diretta durata 28 ore, culminata in un famoso battibecco perchè i due giornalisti non concordarono sul momento preciso dell’allunaggio.  Da quel giorno la televisione si conquistò il ruolo di testimone principale della Storia, portando però con sè anche la sostanziale ambiguità della sua rappresentazione. Si compresero allora l’enorme potere che questo mezzo poteva assumere ed i modi per intervenire e speculare sulla mediazione fra ciò che è e ciò che appare, al fine di  generare l’interpretazione voluta.

Lo sciopero dei blogger

Lo sciopero dei blogger

«Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia da Catilina in avanti è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e talora alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l’interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare? […] È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente – se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio – la mordacchia messa [per ora sperimentalmente] alla stampa».
 
Così Umberto Eco su berlusconi e sul Decreto Alfano, che mira a colpire la libertà d’informazione di tutti i media, Rete compresa. Il rapporto mondiale sulla libertà di stampa 2009 di Reporter Senza Frontiere mette l’Italia al 44^ posto su 173 stati al mondo, dopo paesi come il Cile, l’Africa del Sud, la Corea del Sud. Persino la Namibia sta più in alto di noi! In particolare, noi blogger saremo assoggettati ad un obbligo di rettifica sui contenuti pubblicati e ritenuti inesatti. L’omesso adempimento di quest’obbligo entro 48 ore [esattamente come accade già per la carta stampata] comporterà la condanna di una sanzione pecunaria fino a 12.000 euro! Senza che peraltro vi sia diffamazione provata! Appare evidente che l’istituto della rettifica – già anacronistico ed inefficace nel mondo dei media tradizionali – non è altro che un modo per disincentivare e di fatto imbavagliare l’informazione su Internet, ultima roccaforte di libertà rimasta in Italia. Per tale motivo per la prima volta nella storia, i blog osserveranno il 14 luglio una giornata di sciopero per protestare – insieme ai giornalisti dei quotidiani, delle televisioni e dei siti intenet – contro il decreto Alfano, che punta a censurare qualsiasi critica al governo e a preservare l’ignoranza della gentecome un dato indispensabile per la sopravvivenza di questo vergognoso regime.

Preferisco vivere nel mio appartamento

Preferisco vivere nel mio appartamento

Circa un quarto di secolo fa, terminavo i miei anni teen cercando invano di scollare il mio naso dallo schermo televisivo ogni qualvolta Farrah Fawcett entrava in scena in un episodio delle Charlie’s Angels, oppure provando ad abbozzare, con ancor meno successo, una delle più semplici mosse di danza di Michael Jackson, mentre sul piatto del mio stereo Thriller girava senza soluzione di continuità. Non esistevano i DVD, le serie televisive non si potevano scaricare dalla Rete [a dirla tutta non c’era neppure la Rete] e le canzoni erano ancora qualcosa di “fisico”, inciso in una musicassetta o su un disco di vinile. I cellulari erano soltanto dei furgoni in dotazione alla Polizia Penitenziaria per il trasporto dei detenuti, e se in automobile ci si perdeva, tutto quel che si poteva fare era chiedere informazioni ad un passante o dispiegare una cartina formato lenzuolo. La malattia e la morte erano concetti non così definiti, e si aveva la sensazione che le cose non dovessero mai conoscere una fine reale.
 
Capita poi, per quei bizzarri scherzi del destino, che, lo stesso giorno, 25 anni dopo, due icone di allora perdano la vita. E così [non per la prima volta in verità, per quanto mi riguarda] si comprende che il tempo scorre volgare ed inesorabile, e non fa sconti a nessuno, divi compresi. E’ vero, potremo ascoltare la musica di Michael Jackson per sempre, così come ancora non ci siamo stancati di assaporare i film di Marilyn o le canzoni di Presley, ma non è esattamente la stessa cosa. Perchè penso che tutto sommato abbia ragione Woody Allen quando dice «Non voglio raggiungere l’immortalità attraverso le mie opere, voglio raggiungerla vivendo per sempre. Non mi interessa vivere nel cuore della gente, preferisco vivere nel mio appartamento».
 
Come Peter Pan

Come Peter Pan

Il 29 maggio 1988 andai a vederlo allo Stadio Comunale di Torino. Lo spettacolo fu grandioso, in pieno stile hollywoodiano, e lui si dimostrò un performer formidabile. Allora Michael Jackson era all’apice della notorietà. La sua carriera solista, iniziata 9 anni prima, vedeva all’attivo due album straordinari come Off the wall e Thriller, in cui, grazie alla collaborazione col grande Quincy Jones, era riuscito con abilità a mescolare pop, rock e musica nera. Forse lo stesso tipo di operazione che aveva iniziato a fare sul suo volto. Una serie di interventi di chirurgia estetica, alla cui origine c’era uno spaventoso desiderio di essere amato da tutti, senza distinzione di razza o sesso: crossover, esattamente come la sua musica. 
 
Privato dell’infanzia da un padre violento e dalla fama [insieme ai fratelli maggiori, era un divo già all’età di 5 anni], dopo gli Anni 80 l’uomo si perse definitivamente, sempre più preda dei suoi fantasmi personali. Il suo talento si sprecò in una stanca ripetizione di formule e clichè, del tutto sprovvisto di quella scanzonata ironia che aveva caratterizzato i suoi primi lavori e che era evidentissima nei videoclip di Thriller e Say Say Say [quest’ultima cantata insieme a Paul McCartney]. I suoi dischi divennero irritanti autocelebrazioni e le cronache cominciarono ad occuparsi di lui per altri motivi, oltre quelli più strettamente artistici.
 
E’ volato via ieri come Peter Pan. Come ha sempre voluto, Michael Jackson non sarà mai adulto, nè vecchio.

La storia insegna… ed il PD impara!!!

La storia insegna… ed il PD impara!!!

Il rinnovamento in casa PD passa da Veltroni e Dalema. Il primo infatti sponsorizza Dario Franceschini [di ben tre anni più giovane di lui] come prossimo segretario del Partito Democratico, e il sessantenne ex presidente del consiglio è il nume tutelare di Pierluigi Bersani [che compirà 58 anni a settembre]. Entrambi i candidati, così freschi e ruspanti, non sono per nulla riconducibili alla logiche parruccone che hanno governato il partito fino ad ora, portandolo ad una sconfitta elettorale dopo l’altra. Ecco quindi che, grazie a questi due volti nuovissimi e sconosciuti, vengono assolutamente rispettate le istanze di profondo cambiamento espresse dalla base.

Già prevedo che ci sarà chi criticherà queste due scelte, contestando ai due una mancanza assoluta di esperienza, ma io sono convinto che questa sarà colmata da entrambi con l’impegno e l’entusiasmo, fisiologici in tutti coloro che, per la prima volta, si trovano ad assumersi responsabilità così grandi. A onor del vero si era profilata anche una terza candidatura, quella di Debora Serracchiani, ma il fatto che si trattasse di una donna, che avesse già 38 anni suonati e che fosse così legata alla vecchia nomenclatura del partito, ha indotto il PD ad evitare di battere una strada già percorsa troppe volte in passato. Del resto com’è che si dice? La storia insegna!

Puttanopoli!

Puttanopoli!


Questa volta il complotto mondiale che mira proditoriamente a distruggere la credibilità del nostro amato premier e a sovvertire per via mediatico-giudiziaria il volere dell’ italico popolo sovrano, parte dal quotidiano di chiara matrice comunista Il Corriere della Sera. Il giornale, diretto da quel famigerato stalinista di Ferruccio De Bortoli, arriva buon ultimo nel lanciare i  propri strali contro berlusconi, dopo alcune fra le più bolsceviche testate britanniche [The Times, Financial Times, The Economist, Observer, The Sunday Times, The Guardian, The Daily Telegragh, The Independent], tedesche [Frankfurter Allgemeine Zeitung], spagnole [El Pais], francesi [Le Soir, Liberation] americane [The New York Times], olandesi [The Telegraaf] e finlandesi [Hensingin Salomat], solo per fare qualche nome.

Questi giornali – lo si sa – sono  tutti manovrati da una suprema e spietata cupola presieduta da Franceschini, Fassino e Rosi Bindi. I primi due invidiosi della quantità industriale di gnocca vista aggirarsi allo stato brado nelle ville del papi, la terza imbestialita per  lo scarso successo ottenuto dal suo book fotografico durante l’ultimo congresso del PdL. Ma siccome in Italia nessuno legge e le cose accadono solo se lo dice la televisione, ritengo molto interessante ed educativo osservare come i telegiornali nazionali abbiano dato – o meglio – NON abbiano dato la notizia secondo cui a Bari è in corso un’indagine per induzione alla prostituzione, in riferimento ad alcune feste date nelle residenze di proprietà del Premier, Palazzo Grazioli a Roma e Villa Certosa in Sardegna. 

Sinistra e Libertà

Sinistra e Libertà

E così, dopo una lunga e sofferta decisione, ho finito per votare “Sinistra e Libertà“. L’ho fatto con l’auspicio che un buon successo del partito di Nichi Vendola possa configurare una rottura degli attuali malsani equilibri che governano l’opposizione. La speranza, neppure troppo celata, è che il PD, una volta liberatosi dalla zavorra della sua componente cattolica, che gli ha spesso impedito di portare avanti un’azione fluida, coerente e coraggiosa, possa compattarsi a sinistra, finendo col diventare ciò che era nelle intenzioni sin dall’inizio: ossia un nuovo e moderno partito di sinistra riformista europea. Un soggetto politico di rinnovamento culturale e sociale, che sappia catalizzare l’intera area laica e sia in grado di parlare al Paese, a cominciare dalle sue fasce popolari. Occorre essere guidati da persone che si muovano secondo ideali di giustizia e tolleranza, per riportare nel tessuto sociale tutti quei valori che 15 anni di berlusconismo hanno contribuito a spazzare via.

Mai come ora l’Italia ha bisogno di “Sinistra” e di “Libertà”. Due dimensioni che in questo regime illiberale vengono negate da un’informazione di Stato che copre tutto quanto è scomodo, e da una destra impresentabile, che ha abbruttito il nostro paese con il culto dell’impunità e della discriminazione, composta soltanto da zelanti servitori di un primo ministro  che recentemente ha del tutto perduto le sue già poche facoltà mentali. Come recentemente ha scritto Veltroni«la destra sta edificando un paese violento. Violenza reale, mai così diffusa. E violenza nei rapporti tra le persone. Il paese è tornato a vivere nell’odio e la frantumazione di ogni rete di relazione – tra giovani e anziani, tra italiani e immigrati, tra deboli e forti, tra Nord e Sud – spezza l’anima migliore della nostra Italia».

Oggi persino il Nobel per la letteratura José Saramago scrive sull’argomento, riferendosi al premier come a: «una cosa pericolosamente simile a un essere umano, che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi. Non è che disobbedisca alle leggi ma, peggio ancora, le fa fabbricare a salvaguardia dei suoi interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minorenni».

Fenomenologia dell’aggettivo piccante

Fenomenologia dell’aggettivo piccante



Sono anni che l’aggettivo piccante viene utilizzato esclusivamente in materia gastronomica, in relazione – che so – al peperoncino di Soverato o al pepe di Cayenna. Sentire che il papi ieri lo accostava a temi morbosi e trasgressivi, mi ha fatto tornare alla mente quel cinema che negli Anni 70 assolse all’importante servizio sociale di iniziare al sesso la gran parte degli adolescenti italiani, complici le tette della Fenech, il sedere della Cassini o le frenesie [generalmente appagate verso la fine di ogni film] di un Renzo Montagnani piuttosto che un Alvaro Vitali.
 
E’ evidente il tentativo di mitigare l’impatto sgradevole che l’espressione “rapporti sessuali” [perdipiù con minorenni] avrebbe avuto nei titoli dei quotidiani che oggi avrebbero riportato, virgolettandole, le parole di berlusconi. In pratica l’uso del desueto ed allegramente pecoreccio “piccante” ha la stessa funzione del toupè, delle scarpe col rialzo e del cerone, con cui il Nostro cerca ogni giorno di apparire più presentabile. Pensandoci bene, niente di troppo distante neppure da quel che si è fatto con le leggi ad personam, l’occupazione della RAI, l’attacco strumentale alla Magistratura, la deligittimazione degli avversari politici e quant’altro. Iniziative tutte volte a banalizzare, a minimizzare se non a manipolare o persino a nascondere e negare la realtà dei fatti. Quella che vede il nostro Paese guidato da un arrogante e spregiudicato profittatore senza alcun scrupolo.
Lunga vita e prosperità

Lunga vita e prosperità

La saga di Star Trek, nata in televisione nel 1966 dal genio di Gene Roddenberry, è stata tra le prime serie a produrre larghe comunità di fan e ad allargare la propria dimensione in modo transmediale, replicandosi in cartoni animati, fumetti, romanzi, giochi di ruolo e videogames, fino a sbarcare, dagli anni Ottanta, anche al cinema. Un panorama che ha finito poi per estendersi anche a successive serie televisive le cui avventure si sviluppavano a secoli di distanza e  con differenti personaggi rispetto alla serie classica del ’66-’69, che vedeva il Capitano Kirk, il Signor Spock e il Dottor McCoy guidare l’astronave Enterprise «ad esplorare strani mondi, a ricercare nuove forme di vita e nuove civiltà, e ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima».
 
Il film di J.J. Abrams, in programmazione in questi giorni, tenta – riuscendoci in pieno – una nuova fondazione narrativa, raccontando gli eventi che porteranno a formare per la prima volta lo storico equipaggio dell’Enterprise.  E lo fa dimostrando uno straordinario equilibrio, da una parte concedendo alla storia una giusta autonomia, di modo che il film possa vivere di vita propria, e dall’altra mantenendo comunque un legame diretto con l’universo seriale di appartenenza, che viene riletto secondo lo stile personale del regista creatore di Lost. Uno stile fatto di sequenze d’azione adrenaliniche, sensazionali effetti speciali, strutture ad incastro, cortocircuiti temporali, citazioni cinematografiche ed ironia. Non rinunciando neppure ad un pò di commozione, quando un invecchiato Leonard Nimoy [il Signor Spock della serie degli anni 60], alzando la mano con le dita divaricate a V saluta con la mitica formula «Lunga vita e prosperità».