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Categoria: politica

Panem et circenses

Panem et circenses

All’indomani della disfatta azzurra ai Mondiali di Calcio, diversi commentatori, sportivi e non, hanno avanzato la tesi che la Nazionale non sia altro che lo specchio del nostro Paese e, perchè no, del nostro governo. Il più efficace è stato il direttore de La Stampa, Massimo Gramellini, che si è espresso così: «”Non abbiamo lasciato a casa nessun fenomeno”. Ma è una bugia autoassolutoria che accomuna quasi tutti coloro che in Italia gestiscono uno spicchio di potere e lo usano per segare qualsiasi albero possa fargli ombra […]. L’abbattimento di ogni personalità dissonante viene chiamato spirito di squadra. Ma è zerbinocrazia. Tutti proni al servizio del capo, è così che si vince. Eppure la storia insegna che il capo viene tradito dai mediocri, mai dai talenti. I quali sono più difficili da gestire, ma se motivati nel modo giusto, metteranno a disposizione del leader la propria energia. La Nazionale assomiglia alla Nazione non perché è vecchia, ma perché privilegia, appunto, i mediocri». Lippi come berlusconi? Cannavaro come Alfano? Cassano come Fini? Potrebbe essere.

Di diverso ci sarebbe soltanto la reazione della massa sempre più bovina, che si indigna di fronte all’uscita della squadra di Marcello Lippi dalla Coppa del Mondo, ma resta al palo dinanzi alle uscite del Governo. Basti pensare alla recente vicenda del ministro per il federalismo, Aldo Brancher, nominato solo da pochi giorni [senza che ne siano certe nè l’utilità nè l’onestà] e già invocante il legittimo impedimento, al fine di sottrarsi ad un processo che lo vede imputato insieme alla moglie. E poco importa se Napolitano abbia per la prima volta dato un segnale di coraggio e di senso dello Stato mettendosi di traverso, perchè la protervia di berlusconi resta in tutta la sua enorme gravità. E se è vero che panem et circenses sono strumenti straordinari per anestetizzare i malumori popolari, adesso che i circenses se ne sono andati via anzitempo e che il panem è stato drasticamente ridotto da una manovra finanziaria sbagliata ed iniqua, l’opinione pubblica sarà finalmente pronta a reagire all’inedia e a ritrovare la sua rabbia?

Un ministro (indagato) in più

Un ministro (indagato) in più

Penso che al mondo non ci sia mai stato Governo con un così grande senso dell’umorismo come il nostro. Bossi e berlusconi sono dei guitti straordinari, degni della miglior tradizione della Commedia dell’Arte.  L’ultimo frutto della loro intesa promette di far sbellicare i pochi connazionali non ancora vittime di 25 anni di ottundimento mediatico.
 
Il federalismo meritava un dicastero, così il nostro beneamato premier, di concerto col suo fedele alleato, ha pensato di affidarlo a tale Aldo Brancher, un passato prima da sacerdote e poi da manager Fininvest. Come a dire una promozione: dalla Chiesa, direttamente all’Unto del Signore. Nel 1993 il neoministro finisce in galera, condannato in primo e secondo grado a 2 anni e 8 mesi per finanziamento illecito e falso in bilancio. Tutto si risolve però in Cassazione, dove il primo reato viene prescritto ed il secondo depenalizzato da berlusconi. Con un curriculum del genere, Brancher è pronto ad occuparsi di politica. Il Cavaliere, sempre riconoscente verso i propri dipendenti che evitano di fare nomi scomodi ai giudici, nel 2001 lo porta in Parlamento e successivamente al Governo, in qualità di sottosegretario alle riforme e alla devolution di Bossi. Nel 2005 il Nostro viene di nuovo indagato per appropriazione indebita, nell’inchiesta relativa alla scalata alla Banca Antonveneta. Reato di cui è tuttora imputato, con un processo ripetutamente rinviato a causa dei suoi legittimi impedimenti istituzionali. Roba che Claudio Scajola al confronto è puro come un giglio di campo. Tre giorni fa Brancher giura fedeltà alla Repubblica Italiana e alle leggi dello Stato dalle mani del suo mentore berlusconi. Bossi è  servito: il federalismo e gli italiani sono in buone mani! L’unico rischio che si può correre è quello di ammazzarsi dalle risate. Ora in Italia, tra il silenzio dei TG di regime, possiamo anche vantarci di avere un ministro reo confesso di corruzione di un altro ministro!
Paraculo è chi il paraculo fa

Paraculo è chi il paraculo fa

Ormai non passa giorno senza che la Lega non confermi l’ignoranza e la somma stupidità che contraddistingue la sua dirigenza. E’ di sabato scorso la notizia secondo cui il governatore del Veneto, Luca Zaia, in occasione dell’inaugurazione di una scuola nel trevigiano, abbia preferito che il coro intonasse il Va’ pensiero, canto verdiano dei raduni leghisti, al posto del tradizionale Fratelli d’Italia, fatto scivolare alla fine della cerimonia. Trascorre solo qualche giorno ed ecco che i commentatori di Radio Padania si segnalano per aver esultalto al gol del Paraguay, avversario della nazionale italiana nella nostra gara d’esordio ai Mondiali. Quel gran genio di Matteo Salvini poi, nella sua pagina di Facebook, ha così rincarato la dose: «Meglio Para-guay che para-culi! Forza Zaia».

E’ ormai evidente l’escalation degli attacchi sferrati dal partito di Bossi contro qualsiasi cosa rappresenti e simboleggi l’idea di Stato in senso unitario, sia questa una bandiera, un inno od una squadra di calcio, in nome di un’idea separatista e di affermazione di un’altra entità politica diversa dallo Stato italiano, come del resto conferma Borghezio in una sua recentissima intervista: «Confermo con grande orgoglio e soddisfazione che il nostro obiettivo strategico è e resta quello dell’indipendenza della Padania, al fianco dei coraggiosi patrioti padani che hanno seguito e seguono il cammino di Umberto Bossi. E non saranno certo i professionisti della politica romana a interromperlo».

Il triangolo no!

Il triangolo no!

Tal Eliana Cartella, 20 anni da Castel Mella in provincia di Brescia, è recentemente assurta agli onori della cronaca per essere contesa da due figure paradigmatiche di questa povera italietta: Mario Balotelli e Renzo Bossi. Pare che la giovine barista che sogna di diventar modella, reduce dall’aver partecipato al concorso Miss Maglietta Bagnata [!!], organizzato dai Giovani Padani proprio mentre – guardacaso – il Governo di Maroni, del Senatur e di diversi altri ministri leghisti si distingueva per gli incondizionati tagli a cultura e scuola, abbia dichiarato che se il calciatore dell’Inter è il più bello fra i due, Renzo Bossi è il più intelligente [!!!]. 

Ora, a parte i brividi che si sentono salire immaginandosi quale angosciante vuoto cosmico debba albergare nella testa dell’attaccante dell’Inter, visto che soccombere in un confronto di intelligenza con la “trota” è un pò come essere inferiori a Vladimir Luxuria in quanto a virilità, resta da domandarsi quanti lustri saranno necessari perchè il popolo italiano, orribile e bovino, torni a vivere in una società in cui la cultura costituisca un valore fondante, e dove non si debba valutare tutto dal punto di vista del successo economico, della bellezza, del denaro, della popolarità, del potere.

L’ignoranza al potere

L’ignoranza al potere

Il premier irrompe istericamente a Ballarò per contestare al telefono un giornalista ed un sondaggista, rei di aver fatto presente verità scomode, e poi butta giù la cornetta senza attendere alcuna replica. Pare che subito dopo abbia chiamato il Convento delle Orsoline con voce ansimante e sibilo da maniaco. I ministri della Lega disertano la Festa della Repubblica a Roma, perchè – a detta loro – ormai «è più sentita la Sagra della Patata di Lazzate». Al che berlusconi ha tenuto a precisare che le patate portate da lui a Palazzo Grazioli sono decisamente meglio. L’attaccante del Milan Marco Borriello, dopo aver dribblato a fatica un paio di coriacei congiuntivi, disquisisce di letteratura, sostenendo che Roberto Saviano ha lucrato su Napoli perchè «non c’era bisogno che scrivesse un libro per sapere cos’è la camorra», che è un pò come dire che non occorreva che Primo Levi scrivesse Se questo è un uomo perchè si venisse a conoscenza dei lager nazisti. Libero, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, regala [si, si… non si spende neppure un centesimino] una collana di DVD con i discorsi di Mussolini, dal titolo Il Duce, le parole, gli applausi. Le prossime uscite monografiche saranno dedicate ad Hitler, Pol Pot, Gengis Khan e Sandro Bondi. Il Giornale di Vittorio Feltri titola in prima pagina Israele ha fatto bene a sparare. Da sottolineare in cronaca altri due lucidissimi articoli intitolati rispettivamente Perchè i pedofili sono da stimare e Chi non spacca il culo ai negri è un frocetto.
Una destra per amico?

Una destra per amico?

Mai in vita mia avrei immaginato di lodare e parteggiare per Gianfranco Fini. Oggi in Italia l’autentica opposizione, l’unica che può fare davvero male al dittatorucolo di Arcore, è la sua. Il Presidente della Camera rappresenta l’unica speranza di avere in questo misero Paese una destra moderna e riformista, ben distante dalle spinte populiste e plebiscitarie di berlusconi o da quelle reazionarie e xenofobe di bossi. Due facce – queste ultime – del tracollo culturale e sociale che l’Italia ha subito in questi anni.

Anche se la sua iniziativa di istituire una “corrente interna” in seno al PDL verrà fatta naufragare dai berlusconiani, il progetto di isolare il premier ed i suoi fedelissimi è ormai iniziato. E nonostante l’informazione di regime abbia dipinto le recenti elezioni come un successo della maggioranza, le cose stanno diversamente: rispetto allo scorso anno il Popolo delle Libertà ha perso ben 2 milioni e mezzo di voti e la Lega 200.000. C’è una larga fetta di elettorato che si è astenuto e che non si sente rappresentato dall’attuale scenario politico, dalla quale Fini potrà attingere molti voti. E’ certamente un progetto difficile ma che ha una sua forza dirompente, perchè – come scrive oggi Curzio Maltese – risponde al vuoto programmatico del Governo berlusconi: «Il Pdl è un partito invecchiato, come il suo leader, e privo di progetti. La politica è delegata alla Lega. Le strombazzate riforme sono una panzana. Berlusconi quasi lo ammette e, dopo la vittoria, è tornato come sempre a occuparsi di giustizia e televisioni. Non esiste nel partitone di maggioranza relativa, sempre più relativa, uno straccio d’idea, a parte Silvio for President. Su tasse, immigrazione, temi etici, tutto il Pdl, da Berlusconi in giù, si limita a far l’eco agli slogan di Bossi. Quasi non avesse più una visione della società e del Paese. Fini invece ne ha una ed è assai diversa da quella della Lega». E per fortuna, aggiungo io.

Il coraggio del dire

Il coraggio del dire

Se in questi giorni si volesse parlare di politica, si avrebbe davvero l’imbarazzo della scelta. Infatti in una settimana sola si sono concentrate un numero di bassezze che un Governo di un Paese straniero qualsiasi non riuscirebbe a mettere insieme in un’intera legislatura.

Parlo della vicenda dell’arresto dei 3 operatori di Emergency. Trovo scandaloso che le autorità italiane, invece di impegnarsi a sostegno dei tre connazionali fermati in Afghanistan, si siano preoccupate prima di tutto di screditare l’organizzazione di Gino Strada, personaggio sicuramente molto scomodo per quanti insistono ancora a dipingere la violenta guerra in corso in Afghanistan come una missione umanitaria. Parlo naturalmente anche delle dichiarazioni di berlusconi circa la mafia, a suo dire “supportata promozionalmente” da opere letterarie come Gomorra. L’attacco a Roberto Saviano è qualcosa la cui gravità va ancor oltre l’elogio del premier al criminale mafioso pluriomicida Vittorio Mangano. Lucida, appassionata e netta la risposta dello scrittore al presidente del consiglio: «I clan di tutte le mafie vogliono il silenzio. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. Solo mostrando come stanno le cose si ha la possibilità di fare resistenza. Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della forza dell’accusa, possiamo cambiare le cose».

Rispetto a queste cose, così come ad altre che non cito per brevità, mi viene in mente la battuta pubblicata sul blog di Daniele Luttazzi: «Incidente aereo: decimata la classe dirigente polacca. Si terranno elezioni anticipate. Non faccio neanche la battuta, stiamo pensando tutti la stessa cosa».

Un paese di orticelli

Un paese di orticelli

A prima vista la vittoria pare netta. La maggioranza conquista 6 regioni su 13, di cui le due più importanti e strategiche: Piemonte e Lazio. Però, ad un esame più attento [e libero dalle manipolazioni della TV di regime], non si può non registrare il crollo del PDL che, rispetto all’ultimo turno elettorale [europee del giugno 2009], perde ben 9 punti percentuali, attestandosi al 27% circa delle preferenze. Appena un soffio sopra il PD che, contrariamente al suo principale antagonista, si mantiene stabile al 26%. Il partito di Bersani, oltre che dell’astensionismo, oggi deve preoccuparsi anche del successo di un movimento come quello di Beppe Grillo che, dove si è presentato, ha eroso il 3% dei voti e ha contribuito a frammentare ulteriormente un’area politica che invece ha il dovere di ritrovare al più presto unità e coesione. E’ solo responsabilità dell’opposizione – infatti – se nonostante lo sconquasso del PDL si è nuovamente riusciti a non vincere le elezioni. Se si fosse in grado di far tesoro di queste regionali, si dovrebbe – a mio avviso – ripartire da Nichi Vendola, l’unico esponente che per carisma, spessore culturale e storia personale può incarnare lo spirito della vera sinistra. Così Concita De Gregorio su L’Unità: «Questo è un voto di delusione e di rabbia verso un centrosinistra che ha disatteso le aspettative. Che rispetto a quel che l’elettorato chiedeva non ha avuto abbastanza coraggio: di cambiare la sua classe dirigente, di puntare sul rinnovamento, su logiche nuove e non solo su somme aritmetiche di alleanze possibili, su un progetto chiaro semplice e alternativo che fosse anche – come dice Vendola – un nuovo racconto».

Ho sempre sostenuto che in Italia prima di ogni altra cosa esiste un problema culturale. Ed in questo senso la vittoria al Nord di una forza populista e reazionaria come il partito di Bossi non può che preoccupare.  Come ha scritto ieri Vittorio Zucconi: «L’Italia è, e rimane, una sottocultura proporzionale e localistica. A ciascuno il proprio poderino, il proprio orto, il proprio manipolo di consiglieri o assessori, la propria contrada, e chi se ne frega dell’agricoltura nazionale».

Meno tumori per tutti

Meno tumori per tutti

Ormai eravamo abituati alle gaffes, alle menzogne, alle prevaricazioni, avevamo fatto il callo alle censure, alle leggi ad personam, ai conflitti di interessi, ci eravamo adeguati persino alle amicizie con ergastolani mafiosi, alle corruzioni di avvocati e finanzieri, e alle aggressioni ad organi di garanzia istituzionali e magistrati. Però sabato il nostro teleimbonitore preferito è riuscito ad arrivare là, dove nessun uomo era mai giunto prima, raggiungendo livelli di virtuosismo inimmaginabili prima di qualche giorno fa. «Nei prossimi tre anni col mio governo vogliamo vincere anche il cancro, che colpisce ogni anno 250.000 italiani e riguarda quasi due milioni di nostri cittadini»: è’ stato questo il passaggio più eclatante del comizio di berlusconi alla manifestazione del PDL. Il Presidente del Consiglio, recuperando i poteri taumaturgici di chi è stato unto dal Signore, ormai non può arrestarsi neppure di fronte al dolore di milioni di persone. Del resto non è lui il leader maximo del Partito dell’Amore? E chi in cuor suo non sa che l’amore vince su ogni cosa?

Così su L’Unità«L’Italia destina alla ricerca sanitaria appena lo 0,1% del Pil lordo: tre volte meno della Germania o della Gran Bretagna. In assoluto, 200 [sì 200 volte meno] degli Usa. Chi può pensare che il nostro piccolo paese possa riuscire in tre anni lì dove il resto del mondo, con una quantità di risorse economiche 60 volte superiori e un numero di ricercatori 120 volte superiori, non riesce da decenni?». Evidentemente solo dei giornalisti comunisti, invidiosi e rancorosi, possono pensare che i tagli che questo governo ha imposto alla ricerca mal si sposano con le promesse di guarigione di berlusconi. Al nostro cavaliere sciamano, che tutto può, sarà infatti sufficiente imporre le mani sui malati, perchè questi si rimettano in salute giusto in tempo per recarsi alle urne e votare per lui.

Perchè si deve andare a votare

Perchè si deve andare a votare

«E’ importante che le regionali vadano bene, perché con un mandato pieno potremo lavorare bene e con serenità: per esempio per modernizzare il Paese, magari introducendo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica» ha dichiarato il Cavaliere nei giorni scorsi. Ecco svelato il progetto eversivo di berlusconi. Stravolgere la Carta Costituzionale, trasformando l’Italia una Repubblica Presidenziale a reti unificate, diventare il successore di Napolitano, e – con un premier scelto fra uno dei suoi lacchè – seguitare ad avere un ruolo di comando sempre più autoritario sulla politica ed i governi, per molti anni ancora. L’obiettivo – cioè – sarebbe quello di creare un sistema presidenzialista alla francese, con un Presidente con ampi poteri e con un primo ministro [un Alfano o  un Brunetta qualsiasi] di sua diretta derivazione. Uno scenario che farebbe sprofondare l’Italia in un nuovo ventennio fascista. Il solo modo che abbiamo di contrastare questo progetto scellerato è andare a votare per uno dei partiti espressione dell’opposizione, dando così un segnale forte ed inequivocabile di quanto la gente sia stanca di non vivere in un paese normale, dove, come ha recentemente scritto Massimo Gramellini, «un capo del governo che urla a un’autorità dello Stato “fate schifo”, “siete una barzelletta” e ordina di chiudere un programma del servizio pubblico sarebbe costretto ad andarsene nel giro di un’ora».

Viviamo un’emergenza democratica. Chi si asterrà per protesta, perchè magari pensa che questa sinistra è omologata alla maggioranza, compie un errore madornale. Il PD ha la responsabilità della propria inettitudine, di aver pensato di riuscire a venire a patti con un bandito, ma certo non è assimilabile al partito azienda di berlusconi, che non solo non ha corrispettivi in Italia, ma neppure in Europa, dove le destre sono di ben diversa caratura.