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Categoria: politica

L’impedimento dogmatico

L’impedimento dogmatico

Come molti [ma non tutti] sanno, in Italia c’è un’imputato per corruzione giudiziaria, falso in bilancio e frode fiscale che ha semplicemente deciso d’essere – lui solo – al di sopra della legge. Pur ricoprendo un importantissimo ruolo istituzionale, non soltanto ha scelto di non dimettersi e di non rispondere delle accuse che gli vengono mosse, ma – sfruttando la propria posizione di potere – ha imposto la promulgazione di leggi incostituzionali che gli consentissero di evitare i processi in questione. Di pari passo ha promosso una crociata di deligittimazioni e minacce ai magistrati, alla Consulta, al Presidente della Repubblica, alla libera informazione e a chiunque osasse criticare il suo operato.

Giovedi la Corte Costituzionale sarà chiamata a giudicare sull’effettiva ammissibilità del legittimo impedimento che fino ad oggi ha messo al riparo questo signore dalle sue responsabilità. «Sono totalmente indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno dei processi, che considero ridicoli, su fatti per i quali ho avuto modo di garantire che sono inesistenti, giurando sui miei figli e sui miei nipoti», ha recentemente dichiarato, e tanto deve bastare a tutti trattandosi del nostro Presidente del Consiglio, un uomo che – essendo consacrato dal voto popolare ed unto dal Signore – si pone dogmaticamente al di là di ogni sospetto. Se il risultato non sarà quello da lui auspicato, ha già promesso una controriforma che piegherà la magistratura al potere dell’esecutivo. Sui quotidiani impazzano le previsioni riguardo gli scenari che potrebbero configurarsi a seguito della sentenza. Sullo sfondo un Paese in cui la democrazia viene svuotata di ogni reale significato, a beneficio di un potere arrogante e mafioso, il cui unico obiettivo è quello di preservare se stesso.

L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va

L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va

L’anno che sta per finire è stato purtroppo contraddistinto da terribili disastri naturali ed ambientali: dall’immane terremoto di Haiti con oltre 200.000 morti, allo sversamento di petrolio nelle acque del Golfo del Messico ad opera della multinazionale petrolifera inglese BP, per finire alle drammatiche inondazioni che hanno devastato il Pakistan. L’eruzione di un vulcano islandese ha portato alla chiusura degli spazi aerei di buona parte dell’Europa, costringendo milioni di persone a restare a terra per diverse settimane. A causa del crollo del tetto di una miniera, 33 minatori cilenisono rimasti intrappolati ad una profondità di 700 metri per ben 70 giorni. La notizia ha avuto un’immediata diffusione globale, creando intorno alla vicenda una sorta di gigantesco reality-show.

Politicamente il 2010 è stato un anno di grandi fermenti. La crisi economica ha attanagliato l’Europa, colpendo in particolare la Grecia che ha cercato di reagire con un severissimo piano di austerity, che però ha alimentato forti tensioni sociali, sfociate in scioperi generali e in una vera e propria rivolta popolare. Obama ha annunciato l’inizio del ritiro delle truppe internazionali dall’Iraq, ma nonostante questo le elezioni di midterm lo hanno visto sconfitto a beneficio dei Repubblicani, i quali – sospinti dal Tea Party, un movimento populista e ultraconservatore – hanno conquistato la maggioranza alla Camera. Le rivelazioni del sito Wikileaks che diffonde documenti internazionali coperti da segreto, ha messo a rischio la credibilità dei rapporti diplomatici tra i vari Stati. In particolare alcune informazioni riservate sulla guerra in Afghanistan, come l’uccisione di civili, l’occultamento di cadaveri, l’esistenza di un’unità militare il cui compito sarebbe uccidere i talebani anche senza processo, hanno messo in grave difficoltà l’amministrazione americana.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Ci vuole una sbalorditiva vocazione per riuscire sempre a muoversi contro la logica ed il buon senso e per fare esattamente il contrario di ciò che la propria base chiede e si aspetta. L’elettorato del Partito Democratico vuole le primarie ed un’alleanza a sinistra? Bene. Allora la dirigenza propone di rinunciare alle primarie in nome di un’alleanza con il nascente Polo della Nazione di Fini e Casini, i quali – peraltro – già in più di un’occasione si sono dichiarati indisponibili ad una coalizione del genere. Beppe Civati, uno degli esponenenti di punta fra i trentenni del partito, anima del movimento dei rottamatori, così scrive sul suo blog «Se il Terzo polo si costituirà e si vorrà presentare alle elezioni, sarà una buona notizia. Se vorrà venire con noi [cosa di cui è lecito dubitare], facciamo in modo che siano loro a chiedercelo, alla fine, e non noi, all’inizio, mettendoci in una posizione ancillare che sconfessa le stesse ragioni per cui il Pd è stato concepito. E valutiamo se questa alleanza risponde all’esigenza di cambiamento che dovrebbe essere la nostra unica ragione di vita. Perché qualcuno dice che il Pd forse non esiste più. E, dopo l’intervista di oggi, non ha tutti i torti». Parole durissime e condivisibili che si riferiscono all’intervista in cui Bersani ha annunciato questa nuova, lungimirante mossa politica, che più di una strategia appare come un tentativo di suicidio.

Piuttosto che rafforzare l’idea di una politica partecipata dal basso, il partito si arrocca nel palazzo, nella disperata difesa di una dirigenza incapace di assecondare le istanze di rinnovamento che arrivano da più parti. Piuttosto che dimostrare la reale intenzione di sconfiggere il Caimano, nel momento in cui la sua maggioranza si è sgretolata, il PD cerca di abbattere coloro che impediscono alla “cupola” di preservare la propria posizione di potere. A tutti gli effetti per Bersani e Franceschini, per D’Alema e Veltroni, per Fassino e la Finocchiaro, Nichi Vendola costituisce un pericolo maggiore e più urgente che la destra berlusconiana. Nessun progetto per il Paese quindi, ma l’ennesima autoreferenziale manovra di palazzo.

Un giorno di ordinaria corruzione

Un giorno di ordinaria corruzione

Un uomo che ha costruito il proprio impero economico grazie alla corruzione, non poteva che ottenere la fiducia al suo Governo con lo stesso metodo. Ieri si è consumato un rito che è fino in fondo simbolico della figura del Presidente del Consiglio, da sempre abituato a comperare le persone: si tratti di finanzieri, di giudici, di testimoni, di escort ed ora di avversari politici. Una vittoria numerica che potrà trasformarsi in vittoria politica esclusivamente se il signor b. riuscirà nell’improbabile impresa di allargare la propria maggioranza. Al riguardo sarebbe interessante sapere cosa ha provato la base della Lega, sentendo ieri gli esponenti di punta del proprio partito dichiararsi disponibili a lavorare insieme all’UDC, quando – solo due mesi fa – Bossi definiva Casini «uno stronzo».

Sono più propenso a pensare che un governo del genere, sorretto soltanto dalla corruttela e dalla illiberalità, abbia ormai vita breve. Prova ne sono le manifestazioni e le proteste nate spontanemante in tutta Italia a seguito della notizia della fiducia alla Camera. La piazza non è più disposta a tollerare questo stato di cose. La tensione sociale è altissima e continuerà così fino a quando il pifferaio magico non se ne sarà andato. Quanto alla risicata maggioranza di 3 voti, dubito che possa offrire al Cavaliere un  orizzonte politico sereno e credibile. In proposito concordo con quanto ha dichiarato Nichi Vendola «Il Governo che godeva della più ampia base parlamentare dell’intera Storia Italiana non c’è più. La precaria fiducia ottenuta oggi serve semplicemente a certificare la morte di un ciclo politico».

Verdi e Verdini

Verdi e Verdini

La settimana politica è stata indubbiamente segnata dalle rivelazioni di Wikileaks, che hanno dimostrato – al di là delle dichiarazioni di facciata – la sfiducia profonda che la diplomazia americana nutre nei confronti di berlusconi. Io però voglio concentrarmi su tre altri avvenimenti, diversi fra loro, che tuttavia sono pienamente esemplificativi della cifra autoritaria ed illiberale di questa destra governativa.

Due giorni fa il coordinatore nazionale del PdL Denis Verdini, indagato per corruzione e associazione segreta, facendo seguito ad una nota di Napolitano dichiara: «Noi sappiamo delle prerogative del capo dello Stato, ma ce ne freghiamo». L’arroganza e la strafottenza di queste parole dimostrano, oltre al legittimo nervosismo dei falchi del Partito dell’Amore, l’ennesimo scriteriato attacco alla Costituzione e alle regole democratiche, che nell’eventualità di una crisi prevedono un preciso e collaudato iter istituzionale. Il Presidente della Repubblica ha infatti il dovere, visto che la nostra è una Repubblica Parlamentare, di verificare se in seno alle Camere esista un’altra maggioranza e – in caso affermativo – di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a chi la rappresenta. Nelle stesse ore a Padova il consigliere provinciale della Lega Pietro Giovannoni afferma «Basta soldi pubblici alla Maratona di Sant’Antonio perché a vincere sono sempre atleti africani o comunque extracomunitari in mutande», mentre alcuni suoi colleghi di partito a Milano si oppongono all’assunzione di infermieri stranieri, anche se in Lombardia mancano circa 8mila infermieri, e di italiani se ne trovano sempre meno. Due fra i tanti segnali di intolleranza xenofoba e ottusa discriminazione di cui il Carroccio si fa triste portatore e che ben rappresentano l’altra faccia della protervia dell’asse berlusconi-bossi.

La convergenza fra mafia e politica

La convergenza fra mafia e politica

Oggi Barbara Spinelli ha scritto un illuminante articolo dal titolo: L’osceno normalizzato, in cui fra l’altro si afferma: «Ci fu un tempo, non lontano, in cui era vero scandalo, per un politico, dare a un uomo di mafia il bacio della complicità. Il solo sospetto frenò l’ascesa al Quirinale di Andreotti. Quel sospetto brucia, dopo anni, e anche se non è provato ha aperto uno spiraglio sulla verità di un lungo sodalizio con la Cupola. Chi legga oggi le motivazioni della condanna in secondo grado di Dell’Utri avrà una strana impressione: lo scandalo è divenuto normalità, il tremendo s’è fatto banale e scuote poco gli animi. Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi – futuro Premier – aveva a Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent’anni, almeno fino al ’92. Dell’Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell’incontro a Milano della primavera ’74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest’ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d’un “uomo di garanzia”. C’è dell’osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra».

Com’è possibile che questo Parlamento abbia negato l’autorizzazione a procedere per un personaggio come Nicola Cosentino? Com’è possibile che in Italia nessuno chieda le dimissioni del senatore Marcello Dell’Utri, amico e stretto consigliere del premier, al quale suggerì la discesa in politica? Come può essere che berlusconi ricopra il ruolo di Presidente del Consiglio senza che ancora non abbia risposto dei reati di cui è accusato dalla Magistratura? Di chi è la colpa di tutto questo? Di tutti. Naturalmente del Cavaliere prima degli altri, il quale – grazie al suo impero mediatico – è riuscito nell’impresa di promuovere una condizione sociale di indifferenza ed ignoranza, ideale brodo di coltura perchè si sviluppasse il berlusconismo. Della sinistra che non ha mai saputo [e talvolta voluto] opporsi realmente a questo stato di cose. Di una buona parte della pubblica opinione che non ha saputo [e spesso voluto] impedire la degenerazione attuale della nostra democrazia, inquinata da un sistema autocratico e corrotto. Ecco perchè concordo con la Spinelli quando scrive «Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia». Negli ultimi mesi però vi sono stati diversi segnali di una rinnovata presa di coscienza da parte della gente e di mutati equilibri politici. E nel giorno delle proteste dei ricercatori e degli studenti universitari e della discesa in campo di Montezemolo, forse si avvicina una nuova stagione per questo Paese martoriato.

Vieni via con me

Vieni via con me

A proposito di Vieni via con me e delle diverse polemiche che in queste due settimane l’hanno accompagnato, posso dire di condividere quanto ha recentemente scritto Curzio Maltese. Trovo giusto evidenziare che «un programma che batte il Grande Fratello non soltanto con uno strepitoso Benigni, che sarebbe comprensibile, ma con don Gallo e le storie dei rom o della ‘ndrangheta dell’hinterland milanese, non è un fenomeno di costume, ma la spia di una svolta della società italiana».  In una qualche misura esiste infatti un parallelismo fra il successo senza precedenti della trasmissione di Fazio e Saviano e la crisi finale del berlusconismo, che è tale non soltanto per mere questioni di carattere politico, ma anche per motivazioni più attinenti alla sfera sociale. Inizia ad avvertirsi nel nostro Paese una sempre più marcata e diffusa insofferenza nei confronti della figura del premier, e novità di questi ultimi mesi, tale fenomeno è riconducibile anche all’elettorato di destra.

Il merito di Vieni via con me, che – come sottolinea Maltese – «a differenza di altri programmi proibiti non conduce battaglie politiche, ma sociali»,  è quello di aver «ricondotto alla platea Rai un pubblico giovane e colto che da tempo aveva abbandonato disgustato le reti pubbliche». Questo tentativo di contrapporsi all’egemonia aculturale del regime videocratico di berlusconi non poteva però non scatenare una reazione scomposta e violenta da parte di coloro che di tale regime sono i servitori, i quali – nel più puro stile berlusconiano – sono avvezzi discreditare ed aggredire chi osa muovere critiche al Governo. Ed ecco che così Roberto Saviano, reo di avere raccontato a nove milioni di telespettatori i rapporti tra mafia e politica al Nord tirando in ballo la Lega, viene inopinatamente attaccato dal Ministro dell’Interno, pur avendo fatto affermazioni risapute e confermate dalla Direzione Investigativa Antimafia. Come se non bastasse, proprio come aveva già fatto con Fini, Il Giornale – infastidito dalla popolarità trasversale dello scrittore casertano  che contrasta un potere fortemente compromesso con le organizzazioni criminali – promuove una raccolta di firme contro di lui perchè lo ritiene responsabile di una campagna denigratoria del Nord [SIC!]. Tristi colpi di coda di un sistema ormai morente, che però è ancora in grado di fare molto male.

Elezioni ad personam

Elezioni ad personam

Da molto tempo sostengo che berlusconi costituisce un grave pericolo per la democrazia. L’uomo è sempre stato disposto a tutto pur di preservare il suo potere e difendersi dai propri guai giudiziari. Persino a farsi spregio delle regole democratiche. Affermare che senza la fiducia a Montecitorio si dovrà andare ad elezioni, ma soltanto per rinnovare la Camera dei Deputati, si inserisce perfettamente in questo solco. A parte lo sgarbo istituzionale al Presidente della Repubblica che è l’unico che può decidere sullo scioglimento delle Camere, la soluzione proposta non ha precedenti nella storia della Repubblica Italiana e procurerebbe, fra l’altro, uno sfasamento temporale fra i due rami del Parlamento. Inoltre, se il voto producesse una sconfitta elettorale di berlusconi, il Paese si troverebbe con due Camere con maggioranze opposte, condannate a un lungo periodo di stallo ed inevitabilmente a nuove elezioni. Per fare un esempio recente, anche Prodinel gennaio 2008 ebbe la maggioranza alla Camera e venne sfiduciato al Senato, ma allora si sciolse comunque tutto il Parlamento.

In realtà il Caimano sa bene che difficilmente Napolitano lo seguirà in questa sua mossa, che quindi va letta nell’ottica propagandistica di chi – ancora una volta – utilizzerà il proprio impero mediatico per affrontare la campagna elettorale nei panni della vittima, solo contro tutti: i magistrati cancro della democrazia, i giudici della Corte Costituzionale di sinistra, la Costituzione bolscevica, il presidente della Repubblica che sappiamo da che parte sta, Fini l’infame traditore, i giornali che non vanno letti perchè dicono solo bugie, la RAI indecente, l’opposizione illiberale. In questo momento di preoccupante emergenza istituzionale non posso che concordare con quanti sostengono la necessità di un’alleanza di solidarietà nazionale che comprenda PD, UDC e FLI, a salvaguardia della Costituzione e della democrazia.

L’inizio della fine

L’inizio della fine

Non si può non sottolineare come il discorso di ieri di Fini sia stato frenato da un eccesso di tatticismo, dalla precisa volontà di non assumersi la paternità della crisi. Una strategia che può anche apparire ragionevole, considerata l’imponente capacità di fuoco di cui – grazie ai suoi media – può disporre il premier, ancora in grado di indirizzare a proprio piacimento una buona parte della pubblica opinione. Ma che al tempo stesso espone il Presidente della Camera al gioco di chi lancia il sasso per poi ritirare subito dopo la mano, di chi – per l’appunto – invoca le dimissioni di berlusconi, senza però votare la sfiducia al Governo. Detto questo, è  evidente che Fini rappresenta l’unica speranza di avere in questo misero Paese una destra moderna e riformista, ben distante dalle spinte populiste e plebiscitarie del premier o da quelle reazionarie e xenofobe di bossi. I temi affrontati configurano Futuro e Libertà come una grande forza moderata post-berlusconiana ed antileghista. Alcuni di questi mi stanno molto a cuore, visto che anche io li ho esposti più volte dalle pagine del mio blog.

  • «C’è una sorta di decadimento morale nella società italiana che è conseguenza della progressiva perdita di decoro di quelli che sono i comportamenti di chi è chiamato ad essere di esempio, perché se si è personaggi pubblici si è obbligati ad essere di esempio. Ho rimpianto, e credo che anche gli italiani lo abbiamo, del rigore, dello stile, del comportamento di uomini come Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa: la prima Repubblica era anche in queste personalità che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato».
  • «Si devono mettere in campo politiche di ripresa. Non si può liquidare tutto parlando di assurde congiure o che c’è il governo del fare. Mi sembra che a volte questo governo del fare sia il governo del fare finta che tutto vada bene senza tenere conto dei problemi della società».
  • «Meglio leggerli i giornali anche se non parlano bene di te. Meglio quelli che certi telegiornali che sembrano arrivare da epoche di regimi in cui giravano le veline».
  • «Rispettare la persona vuol dire che non si possono distinguere bianchi e neri, cristiani, musulmani e ebrei, uomini e donne, etero e omosessuali, cittadini italiani o stranieri. La persona è al centro dell’azione di qualsiasi cultura politica che voglia creare i presupposti per armonia».
  • «Non c’e’ alcun movimento politico in Europa, sui temi dei diritti civili e della cittadinanza, cosi’ arretrato culturalmente come mi sembra quello del Pdl che va a rimorchio della peggiore cultura Leghista».
  • «C’è la necessità di un’altra politica, di superare la fase o si sta di qua o di là. Non è possibile che ogni volta che si parli di cercare momenti condivisi il tutto viene bollato come sinonimo del peggiore inciucio o di truffa agli elettori. Finita la campagna elettorale l’altra coalizione non può rimanere il nemico da combattere con un eccesso di propaganda e deficit di politica».
  • «Non sarà accolto con soddisfazione quello che dico, ma se si dice che bisogna rispettare lo scettro nelle mani del popolo allora non c’è patto di legislatura se non si ha coraggio di cancellare una legge elettorale che è una vergogna».
La satira diventa cronaca

La satira diventa cronaca

Da un anno e mezzo a questa parte il governo berlusconi è in caduta libera. Gli scandali si susseguono uno all’altro senza soluzione di continuità, ponendo il Paese di fronte al baratro dell’ingovernabilità: puttanopoli, la casa di Scajola, la cricca di Bertolaso, il ministero fantasma di Brancher, la P3, Ruby Rubacuori.

Le vicende di queste ultimissime settimane, a cominciare dalla bestemmia pronunziata in pubblico, per finire con l’aggressione verbale ai gay e con la puntata di ieri sera di Ballarò, dove l’onorevole Lupi si è dimostrato più snodato dell’Uomo Ragno nell’arrampicarsi su ogni specchio possibile per difendere il premier, mi hanno fatto tornare alla mente una vignetta di Stefano Disegni di due anni fa. Alla fine oggi siamo nelle condizioni di dire che la realtà dei fatti ha superato la fantasia di chi fa satira. Quando i comportamenti di un uomo pubblico e di chi continua ancora a sostenerlo [a cominciare da Bossi che liquida l’affaire della telefonata alla Questura di Milano affermando: «Silvio ha sbagliato, poteva telefonare a me o a Maroni», come a dire: il lavoro sporco non lo faccia personalmente, lo lasci pure a noi], ridimensionano la satira a cronaca, allora significa che il regime, nel tentativo di salvare se stesso, è andato ben oltre ogni livello di guardia.

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