Il Governo Montusconi
Quando nel novembre scorso si insediò il Governo Monti, furono due i refrain ripetuti fino allo sfinimento. In primis l’azione dell’esecutivo sarebbe stata improntata a criteri di massima urgenza e circostanzialità. Avrebbe dovuto – cioè – porre in essere una serie di misure dirette esclusivamente a far uscire il Paese dalle sacche di una grave crisi. Tali misure, secondariamente, avrebbero perseguito fini di equità sociale, di modo da distribuire con giustezza i sacrifici che gli italiani avrebbero dovuto compiere.
Oggi, dopo 4 mesi di cura Monti, penso che non sia cosa azzardata sostenere che nessuno di questi due principi sia stato rispettato. Per molti versi la politica del nuovo Governo – come molti osservatori stanno evidenziando – si caratterizza piuttosto come una mera prosecuzione di quella del precedente. La finanziaria non ha previsto alcuna patrimoniale, l’IVA è stata portata al 23%, e lo smantellamento dell’Art. 18 è diventato il tema centrale della riforma del lavoro. Tre esempi fra gli altri che servono ad inquadrare come l’esecutivo si sia limitato a procedere lungo il solco di una politica illiberale ed autoritaria tipica della destra berlusconiana, perdipiù utilizzando la clava dell’apparente cifra tecnica e dell’ottima considerazione che fino ad ora gli è stata accordata da stampa ed opinione pubblica. Una politica che peraltro sta mettendo sempre più in difficoltà il Partito Democratico, diviso fra la fedeltà al Governo e la difesa dei diritti dei lavoratori.