Più di una consonante

Più di una consonante

Grillo ha sempre sostenuto che tutti i partiti sono uguali. L’unica differenza fra il pd e il pdmenoelle – come li definisce lui – sta in una consonante che in un caso c’è e nell’altro manca. Se ne consegue che Grasso e Schifani siano due figure perfettamente sovrapponibili e che la storia personale del ex procuratore antimafia sia assimilabile a quella del vecchio avvocato di berlusconi, accusato – detto per inciso – di concorso esterno in associazione mafiosa. Fortunatamente ieri qualcuno fra i suoi senatori non deve averla pensata allo stesso modo e così – contravvenendo all’ordine di scuderia – ha dato il proprio voto al candidato del PD, provocando una spaccatura all’interno del Movimento e una scomposta reazione da parte del santone del vaffanculo.

Ancora una volta Grillo ha attaccato le fondamenta della democrazia parlamentare, affermando che «nella votazione di oggi per la presidenza del Senato è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso» e spingendosi di fatto a chiedere le dimissioni dei disobbedienti. Negli ordini liberali l’eletto non è un automa teleguidato, nè un semplice mandatario dei propri elettori. Secondo la nostra Costituzione, esercita le sue funzioni senza alcun vincolo, in piena libertà. Ma evidentemente questo aspetto costituisce solo un intralcio per chi vorrebbe che il proprio movimento fosse un esercito di marionette. In questi ultimi giorni però, prima presso l’elettorato pentastellato – che in maggioranza chiede un’assunzione di responsabilità nei confronti di un governo del centrosinistra – e poi anche fra alcuni eletti, sta facendosi largo un idea più democratica di quella del proprio padre padrone. Un’idea che preveda che si possa votare secondo la propria coscienza e non sulla base di direttive, o chiedendo il permesso a dei capi bastone. Un’idea che contempli persino la possibilità che fra pd e pdmenoelle ci sia ben più di una consonante di differenza. 

Senza precedenti

Senza precedenti

I parlamentari del Partito delle Libertà che assediano il Tribunale di Milano cantando l’Inno di Italia, per poi fermarsi davanti all’aula dove si celebra il processo Ruby, si sono resi protagonisti di una delle pagine più patetiche della storia repubblicana. Una piazzata vergognosa in cui la pretesa di impunità per il padre padrone del proprio partito viene spacciata per emergenza democratica. Il cerchio che si stringe intorno all’avventurismo di berlusconi, sul quale oggi gravano due condanne in primo grado e due altri processi in corso, ha trascinato il suo partito in un’operazione dal sapore estremista ed eversivo. Un’iniziativa irresponsabile che porta un potere dello Stato in rotta diretta di collisione con un altro e che mira ad estendere il conflitto istituzionale, coinvolgendo persino il Presidente della Repubblica. A Napolitano si è chiesto di porre un freno all’azione della Magistratura, che secondo l’ex premier punterebbe al suo arresto, da far votare al Parlamento in cui esiste una maggioranza PD-M5S favorevole. Ma il Capo dello Stato ha parlato di «manifestazione senza precedenti» e ha fatto sapere che l’indipendenza della Magistratura non è in discussione. Anche se in seguito ha cerchiobottisticamente aggiunto che sarebbe opportuno garantire la partecipazione adeguata di berlusconi a questa fase politica.
 
Lo scenario risultante potrebbe essere il caos istituzionale, col PdL che non esita a minacciare l’Aventino e quindi ad impedire di fatto il corso regolare dei lavori parlamentari. Forte dell’ottimo risultato elettorale, Il Cavaliere spinge infatti per nuove elezioni in tempi brevissimi, convinto di poter acciuffare quella vittoria che lo scorso mese ha mancato soltanto per un soffio, complice – naturalmente – l’immancabile popolo bovino.
Populisti d’Italia

Populisti d’Italia

Viviamo in un Paese in cui il leader di un partito si dimette per aver detto una bugia circa un master, in realtà mai conseguito. Invece il leader di un altro partito, condannato a 4 anni per frode fiscale non solo non si dimette, ma viene addirittura premiato col 30% dei voti. Oggi a questa condanna se n’è aggiunta un’altra di un un anno, per aver fatto pubblicare su Il Giornale un’intercettazione coperta da segreto istruttorio al fine di danneggiare un avversario politico. Uno scandalo che sarebbe gravissimo ovunque tranne che qui. Ed infatti dubito che in Italia cambierà qualcosa nei consensi di cui ancora gode berlusconi. Si è visto che parte dell’elettorato vota come gli ultras tifano per una squadra di calcio, in modo brutalmente emotivo ed integralista. Sempre di oggi è la reazione scomposta di Grillo al trattamento ricevuto da stampa e TV. Il comico genovese in realtà fa suo un vecchio e glorioso cavallo di battaglia berlusconiano, per cui la libera informazione diventa propaganda faziosa o attacco deliberato [e persino prezzolato] nel momento in cui semplicemente fa il suo mestiere, ossia muove delle osservazioni. Evidentemente, proprio come il Cavaliere, Grillo vorrebbe un sistema informativo ossequioso e prono. E in ultimo – in un irrefrenabile slancio di responsabilità politica – afferma: «Voglio il 100% del Parlamento. O noi o la violenza per le strade».
 
Parlare di questi due pagliacci – così come sono stati definiti dalla stampa internazionale – significa passare da chi ha governato per quasi 20 anni anteponendo i propri interessi a quelli del Paese, a chi invece gli interessi del Paese vorrebbe sfasciarli del tutto. Quanti di coloro che hanno votato Grillo sanno che senza i partiti – che il santone del vaffanculo vorrebbe abbattere – non esiste alcuna democrazia? E che il modello democratico che si vorrebbe instaurare, se privo di bilanciamenti e controlli significa anarchia autoritaria? Quanti hanno compreso che la freschezza rappresentata dai parlamentari grillini, senza esperienza, competenza ed autonomia significa caos istituzionale? Forse faranno sorridere le dichiarazioni del sommelier che, in quanto tale, vorrebbe lavorare per migliorare l’agricoltura, o dell’altro deputato grillino che rivela il complotto dei microchip impiantati sotto pelle, però bisognerebbe prima di tutto capire che nuovo non vuol dire necessariamente migliore e che politica non è sinonimo di furto, come invece si vorrebbe far credere.
Grillocrazia

Grillocrazia

L’obiettivo di Beppe Grillo è quello di destabilizzare l’intero sistema politico istituzionale, come lascia intendere lui stesso nel libro scritto a più mani con Casaleggio e Dario Fo: «Noi vorremmo che i partiti scomparissero radicalmente, che ci fossero nuove regole di comunità anche in Parlamento. Lo so, molti potrebbero domandare, “Ma in Parlamento se non ci sono i partiti chi ci sarà? Come può esistere un Parlamento senza i partiti?” Nel Parlamento ci saranno i comitati, i movimenti e la società civile». Grillo però si dimentica il piccolo particolare che senza i partiti non esiste alcun esempio di democrazia al mondo. Si dimentica inoltre che, a fronte di questo richiamo alla democrazia diretta, utopistico e fumoso [non si sa come tale nuovo modello democratico dovrebbe funzionare, con quali meccanismi, quali poteri di controllo, quali bilanciamenti, quali istituzioni], lui è il leader monocratico di un movimento senza uno straccio di statuto, che censura ogni voce dissenziente, pieno di dilettanti allo sbaraglio, e con un marchio di cui egli stesso è l’unico proprietario. Quindi, mentre un Paese allo sbando aspetta una sua improbabile assunzione di responsabilità che lo conduca ad un accordo con uno di quegli inutili partiti che vorrebbe spazzare via, finendo – dal suo punto di vista – col cedere a quel sistema che in realtà vorrebbe abbattere, faccio mie alcune riflessioni di Massimo Gramellini.

Si inizia con la considerazione di come il linguaggio di Grillo sia espressione diretta del ventennio che ha visto prosperare messaggi politici come quelli di Bossi e berlusconi «Anticipando il probabile duello finale dei prossimi mesi, Grillo ha attaccato Renzi dandogli della “faccia come il c.” (in comproprietà con Bersani) e del politico di professione. Per lui e per una parte dei suoi elettori le due definizioni sono sinonimi. Tralascio ogni giudizio sull’uso del turpiloquio, uno dei tanti lasciti di questo ventennio che ancora prima delle tasche ci ha immiserito i cuori, portandoci a considerare normale e persino simpatico che un leader politico si esprima come un energumeno». Per poi sottolineare la grande mistificazione della campagna elettorale del M5S, che – cavalcando e alimentando la rabbia e la sfiducia per la classe politica – ha indotto a pensare che tutti i politici siano egualmente dei ladri e che Bersani sia sovrapponibile a berlusconi, con buona pace delle tante leggi ad personam, dei bunga bunga, delle culone inchiavabili, delle ville a Lampedusa, delle case acquistate ad insaputa del proprietario, delle forza gnocche, dei baciamani a dittatori sanguinari, dei ristoranti pieni, dei tumori sconfitti in 3 anni, dei legittimi impedimenti, dei processi brevi, degli avvocati Mills, delle condanne per frode fiscale, dei senatori accusati di mafia, di quelli comperati per 3 milioni di euro e via così: «Gli elettori hanno avuto la percezione che tutti i politici fossero uguali a Fiorito o a Scilipoti e che chiunque potesse fare meglio di loro. Ma non è così. Il “chiunquismo” è una malattia anche peggiore del qualunquismo e porta le società all’autodistruzione. Questa idea che tutti possono fare politica, scrivere articoli di giornale, gestire un’azienda o allenare una squadra di calcio è una battuta da bar che purtroppo è uscita dai bar per invaderci la vita e devastarcela. A furia di vedere buffoni e mediocri nelle foto di gruppo della classe dirigente, ma soprattutto di vedere ovunque umiliata la meritocrazia a vantaggio della raccomandazione, siamo sprofondati in un’abulia che ci ha indotti ad accettare senza battere ciglio ogni sopruso e ogni abuso antidemocratico, a cominciare dai partiti padronali e da una oscura rockstar del capitalismo come presidente del Consiglio. E ora che ci siamo svegliati, per reazione vorremmo buttare tutto all’aria, convinti che per fare politica bastino un ideale e una fedina penale intonsa. Non è vero. Gli ideali e l’onestà sono la base per distinguere i buoni leader dai cialtroni che ci hanno ridotto in questo stato».

Siamo ingovernabili

Siamo ingovernabili

«E’ chiaro che gli italiani respingono l’austerità» titola il Wall Street Journal. «Gli italiani dicono basta all’austerità. I messaggi populisti e anti-establishment conquistano gli elettori» sintetizza il Financial Times. Ed in effetti le elezioni sono state vinte dal rimborso dell’IMU, dal reddito di cittadinanza, dalla salvifica uscita dall’Euro e da un sonoro vaffanculo a tutti, senza alcuna distinzione. Chi – come berlusconi e Grillo – hanno cavalcato il malcontento per una politica di rigore e la sfiducia verso la classe politica, riscuotono un successo inaspettato. Coloro che – più seriamente, come Bersani e Monti – non hanno nascosto all’elettorato la necessità di sacrifici per uscire dalla crisi economica, ottengono un risultato inferiore alle attese, che nel caso di Casini e Fini è davvero umiliante. E’ un voto di pancia quello che delineano queste elezioni. Un voto che si alimenta di bugie, di promesse irrealizzabili, di bassi espedienti, di retorica da “Bar dello Sport”, di insulti gratuiti, di violenza verbale. Un voto che rincorre il radicalismo presente nel malessere sociale e nella rabbia anticasta nel caso di Grillo, e che vive della seduzione mediatica e del colpo ad effetto nel caso di berlusconi. Protagonisti entrambi di una proposta demagogica che attrae consensi ma che non può produrre alcuna stabilità governativa, e che giustamente sta creando forti preoccupazioni presso gli osservatori internazionali.
 
Quanto al Partito Democratico, ha sbagliato prima di tutto a non imporre una nuova legge elettorale, quando aveva la possibilità di farlo. Una legge che non consegnasse il Paese ad una drammatica situazione di ingovernabilità, come invece è accaduto. Secondariamente non ha saputo intercettare quel forte bisogno di rinnovamento che arrivava dalla pubblica opinione. Un’opzione che al momento diventa improcrastinabile. Ed ora? Ed ora rischiamo che il peggio debba ancora venire.
Un vaffa liberatorio

Un vaffa liberatorio

Questo Paese è unico al mondo. Da nessun’altra parte infatti sarebbe possibile presentarsi alle elezioni politiche evitando di rispondere a qualsiasi domanda, e limitandosi invece a fare comizi privi di contradditorio. Quant’è facile in Italia cavalcare il malcontento nazionale, urlando che sono tutti dei ladri, senza proporre alcuna reale formula di Governo. Ma il programma? Si chiederà qualcuno. I punti principali sono all’insegna della vaghezza e della superficialità. Contano di più le demagogiche promesse come quella di istituire un reddito di cittadinanza, le richieste di chiusura di TG e reti nazionali colpevoli di aver sollevato questioni scomode, le affermazioni scomposte come quella di uscire dall’Euro, le pericolose aperture a movimenti come Casa Pound, la strategia del vittimismo, le estromissioni degli attivisti che la pensano diversamente dal leader, le offese e le contumelie ad avversari politici ed istituzioni. La violenza verbale è la cifra del populismo grillino, la stessa che ha segnato il successo elettorale di forze come la Lega, avvezze da sempre a parlare alla pancia della gente con slogan da Bar dello Sport.

Gli Italiani, specie nei momenti di grave crisi politica, sono soggetti a farsi incantare da personaggi che, sfruttando il clima di protesta, portano avanti la più logora delle banalità politiche, ossia la diversità da tutti gli altri partiti, esattamente come berlusconi e Bossi fecero nei primi anni ’90. Del resto anche il Movimento 5 Stelle, come Forza Italia e la Lega di 20 anni fa, è una forza leaderistica che poggia soltanto sul carisma del proprio portavoce, al di là del quale c’è il vuoto. Un vuoto che non è nè di destra nè di sinistra, ma che rappresenta unicamente il bisogno di protestare e distruggere tutto quanto con un grande vaffanculo liberatorio.

Al voto

Al voto

«Lei viene? Quante volte viene? E con che intervallo temporale?», rivolto ad una bella  impiegata che lo invitava a partecipare all’ inaugurazione di un impianto. «La magistratura sta mandando in malora l’Italia con una interpretazione giacobina: siamo di fronte ad un’offensiva dei magistrati senza alcun limite», riferendosi all’accusa per Formigoni di associazione a delinquere e alla condanna a 4 anni per corruzione all’ex ministro Fitto«Se il festival della canzone italiana diventerà il festival dell’Unità sono certo che il 50% dei cittadini italiani non pagherebbe più il canone», a proposito della kermesse di Sanremo, colpevole – a suo dire – di levargli tempo per rastrellare alla TV i voti degli indecisi. 

In queste 3 dichiarazioni rilasciate dal Cavaliere negli ultimi giorni c’è tutta l’arroganza, la volgarità, la pochezza e la cialtroneria che ha contraddistinto il ventennio berlusconiano. Fra 10 giorni avremo la possibilità di far voltare pagina al Paese, votando per il centrosinistra, che – pur con tutti i suoi limiti – rappresenta l’unica proposta seria di Governo. Potremo risparmiarci una nuova stagione di populismo dilagante, di leaderismo videocratico privo di contenuti, di leggi ad personam,  di attacchi alle istituzioni, di logoramento del tessuto sociale, di promozione di un clima di intolleranza ed ignoranza e di derive – più o meno morbide – verso un regime illiberale. C’è bisogno di un cambiamento radicale di cui farci protagonisti con il nostro voto.

Il grande corruttore

Il grande corruttore

Il grande corruttore dopo aver comprato magistrati, finanzieri, giornalisti, parlamentari, testimoni, prostitute e chi più ne ha, tenta oggi il colpo gobbo: comprare in contanti i voti degli italiani. Una media di 300 euro per un voto al PdL. Ecco cosa è uscito dal cilindro di questo anziano imbonitore, di questo venditore di fumo che promette senza poter mantenere, ma tanto “che importa”, qualche imbecille pronto a credergli lo troverà comunque. E poco conta se questa mossa non riuscirà a garantirgli una vittoria certa. Il suo obiettivo è rendere ingovernabile il Paese per riuscire ancora una volta a mettere al sicuro i suoi processi. 

Votatemi e sarete rimborsati dei soldi spesi per l’IMU. Un uomo che ha costruito il proprio impero economico grazie alla corruzione, per il quale non esiste altro metro o valore che il denaro, non poteva che chiudere la campagna elettorale cercando di comprare il futuro del Paese. Degli ultimi 20 anni ne ha disposto come ha voluto contando sulla credulità degli italiani. Oggi questa credulità non gli basta più, vuole avere anche la loro dignità.

Gli impresentabili

Gli impresentabili

berlusconi ha spiegato che ha dovuto far a meno di uomini come Dell’Utri e Cosentino per avere più consenso. Quindi l’iniziativa del Cavaliere di liberarsi di alcuni personaggi discutibili non è dettata dalla volontà di dar seguito alle istanze di moralizzazione che arrivano sempre più forti dalla pubblica opinione, ma semplicemente da bieche logiche elettorali. Naturalmente non è stato fatto alcun cenno alle accuse gravissime di collusione con la camorra e concorso esterno in associazione mafiosa che gravano sugli uomini del PdL. La colpa è – tanto per cambiare – soltanto della magistratura politicizzata che ha deciso di perseguitare alcuni dei maggiorenti del partito. Insomma, la solita congiura bolscevica.
 
Inoltre per qualche impresentabile che se ne va, ve ne sono molti altri che restano: Verdini, Formigoni, Nitto, Cesaro solo per fare qualche piccolo esempio. Prova ulteriore che l’obiettivo dell’operazione non è certo quello di ripulire le liste poco virtuose del Popolo della Libertà. Per non parlare, ovviamente, del personaggio più impresentabile di tutti, il plurinquisito e condannato in primo grado silvio berlusconi.
La partita del Senato

La partita del Senato

Ancora una volta l’impresentabile destra italiana agisce per mere logiche di potere, contro il bene del Paese. PdL e Lega sanno bene che difficilmente potranno vincere le prossime elezioni, eppure si alleano insieme nonostante i grandi mal di pancia dei rispettivi elettorati [in particolare di quello leghista] e i proclami dei dirigenti del Carroccio che avevano più volte perentoriamente garantito «mai più col Cavaliere!». Il vero obiettivo è quello di ottenere una situazione di stallo al Senato. Poichè a Palazzo Madama i seggi vengono assegnati su base regionale con un premio di maggioranza regionale corrispondente al 55% dei seggi assegnati nella singola regione, diventa fondamentale vincere nelle grandi regioni come Lombardia, Campania, Veneto o Sicilia.
 
Ed è proprio al Senato che si giocherà tutta la partita. Se Bersani sarà in grado di conquistare le regioni più popolose potrà ottenere la maggioranza oltre che alla Camera – come indicano tutti i sondaggi – anche al Senato. Se viceversa si arrivasse ad un sostanziale pareggio, se cioè il centrosinistra risultasse vincente soltanto alla Camera, si aprirebbero diverse possibilità che potrebbero favorire un accordo con Monti, portare nuovamente ad un Governo di larghe coalizioni, o addirittura far saltare il banco, con un ritorno alle urne dagli esiti imprevedibili. La sofferta intesa fra Maroni e berlusconi [per raggiungere la quale quest’ultimo ha accettato persino di fare un passo indietro dalla premiership], e l’analoga operazione che il Cavaliere sta compiendo in Sicilia con Miccichè, vanno dritti nella direzione di rendere il Paese ingovernabile, sperando di avere ancora un ruolo da recitare, anche nella prossima legislatura.