30 anni fa in musica

30 anni fa in musica

Il 1979 è un anno di grande fermento ed innovazione nel campo musicale. Un anno che fa da spartiacque fra il tipico seventies sound e la new wave degli Anni 80. Sicuramente, se si esaminano le vendite nei primi mesi dell’anno, la disco è ancora in auge, anche se spesso virata su nuove sonorità come in Hot Stuff di Donna Summer o come in Rapper’s Delight dei Sugarhill Gang che segna la nascita embrionale dell’ hip hop, la nuova musica nera che negli anni a venire governerà le classifiche di mezzo mondo. Con un impianto più tradizionalmente da discoteca si presentano invece i due smashing hit I Will Survive di Gloria Gaynor e We are family delle Sister Sledge. Sempre nello stesso anno la scena underground newyorkese diventa famosa su scala internazionale, specie con gruppi come i Talking Heads e come i Blondie con il loro clamoroso successo Heart of Glass. Tra gli artisti più popolari del 1979 vi sono, oltre ai già citati, i Bee Gees, gli Chich, Rod Stewart, i Police, i Pink Floyd, i Supertramp. Esplodono i Knack di My Sharona che qualche critico paragona ai Beatles, salvo però cambiare repentinamente idea quando, solo un anno dopo, nessuno si ricorderà più della band.
Siamo tutti dei berlusconi

Siamo tutti dei berlusconi

Mentre Freedom House [organizzazione autonoma con sede negli Stati Uniti, che si pone come obiettivo la promozione della libertà nel mondo], declassa l’Italia da Paese “libero” a “parzialmente libero“, unico caso nell’Europa Occidentale insieme alla Turchia, stralcio poche righe di un articolo dello scorso 30 aprile di The Economist, a titolo La berlusconizzazione dell’Italia, che rende evidente come certe cose ormai si possono dire solo all’estero:
 
Berlusconi sta raccogliendo i frutti dell’influenza sulle opinioni dei suoi connazionali che viene da lontano, influenza che nessun politico contemporaneo è in grado di rivaleggiare. Tutti gli italiani al di sotto dei trent’anni sono arrivati alla maturità politica in un Paese dove Berlusconi e la sua famiglia controllavano la metà dell’offerta televisiva, uno dei quattro quotidiani nazionali, una delle due riviste d’informazione e la più grande casa editrice. Il suo possesso dei media ha cambiato gli atteggiamenti e perfino il significato di alcune parole. Quando entrò in politica nel 1994, pochi avrebbero creduto alle sue affermazioni di essere vittima di un gruppo di magistrati comunisti conniventi; adesso queste affermazioni sono ampiamente ritenute vere. […] La subdola berlusconizzazione dell’Italia potrebbe essere utile per spiegare una tendenza che ha imperversato nel Paese negli ultimi 12 mesi. Non solo per spiegare le divisioni all’interno dell’opposizione e la spaccatura dei sindacati. Serve a spiegare la convinzione che ha attecchito su una buona parte della società convinta che il Premier rimarrà al potere indefinitamente…
 
 
E quindi le confronto con alcuni commenti dei lettori dell’edizione online di Libero news di Vittorio Feltri ad un articolo pubblicato il 3 maggio, in merito alla richiesta di divorzio di Veronica Lario:
 
Allaìelui una ciabatta in casa di meno forza Silvio tanto era un peso morto di sicuro alle prossime elezioni l’avrai come avversaria ma non preoccuparti la gente interessa cosa fai per il paese non per le cose personali e poi ormai tu il tuo contributo a questo vecchio paese già l’hai dato e non da poco perciò vai avanti per la tua strada grazie Silvio
 
Ma smettiamola di considerare la poverina come una vittima. Personalmente la trovo molto ridicola nei suoi patetici piagnistei. Se non le stava bene la vita matrimoniale con il cavaliere poteva separarsi molto tempo fa senza fare tutto il bailame che ha fatto in questi ultimi anni.
 
Come al solito voi donne non siete mai contente.Volete un uomo forte,intelligente,simpatico,di potere, ricco e possibilmente anche bello!! Poi vi rompete le palle perchè non sapete più cose fare nella vita e come consumare la richezza che avete tra le mani ed ecco il risultato…divorzio!! a spese chiaramente dello sposo!. Silvio ci caschiamo tutti è una vecchia storiella che le donne,tutte,hanno imparato a recitare. Sii sempre un galantuomo, dagli quello che vuole e licenziala tanto di “paralumi” ne trovi in quantità e molto più moderni!!. Silvio siamo sempre con Te!!
 
Silvio sarà quel che sarà ma ha sempre parlato bene della sua famiglia al contrario di lei. Se fosse stata una vera donna avrebbe lasciato che fosse lui a dare la notizia. Mi dispiace molto per Silvio ma sono sicura che come Preidente del consglio continuerà a fare ancora meglio per noi italiani, ora che non ha più da preoccuparsi della signora.
C’era una volta Sergio Leone

C’era una volta Sergio Leone


Il 30 aprile di vent’anni fa moriva Sergio Leone, uno dei più geniali e raffinati autori del nostro cinema. Internazionalmente conosciuto per aver inventato il genere “spaghetti” western, e soprattutto per essere riuscito – da italiano – a rinnovare e quindi influenzare un genere tipicamente americano. Nel 1964 realizza il rivoluzionario Per un pugno di dollari, in cui emerge il suo stile personale fatto di tempi ed immagini dilatate, capace di infondere una dimensione epica e mitica al racconto cinematografico. Celebri in particolare i suoi lunghi primi piani che indagano i sentimenti dei protagonisti, e le straordinarie colonne sonore di Ennio Morricone. Un marchio di fabbrica presente nei successivi Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo che completano la cosidetta trilogia del dollaro. Con C’era una volta il west e Giù la testa lo sguardo del regista si fa ancora più celebrativo. Il primo in particolare è considerato il suo più grande western: un sincero e malinconico omaggio al mondo della frontiera, in cui il Leone accentua la sua visione contemplativa. Dopo una gestazione di 15 anni, il regista romano chiuderà la trilogia del tempo e la sua breve carriera con il monumentale C’era una volta in America. Da crepuscolare e struggente affresco sulla malavita organizzata nella New Yorkdel proibizionismo fino agli anni 60, il film si sviluppa come metafora della vita e dell’amicizia, del tempo perduto, del peso della memoria, dell’imprescindibilità della violenza.


In una delle sue ultime interviste ebbe a dire: «’C’era una volta in America’ è un omaggio alla letteratura americana di Chandler, Hammett, Doss Passos, Hemingway, Fitzgerald. Personaggi che, quando li ho conosciuti, erano proibiti in Italia. Li ho letti in clandestinità ai tempi del fascismo, e come tutte le cose proibite hanno assunto un significato anche superiore alla loro importanza effettiva. In secondo luogo è la ricostruzione più compiuta di quell’America che ho inseguito e sognato per anni. L’America delle contraddizioni e del mito. Infine, è una riflessione sullo spettacolo, sull’arte visiva. Non a caso, il film inizia e finisce in un teatro d’ombre cinesi: il pubblico delle ombre cinesi sta alle ombre cinesi come il pubblico del film sta al film. C’è una simbiosi tra loro e noi. È un doppio schermo, anzi un pubblico che guarda un altro schermo.»

 

Il prodotto 25 aprile

Il prodotto 25 aprile

Dopo anni di polemiche, che puntualmente si riproponevano all’avvicinarsi del 25 aprile, il premier parteciperà per la prima volta in veste ufficiale a una cerimonia per le celebrazioni della Liberazione dal nazifascismo. Non credo affatto che questa scelta sia casuale. La popolarità di berlusconi è oggi alle stelle, complice anche il suo sfacciato presenzialismo alla recente tragedia in Abruzzo, dove il Nostro, aggirandosi fra le macerie ancora fumanti, si è prodotto in funambolici esercizi di discorsi di circostanza, promesse da marinaio, offerte delle proprie case al mare. Per contro l’opposizione è ridotta ai minimi termini. Le prossime elezioni europee potrebbero persino sancire la fine del Partito Democratico, se il risultato dovesse essere ancora peggiore delle previsioni tuttaltro che rosee. In questo scenario berlusconi comprende, probabilmente a ragione, di poter far propri anche i simboli che da sempre hanno contraddistinto la sinistra italiana. Sente di aver piegato sia l’opposizione parlamentare che quella presente nel Paese.
 
In questi ultimi anni l’attuale presidente del Consiglio ha gestito la politica come se fosse un qualsiasi prodotto di mercato, secondo precise strategie di marketing mediatico, in cui si è progressivamente concesso sempre meno spazio a questioni legate a coerenze politiche o, peggio, a principi etici. Quegli stessi che determinarono, per illeciti persino meno gravi di quelli di cui si è reso protagonista berlusconi, la fine politica e l’esilio del suo mentore Bettino Craxi. Ora invece è tutto possibile, proprio perchè prima si è pensato a creare i presupposti grazie ai quali berlusconi potesse costruire un’Italia a sua immagine e somiglianza, di fatto stralciando ogni fondamento morale e quindi non dovendosi più preoccupare di ciò che è tollerabile per il Paese o legale per il Diritto.
Il pensiero unico – parte seconda

Il pensiero unico – parte seconda

Francamente trovo che i nuovi attacchi rivolti da berlusconi, Fini e la maggioranza ad Annozero siano sempre più preoccupanti. Nella fattispecie non comprendo bene cosa si contesti alla trasmissione di Michele Santoro dedicata al terremoto in Abruzzo. Può l’aver dato voce a qualche opinione critica degli sfollati in merito al lavoro di pianificazione ed organizzazione della Protezione Civile o l’aver sottolineato l’incuria di moltissime costruzioni, fra cui la Casa dello Studente e l’Ospedale San Salvatore, essere la reale motivazione per questa bufera polemica? Ovviamente no, anche perchè se fossero state dette delle falsità o delle diffamazioni si sarebbe risposto in sede penale. Non mi pare peraltro che Annozero abbia assunto una posizione rispetto ai fatti raccontati più partigiana di quella di  certe recenti puntate di Porta a Porta sul caso Englaro, solo per fare un piccolo esempio. Il punto è naturalmente un altro e si inserisce nel disegno berlusconiano di normalizzare l’informazione [si veda al riguardo il tentativo di nominare Maurizio Belpietro alla dirigenza del TG1]. 

Il progetto di creazione di un pensiero unico in Italia è ormai sempre più violento e sfacciato, complice il disinteresse e l’ignoranza dell’italiano medio, obnubilato da decenni di indottrinamento mediatico. Qualsiasi opinione si abbia su Annozero, non si può contestare che sia la più visibile espressione di giornalismo critico e d’inchiesta in Italia. Quella che meglio [insieme a Report e qualcosa di Ballarò] consente un approfondimento e un’analisi critica che può difformarsi dal dominante pensiero unico o, peggio ancora, dal non pensiero. Ho sempre ritenuto che una pluralità di opinioni costituisca un arricchimento, un importante stimolo alla creazione di un senso civico, base indispensabile per ogni democrazia, ammesso e non concesso che quella italiana sia ancora una democrazia.

Un cuore di ricordi

Un cuore di ricordi

Esiste un sottile filo rosso che lega le feste agli affetti, ai ricordi e alle fotografie. Un’associazione di idee piuttosto banale che tuttavia percorre la testa e soprattutto il cuore. Le immagini congelano emozioni e poi le fanno riaffiorare, spezzando lo strato di ghiaccio che le aveva riposte da qualche parte dentro di noi. In definitiva non siamo altro che scrigni che si riaprono quando abbiamo bisogno di concederci alla nostalgia. Echi, memorie, tracce che conservano in sè una piccola sorpresa, come dentro un uovo di Pasqua  che ogni anno si rompe e che – per  questo motivo – insistiamo a volere intatto l’anno successivo. Così mi viene da pensare che siamo pronti a sorprenderci solo se abbiamo rotto qualcosa prima. Proprio come un nuovo inizio che può arrivare soltanto dopo un addio. Auguri!


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La banda dei cuori solitari di Vinicio Capossela

La banda dei cuori solitari di Vinicio Capossela


Tutto si può dire tranne che il “Da Solo Show” di Vinicio Capossela sia uno spettacolo solitario, visto la formidabile band di “strumenti inconsistenti” che supporta il cantautore ed il pubblico che ogni sera continua a rispondere numeroso e calorosissimo! Definirlo un concerto è assolutamente riduttivo. Ciò a cui abbiamo assistito ieri sera al Carlo Felice di Genova è uno zibaldone in forma di varietà, affollato da tanti personaggi prelevati di peso dai baracconi delle stranezze che ad inizio del secolo scorso affiancavano il Circo Barnum. Ed ecco quindi maghi illusionisti, saltimbanchi, giganti e donne mangiafuoco, l’uomo dalla faccia deturpata dalle storie, il polpo palombaro, la medusa nervosa, il minotauro, il maiale dalle due teste che «mangia per due ma rende la stessa quantità di prosciutto. Lo spettacolo è uguale, ha due teste quindi scusate le spalle e scusate la faccia».

La prima parte dello show racchiude le canzoni dell’ultimo splendido e celebrato disco, l’unico disco italiano che la famosa rivista britannica Mojo inserisce fra i migliori dieci dell’anno scorso. E’ la parte più intimista e raccolta, che inizia con Il gigante e il mago e si snoda attraverso la poesia e la magia di canzoni come In clandestinità, Parla piano e Orfani ora fino ad approdare alla struggente metafora de Il paradiso dei calzini, eseguita con un pianoforte giocattolo non più alto di 20 centimetri. Dopo l’intervallo, comincia una seconda parte in cui la scaletta pesca invece dai precedenti lavori. L’atmosfera si fa più calda, sul palco fa il suo ingresso una gabbia illuminata, i musicisti, le cui divise ricordano in parte quelle di Sergent Pepper, incantano con grancasse, tromboni, vibrafoni, banjo e clarinetti e Vinicio trascina un pubblico sempre più festoso ai piedi del palco. Esegue Marajà con una maschera scimmiesca, Canzone a manovella in abito da pesce e Che cos’è l’Amor vestito da cantante country. Per L’uomo vivo il mago viene impacchetato in una camicia di forza ed appeso a testa in giù, fino a quando, secondo la migliore tradizione di Houdini, riesce a liberarsi. In un attimo il teatro è tutto in piedi e vi rimane sino alla fine dello show, ballando, cantando e battendo le mani a tempo, sotto diluvi di coriandoli.
C’è spazio anche per diversi pensieri  su Genova, «una città in cui ti senti imbarcato, anche se rimani a terra» e per una personale versione de La citta vecchia di De Andrè. Capossela, che dà fondo al suo genio fantastico e visionario, sa intrattenere con intelligenza ed ironia: «se non proprio l’autostima, che di questi tempi è un lusso, coltiviamo almeno un pò di autosolidarietà». Per due e ore e mezza il suo varietà ci ha emozionato, avvinto ed esaltato e, cosa più importante di tutte, è riuscito a condurci in un luogo dove si è tornati bambini a sgranare gli occhi «dentro una sfera di meraviglia».

 

  

E’ la fine della stampa [e dei blog], bellezza!

E’ la fine della stampa [e dei blog], bellezza!

La crisi della Stampa è oramai irreversibile. Negli Stati Uniti, che anticipano l’economia europea di qualche anno,  gli introiti pubblicitari dei giornali sono diminuiti del 23% negli ultimi due anni. Diversi giornali sono in bancarotta, altri hanno perso all’incirca tre quarti del loro valore, e dal 2001 quasi un giornalista della carta stampata su cinque ha perduto il proprio posto di lavoro. La causa principale di tutto ciò è Internet, cioè la massiccia migrazione dell’audience verso la Rete, che l’anno scorso ha prodotto una crescita del 27% del traffico dei primi 50 siti di news. In Italia la crisi ha molteplici cause. Dapprima la scarsa credibilità culturale dei quotidiani, sempre più asserviti a logiche di potere e connotati da superficialità, sensazionalismo e partigianeria. Poi la posizione centrale di cui gode la televisione nel nostro paese. Media per eccellenza [ahinoi] per quel che riguarda la creazione di un’identità collettiva. Infine il fenomeno della free press, ossia  dei quotidiani che vengono distribuiti gratuitamente nelle stazioni delle metropolitane e delle ferrovie, i quali stanno vivendo un grosso successo grazie ad un formato snello, leggibile in pochi minuti, privo di orpelli e con un ampio spazio dedicato alle notizie locali. A tutto questo si aggiunge la concorrenza sempre più forte di Internet, i cui investimenti pubblicitari sono in continua ed inarrestabile crescita. il Web si sta facendo protagonista di una vera rivoluzione. E’ infatti l’unico media capace di interpretare l’attuale complessità del mondo dell’informazione in cui tutto è interconnesso, ed è quello che meglio garantisce la pluralità dell’informazione stessa. Non è pertanto casuale che la nostra politica stia cercando di imbavagliarlo.

 

In ordine di tempo l’ultimo tentativo è di Gabriella Carlucci, responsabile cultura e spettacolo (!!!) del PdL, la quale ha recentemente presentato un fumoso progetto di legge in cui si mira a vietare di immettere in Rete anonimamente contenuti di qualsiasi tipo. Dimenticandosi [o forse no] che chi scrive sul Web è già quasi sempre identificabile. L’ex soubrette intende inoltre equiparare ogni blog alla Stampa, per ciò che concerne i reati di diffamazione, con le nefaste conseguenze che ognuno di noi può facilmente immaginare!


Finalmente a casa

Finalmente a casa

Mi piace personalizzare casa. In particolare mi piacciono i quadri alle pareti. Quadri che rappresentino le passioni mie ed anche quelle di Simona, ovviamente. Così la sala e la camera da letto ospitano stampe di dipinti di Van Gogh e Chagall. La cucina fotografie dei vicoli della nostra Genova, ed il corridoio disegni di Emanuele Luzzati. Ma è lo studio la stanza che più mi dà soddisfazione, perchè i muri dello studio – camera ricreativa per eccellenza – parlano di cinema! Ed ecco che Totò e Peppino de Filippo campeggiano sopra la scrivania dalla quale sto scrivendo queste righe, a fare da sponda alla mia voglia di ironia, umorismo e leggerezza. Il mio lato inquieto e tormentato è ben rappresentato da una dolcissima foto di Montgomery Clift insieme a Marilyn Monroe. James Stewart in Harvey invece incarna il mio bisogno di poesia, magia e fuga dalla realtà. Con Simona al mio fianco e con loro che occhieggiano intorno a noi mi sento protetto, finalmente a casa.

Lo sguardo di Stanley Kubrick

Lo sguardo di Stanley Kubrick


Dieci anni fa se ne andava Stanley Kubrick. Regista di culto, autore di visionari adattamenti letterari, è stato fra i cineasti più controversi, coraggiosi, creativi e sorprendenti. Un Artista che ha reinventato i generi e rivoluzionato le tecnologie e che ha saputo guardare alle cose del mondo in modo unico ed inconfondibile. Un Autore a tutto tondo in grado di controllare ogni aspetto del suo lavoro. Ci ha lasciato 13 film, alcuni dei quali considerati fra i massimi capolavori della storia del Cinema, contraddistinti, come lui stesso ebbe a dire, da «una riflessione riguardante l’uomo del Ventesimo secolo, gettato su una barca senza timoniere, in un mare sconosciuto.» Il suo è uno sguardo privo di speranza: le organizzazioni sociali, politiche e militari non sono altro che macchine che producono infelicità e distorsioni. Pare non esserci alcuna possibilità di redenzione per gli uomini, ma solo un affannarsi verso il raggiugimento di falsi obiettivi. Uno sguardo  sbarrato sul mondo, proprio come quello di Malcom McDowell in Arancia Meccanica. Oppure come quello che Charles Manson aveva quando fu arrestato dopo l’omicidio di Sharon Tate e che il regista suggerì come modello a Jack Nicholson per Shining.
 
Mi piace ricordare cosa disse di lui Steven Spielberg, suo amico ed estimatore: «La prima cosa che rende Kubrick speciale è il fatto che era un camaleonte: non ha mai fatto lo stesso film due volte, ogni singolo film è un genere diverso, un periodo diverso, una storia diversa, un rischio diverso. L’unica cosa che univa tutti i suoi film era l’incredibile maestria che aveva nella sua arte e nel montaggio, la recitazione e la posizione della cinepresa, ma ogni storia era diversa e ogni storia, in qualche modo, era così misteriosa nel modo in cui veniva narrata che ti manteneva curioso: “Come andrà a finire? Non riesco ad immaginare cosa succederà” e tutti i suoi film sono pieni di alti e bassi, di sorprese nella trama e sorprese nei personaggi che li devi vedere più di una volta perché desideri quella stessa sorpresa.»