Oscar 2011 – parte seconda

Oscar 2011 – parte seconda

Il Grinta di Joel e Ethan Coen: I fratelli Coen si accostano con rispetto all’epopea western senza stravolgere i topoi del genere. Il film è crepuscolare, condito dal loro tipico umorismo e permeato con toni da favola nera. In questo senso il rimando non è solo alla pellicola omonima del 1969 con John Wayne, ma anche a La morte corre sul fiume di Charles Laughton. La storia è quella di una cocciuta ed arguta quattordicenne che assolda uno sceriffo, ormai anziano e dedito all’alcol, per trovare l’assassino del padre. Jeff Bridges interpreta magnificamente Reuben Cogburn, detto da tutti il Grinta, stella sul petto e una vistosa benda sull’occhio, cinico e disilluso assassino per conto della legge, anarchico e burbero, archetipo degli ultimi eroi virili di un’epoca che sta per teminare. «Il tempo ci sfugge» è l’ultima disincantata battuta che i Coen consegnano alla ragazzina diventata donna, che – molti anni dopo, nello splendido finale – va alla ricerca di chi l’ha aiutata a vendicare la scomparsa del padre, per scoprire che è morto dopo una passerella nel circo di Buffalo Bill. Il west selvaggio, implacabile ed affascinante non esiste più, al suo posto restano solo degli invecchiati protagonisti di un spettacolo itinerante, parodia di ciò che furono una volta. Un lavoro impeccabile questo dei fratelli Coen, personale e classico allo stesso tempo, che in breve tempo è diventato il loro film più di successo. The Fighter di David O. Russel: Ispirato alla vera storia di due fratelli di Boston, il maggiore, ex grande promessa del pugilato caduto in disgrazia a causa della sua tossicodipendenza, aiuterà l’altro a combattere per il titolo mondiale dei pesi leggeri. Storia di disagio e riscatto sociale attraverso la boxe, non certo originale, ma sostenuta da un cast superlativo che rende il film molto più efficace quando ritrae le dinamiche familiari che si sviluppano intorno ai due protagonisti, rispetto ai momenti in cui l’azione si sposta sul ring. Una pellicola sicuramente robusta, dall’impianto classico che riesce a mantenersi interessante pur senza particolari guizzi. 127 Ore di Danny Boyle: La storia è quella vera di un alpinista rimasto intrappolato per cinque giorni in un canyon dello Utah. Nonostante l’estrema drammaticità, la vicenda non è certamente facile da raccontare, considerata la staticità di fondo e la carenza di sviluppi e snodi narrativi. Danny Boyle, già autore di Trainspotting e The Millionaire, prova a superare l’empasse con una regia fatta di montaggio serrato, colori accesi, musiche rock, ed artifizi visivi che alla lunga però risultano ridondanti ed invasivi, mentre il personaggio principale – per quanto ben interpetato da un volenteroso James Franco – rimane troppo poco caratterizzato per essere empatico e provocare un reale coinvolgimento da parte del pubblico. Resta la sensazione di un film pretenzioso e povero di autentiche emozioni.

Anche quest’anno la giuria non ha avuto il coraggio necessario e ha finito per premiare un film dignitoso ma innocuo come Il discorso del Re, che non possiede nè l’acuta analisi delle contraddizioni della società contemporanea di The Social Network, nè tantomeno la formidabile riflessione metacinematografica di Inception. Dispiace che a fronte di 10 nominations il film dei fratelli Coen non abbia conquistato alcun premio. Avrebbe certo meritato Jeff Bridges che nei panni del Grinta fornisce una prova semplicemente maestosa. Bravissimo anche Colin Firth, ma pure in questo caso appare troppo facile e scontata la scelta di premiare l’interpretazione di un personaggio affetto da una qualche disabilità [si pensi – solo per fare qualche esempio – all’ Al Pacino di Profumo di Donna, al Tom Hanks di Forrest Gump, al Dustin Hoffman di Rain Man, al Daniel Day Lewis de Il Mio Piede Sinistro, o al Jon Voight di Tornando a Casa]. Legittimo il premio a Christian Bale che in The Fighter dimostra nuovamente un grande talento ed una eccezionale capacità di modellare il proprio corpo in funzione del personaggio interpretato.

24 pensieri riguardo “Oscar 2011 – parte seconda

  1. io credo che Jeff Bridges sia un grande attore, e non ha fatto qui rimpiangere il mitico John Wayne..ma non so x' i fratelli Coen, che sfornano capolavori a ripetizione, sarà una mia impressione, ma non sono apprezzati fino in fondo per le loro opere…idea mia eh?
    quanto al DISCORSO DEL RE..si è un bel film, lui recita bene, bella anche l'interpretazione del logopedista, però non son convinto che meritasse l'Oscar…però è l'anno delle nozze reali inglesi…

  2. ….soprattutto non finisce mai l'anno della sconfinata – e talvolta eccessiva – ammirazione degli americani per il cinema inglese.
    Il discorso del Re è un film impeccabile ma come dicono da quelle parti, "non è la mia tazza di tea".
    Meglio il Grinta o The fighter ( ma adesso che l'hai raccontati tu, io che scrivo?)

  3. @luigi
    Sono d'accordissimo su Jeff Bridges!
    Forse… chissà… visto che i fratelli Coen hanno vinto recentemente con Non è un Paese per Vecchi, quest'anno la giuria ha preferito rivolgersi altrove. Peccato… perchè secondo me Il Grinta è uno dei loro lavori migliori. Condivido anche la tua opinione circa Il Discorso del Re

    @sedlex
    Beh… le tue recensioni sono sempre così lucide, oltre che molto ben scritte, che è comunque un piacere leggerle, indipendentemente da chi sia arrivato prima di te a scrivere di un dato film. Perdipiù io sono stato piuttosto sintetico, quindi c'è ancora un bel pò di carne da mettere al fuoco… :))

  4. Dei tre da te menzionati, forse vedrei The fighter. Ieri ho visto Ladri di cadaveri, è carino e originale, però sembra avere il freno a mano tirato. Me l'aspettavo più travolgente. In questi giorni credo che ne parlerò sul blog.
    Ciao, alla prossima

  5. ecco bravo..se posso dire la mia, io avrei dato l'Oscar a IL GRINTA piuttosto che NON E' UN PAESE PER VECCHI…che non era male,ma questo, per me, è migliore…Bridges poi è eccezzionale..
    mi spieghi x' se parliamo di cinema, andiamo sempre d'amore e d'accordo???

  6. @LucaScialo
    Ladri di Cadaveri è sicuramente da vedere, se non altro perchè segna il ritorno dietro la macchina da presa di un grande regista come John Landis, dopo tanti anni di stop…

    @Luigi
    Ti dirò che anche io la penso così sui due film dei Coen. Il Grinta mi pare un'operazione perfetta di grande misura ed equilibrio, in cui i due fratelli sono riusciti a fare proprio il genere western, pur rispettandone la classicità.

    Per andar d'accordo anche sul versante politico, delle due l'una: o io divento leghista o tu comunista!!! :)))

  7. Su Jeff Bridges penso che pesi la vittoria dell'anno scorso (film che peraltro devo ancora vedere) : è davvero bravo in questa parte del vecchio pistolero.

    The fighter mi ispira assai, spero di vederlo così come Boyle.

    Sulla riflessione generale su questi Oscar, sono d'accordo. Il film di Hooper è sopravvalutato, il premio alla regia è assolutamente inspiegabile…

  8. @ipitagorici
    Fra i due film ti consiglierei decisamente The Fighter.

    Quanto al premio a Hooper, ha senz'altro ragione sedlex quando afferma che gli americani pagano una sorta di senso di inferiorità rispetto alla scuola inglese, anche quando a casa loro hanno degli artisti che dimostrano un talento ben maggiore. In aggiunta a questo, c'è da dire che la giuria degli Oscar si è sempre mossa all'interno di un solco piuttosto conservatore. A tal proposito poi non si capisce bene il motivo di aver portato il numero delle nominations da 5 a 10. Se non si sfrutta una rosa più ampia di candidati e si finisce invece col premiare sempre secondo una logica piuttosto scontata, che senso ha?

  9. Ma i Coen avevano detto che il film non era un 'remake' ma prendeva le linee guida del romanzo di Charles Portis. Tra i film citati è quello che ho preferito anzi di più.
    Ho una passione smodata poi per Jeff Bridges e l'accoppiata con Matt Damon mi è stata fatale .
    Sono d'accordo con te che Il iscorso del re è un pacchetto ben confezionato ma che non lascerà traccia.

    sherabuon8marzo

  10. @sherazade
    E' vero, lo hanno detto. Però resta il fatto che entrambi i film sono tratti (il primo con John Wayne più liberamente, quello dei Coen in modo più fedele) dal medesimo romanzo, per cui è logico che vi siano diversi punti di contatto, come si nota anche da questo video.

  11. @sherazade
    Infatti. Il film del 1969, nonostante abbia garantito l'unico Oscar della sua carriera a John Wayne, si presentava con un'impianto narrativo antico e superato persino per quell'epoca. Negli stessi anni infatti registi come Sergio Leone, Sam Peckinpah, Arthur Penn e Robert Altman stavano riscrivendo il genere.

    Questo dei fratelli Coen invece ha dalla sua una riflessione molto realistica e assolutamente moderna sulla provvisorietà dell'essere umano e sulla fugacità del tempo.

    Wow… ma che torta bellissima!!! GNAM GNAM :))

  12. Il libro è del 1968  (il Vietnam) ma Hathaway non ne propone la stessa lettura anche se realizza un film egualmente atipico.

    Tutti però da Ombre rosse a Peckimpah ai Coen concordano sulla madre di tutti i  temi  carneficina & speranza ( la sorella è : nascita di una nazione e la cugina di primo grado : la perdita dell'innocenza)

    Il cinema americano è quello che è, perchè sa raccontare quel paese meglio di quanto in qualunque paese si sappia fare. Vai al cinema e sai che l'Impero sta per crollare, ci torni e trovi Obama in pole position per la presidenza.
    Per questo sono inutili le occhiate languide e desideranti al cinema europeo.Che è un' altra storia.

  13. @sedlex
    Quanto mi piace quest'albero genealogico dei temi cinematografici. Sono d'accordo, anche se ci metterei un piccolo "però". Forse questo senso di inferiorità rispetto al cinema europeo si irrobustisce in questi ultimi 30 anni, ossia proprio quando il cinema americano perde un pò di quello sguardo lucido e disincantato sulla propria società, per appiattirsi su logiche più di intrattenimento puro.

  14. Il cinema è l'operazione più ambigua che ci sia (in quale altro settore ad un' industria tra le più  intransigenti capita di  coniugarsi con l'arte?).
    Non credo ci sia nulla di premeditato da parte degli americani nell'ottemperare all'albero genealogico ( se ti piace te ne autorizzo l'espianto per l'uso che credi).
    Loro sono così, impensabile per noi quell'attaccamento al proprio paese (anche da parte dei più insospettabili) alla propria storia, al proprio stile di vita ( per difendere il quale sono disposti ad uccidere, e lo fanno inventando via via le motivazioni più assurde).
    Ciò detto, il puro intrattenimento si fa per poter continuare a fare arte, reinvestendo i proventi del box office in progetti di qualità. Quale artista arrivato non ha la sua casa di produzione ? ( compresi i Coen)
    Quando anche da noi vigeva la regola aurea del faccio venti commediole e  poi mi gioco la camicia per produrre Visconti o Fellini, si facevano 200 film l'anno. Di cui qualche capolavoro.
    Ma quel rapporto col mercato noi ce lo sognamo.La nostra industria dello spettacolo – se così si può chiamare – conosce un solo imperativo : l'avidità. E con l'avidità non vanno lontano manco i capitalisti. Wall street insegna.

  15. @Emmegì
    Grazie a te per il passaggio. A presto!

    @sedlex
    Verissimo quello che dici. Io comunque mi limitavo a constatare un decadimento del cinema americano a partire dagli Anni 80 e proseguito nei 90 ed in parte rientrato nello scorso decennio. Un decadimento che molti fanno combaciare con le grandi produzioni della seconda metà degli Anni 70 che hanno portato una montagna di soldi, ma hanno contribuito a spostare la bilancia del prodotto cinematografico più sul versante industriale che su quello artistico.

    @giovanotta
    Grazie :)

  16. Il mio coetaneo, Jeff Bridges, è bravo, però…rifare il ruolo che fù del grande John Wayne, è cosa difficile. Saluti da Sar.

  17. @SaR
    Verissimo. Peraltro per quel ruolo John Wayne prese un Oscar secondo me troppo tardivo (ossia lo avrebbe meritato ben prima del 1969). Bridges comunque è particolarmente bravo anche per questo motivo, perchè ha dovuto confrontarsi con un modello straordinario.

  18. Si concorda pedissequamente su tutto tutto, tranne su 127 ore. Ad esempio io ho gradito il fatto che non abbia insistito nell'approfondimento del protagonista, perché così ha evitato le ruffianerie che ad esempio contrassegnavano negativamente The millionaire.

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