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Mese: Ottobre 2014

Matteo, non stare sereno

Matteo, non stare sereno

Il 9 dicembre 2013, dopo le primarie del PD, scrivevo in un mio post: “Renzi ha vinto nettamente. A lui il difficilissimo compito di rinnovare il partito, nel rispetto però delle diverse identità e culture che lo attraversano. Si collabori, vincitori e vinti, ci si confronti senza imporre le proprie posizioni in modo pregiudizievole.” Lo scorso 21 gennaio, all’indomani del Patto del Nazareno, ribadivo in un altro post: “Il PD ha diverse sensibilità che vanno armonizzate nel rispetto delle opinioni altrui. In questo ambito deve muoversi il segretario che non può ricercare la profonda sintonia con berlusconi, senza prima impegnarsi per costruirla al proprio interno.” E’ passato quasi un anno da allora e oggi appare evidente come l’obiettivo di costruire un grande partito che basi la sua forza sul pluralismo e sul rispetto delle posizioni divergenti è miseramente fallito… ammesso e non concesso che tale obiettivo sia mai esistito! Il nuovo segretario infatti ha fin da subito portato avanti una politica particolarmente aggressiva nei riguardi di chi, all’interno del PD, assumeva posizioni critiche e dissonanti, dimostrando chiaramente l’intenzione di modellare il partito secondo i suoi desiderata, portando all’incasso il grande consenso personale.
 
Non stupisce allora che l’ex sindaco di Firenze nel suo intervento di domenica abbia riservato le note polemiche più sferzanti e denigratorie non già a berlusconi o Grillo, ma alla minoranza del suo partito che ha sfilato a Roma insieme alla CGIL. Dal palco della Leopolda, in compagnia di imprenditori e finanzieri à la page, il Presidente del Consiglio ha preferito usare toni sarcastici e canzonatori nei confronti dei tantissimi giovani, operai, pensionati e disoccupati che hanno manifestato contro il Jobs Act, ricordando a molti alcune analoghe dichiarazioni di berlusconi. C’è chi ritiene –  e forse non a torto – che la reale volontà del segretario sia fare piazza pulita del dissenso interno, percepito come il vero nemico da abbattere [vista peraltro la crisi che attraversa sia la destra che il M5S], al fine di ottenere un partito compatto intorno al  pensiero unico del leader. Un dato è indiscutibile. Anche ammesso che non sia sollecitata, la scissione non è affatto temuta da Renzi, il quale è convinto che ciò gli possa assicurare un più largo consenso presso l’elettorato di centrodestra – vera direzione verso cui la politica del Governo [e del PdR] sta andando –  rispetto a quello che che perderebbe con una rottura a sinistra. «Io non ho paura che nasca a sinistra qualcosa di diverso», ha affermato domenica. Considerata l’enorme partecipazione alla manifestazione romana, fossi in lui non starei poi cosi tanto sereno.
Il PdR

Il PdR

Sinceramente non mi sarei mai aspettato che autorevoli esponenti del PD arrivassero ad accusare la dirigenza di applicare il “Metodo Boffo” nei confronti di chi dissente dalla linea del Segretario. Se persone serie e per bene come Bersani, sempre abituate a misurare le parole, operano una denuncia del genere – peraltro tutt’altro che isolata presso la minoranza del partito – significa che il momento è delicatissimo. Il premier ha condotto il PD ad un successo straordinario, annichilendo gli avversari politici [un sondaggio dei giorni scorsi, dà il PD ad oltre il 40%, FI al 13,3%, NCD al 2% e la Lega all’8%], ma per farlo ha snaturato il partito, trasformandolo in una formazione neocentrista molto più sensibile ed attenta alla propria destra – al fine di soffiare gli ultimi elettori rimasti a berlusconi – piuttosto che alle istanze della sinistra. Un partito leaderista in cui il pluralismo non viene più percepito come una risorsa, ma come un fastidio da eliminare con qualsiasi mezzo. La dirigenza è composta da tanti pretoriani monocolore [ed incolore] che da una parte calano fendenti a chiunque osi esprimere un benchè minimo dissenso [specie se si tratta di colleghi di partito], e dall’altra glorificano ed incensano l’azione del Governo, reiterando fino allo sfinimento fisico [ma quanto è diventata triste la Serracchiani?] uno a caso dei tanti slogan di facile presa del proprio condottiero. Vent’anni di berlusconismo ci hanno abituato a partiti che legano la propria identità a quella del leader e che vivono della sua capacità di conquistare i mezzi di comunicazione. Prova ne è che a fronte dei tantissimi elettori, il PD perde ben 400.000 iscritti in un anno! La struttura viene meno: il PD lascia il passo al PdR. Ciò che importa è che ci sia il trascinatore, l’uomo solo al comando.
 
E se il modello di partito che ha in mente l’ex sindaco di Firenze è quello già sperimentato da Forza Italia in questi ultimi 20 anni, anche i temi politici si fanno sempre più pericolosamente vicini a quelli della destra. Il Presidente del Consiglio si fa infatti promotore di una battaglia politica sull’articolo 18 che qualche anno prima fu di berlusconi e per contrastare la quale il PD aveva portato in piazza milioni di persone, e questo dà la misura di quanto le cose siano cambiate [in peggio, naturalmente]. Detto per inciso: davvero la drammatica situazione in cui versa il mercato del lavoro in Italia [disoccupazione giovanile al 44,2%] non meriterebbe misure ed iniziative più necessarie ed urgenti di questa? Davvero si pensa di risolvere annosi problemi, riducendo dei diritti piuttosto che estendendo quelli esistenti? Sul serio si ritiene che l’abolizione dell’articolo 18 porterà nuovi posti di lavoro? Le uniche piccolissime soddisfazioni che vedo in una situazione assolutamente desolante, è che anche l’informazione mainstream che fino ad ora aveva vissuto una luna di miele col premier, inizia a denunciarne contraddizioni, limiti e problemi. Meglio tardi che mai.