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Mese: Giugno 2014

Il capezzonismo

Il capezzonismo

Così Alessandro Gilioli suo sul blog: «Lo sapevamo, cosa stava succedendo in Sinistra Ecologia e Libertà. Lo sapevamo cioè che c’era una parte di quei compagni che si sentiva attratta dal potente e dinamico contenitore onnicomprensivo di Renzi. Niente di strano, niente di male: capisco benissimo la sensazione di frustrazione costituita dalla marginalità. Capisco benissimo anche che la testimonianza in sé non è un valore, se non incide nella società. (…) Rispettabile ma sbagliato: per il semplice fatto che là dove stanno andando non incideranno sul Paese un milligrammo di più di quanto abbiano fatto finora. Anzi, saranno più marginali di prima. E lo saranno trasformandosi pure in complici di ciò che avversano. O almeno hanno avversato fino a ieri: la precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, i regali alle banche, l’allontanamento (ulteriore) della rappresentanza dai rappresentati, le liste bloccate, il governo con Alfano e Giovanardi. Non mi sembra un grandissimo risultato.(…) E se l’obiettivo è incidere, la stessa Sel residua non basta più. Anzi, come tale, da sola e con il suo attuale leader, non ha proprio più prospettive. Per via di tanti motivi. Non ultimo, la parabola da tre anni in fase discendente del suo fondatore, appunto. (…) Ma non è nemmeno tanto Vendola, la questione. La questione è l’area a sinistra del Pd. L’area che io – scusate – definisco semplicemente di sinistra, senza più quell’aggettivo – “radicale” – che ne fa una nicchia. Ci sono altre sinistre in giro, certo: in una parte del Pd e pure nel Movimento 5 stelle. Ma non c’è un partito in cui la sinistra sia prevalente. Non c’è una una forza politica di sinistra, oggi, in Italia. Credo che l’obiettivo oggi possa essere solo fare piazza pulita delle identità vecchie e nuove – Sel, Rifondazione, perfino la lista Tsipras – e costruire una cosa che si chiama la Sinistra e basta. Una cosa che abbia come primo obiettivo delineare un disegno politico, economico, sociale e di cittadinanza chiaro per questo Paese. Senza farsi pippe di alleanze, ora. Costruendo invece consenso e radicamento sociale sul proprio progetto alternativo di Paese. E su battaglie concrete in quella direzione».
 
Sinceramente comprendo poco i parlamentari di SEL che oggi decidono di avvicinarsi a Renzi. Una decisione posta in essere proprio nel momento in cui il PD si configura come partito neocentrista e leaderista. Un partito sempre meno propenso a coltivare la propria anima pluralista e in particolare a tollerare le varie componenti di sinistra (si pensi ad esempio alla marginalizzazione di Civati, Cuperlo e Mineo). Cosa è allora questa scelta se non un becero esercizio di salire sul carro del vincitore? Cosa differenzia Migliore, Fava e gli altri dal “capezzonismo” di cui sono affetti troppi politici italiani?
L’arroganza di Renzi

L’arroganza di Renzi

Il PdR (Il Partito di Renzi, che di democratico ormai non ha più moltissimo) ha deciso di espellere Corradino Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali, perchè contrario alla proposta di modifica del Senato avanzata dal Governo. ll dissidente stava infatti diventando un’ostacolo sempre più scomodo per chi è disposto a sacrificare anche la Costituzione in nome di ambizioni e vanità personali. «Il problema non sono io – ha affermato Mineo – se ci fosse un mio clone che rispondesse al capo bastone di turno, il problema sarebbe lo stesso: come si può pensare di cambiare la Costituzione con 15 contro 14?». Impossibile per qualsiasi persona dotata di intelligenza e senso civico non essere d’accordo con questa affermazione.
 
Un tema così importante e delicato come quello delle riforme istituzionali non può essere portato avanti a colpi di maggioranza. In questi casi ci si deve obbligatoriamente spendere per la condivisione più ampia possibile, altrimenti si è comunque miseramente fallito, aldilà delle dichiarazioni e degli slogan all’insegna della faciloneria e del populismo. Ancora una volta Renzi dimostra l’arroganza di chi non vuole (o non sa) scendere a patti col dissenso interno e di chi non sa (o non vuole) considerare il pluralismo come un bene da salvaguardare, conducendo i democratici su territori sempre più contigui a quelli dove sono soliti muoversi partiti padronali come FI e M5S. Non a caso uno dei commenti favorevoli alla decisione del PdR è di Luigi Di Maio, che in qualità di deputato pentastellato è ben abituato alle epurazioni di coloro che non concordano col pensiero unico del proprio leader. L’ottusa protervia del premier non si è fermata neppure dinanzi all’autosospensione di ben 14 senatori del suo partito, in solidarietà al collega rimosso. La legittimazione popolare (ricordata ieri da Renzi) non può rappresentare un lasciapassare per derive autoritarie, e a chi fra i fedelissimi del Presidente del Consiglio si fa scudo con la “disciplina di partito” risponde sacrosantemente la senatrice Lucrezia Ricchiuti: «la disciplina di partito è necessaria ma essa è un traguardo da raggiungere con il dibattito democratico interno al partito e al gruppo, con il confronto e l’apporto genuino dei parlamentari da tutti i territori. Intesa militarmente, la disciplina di gruppo è la morte del Parlamento libero».