Sfogliato da
Mese: Luglio 2013

Il linguaggio è politica

Il linguaggio è politica

In politica il linguaggio è politica esso stesso. E’ difficile pensare che il vocabolario di Beppe Grillo, sempre così truce e violento, possa davvero veicolare un nuovo modello di democrazia più partecipativa ed efficace. E’ difficile pensare che dietro i grevi epiteti con cui l’ex comico genovese descrive istituzioni e uomini politici, dietro le sue parole cariche di disprezzo in cui non riconosce mai dignità all’avversario politico, possa nascondersi un’idea di rispetto e tolleranza verso chi è diverso da sè. Non a caso in una recentissima intervista Gianroberto Casaleggio ha sostenuto che il M5S governerà quando avrà raggiunto il 51% dei consensi. Quando cioè non sarà costretto a confrontarsi con nessun’altra forza politica. Quando la cultura autoritaria ed antidemocratica dei 5 stelle non dovrà scendere a patti con quanti la pensano differentemente.
 
Pochi giorni fa la Presidente della Camera è intervenuta sul linguaggio di Grillo che dal suo blog aveva lanciato l’ennesimo attacco alle istituzioni: «Con il suo linguaggio aggressivo e distruttivo – ha detto Laura BoldriniGrillo continua a rovesciare insulti sulle istituzioni. Dice di volerle migliori, più efficienti, ma i suoi costanti attacchi verbali contribuiscono non poco a screditarle e a far scadere il confronto collettivo: anche perché le sue offese possono autorizzare ogni cittadino a ritenere che questo sia il modo più efficace di intervenire nella discussione pubblica. Grillo dimentica tra l’altro che il Parlamento nasce comunque, nonostante i limiti dell’attuale legge elettorale, dal voto di milioni e milioni di italiani, lo stesso che ha portato alle Camere anche 163 deputati e senatori del Movimento 5 Stelle. Grillo dovrebbe dimostrare più rispetto per i cittadini e per coloro che li rappresentano».
Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità

Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità

Sono almeno tre le notizie che più di altre hanno guadagnato le prime pagine dei giornali in questi ultimi giorni. Prima di tutto la vicenda della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov espulse brutalmente dall’Italia e riconsegnate al sanguinario dittatore kazako, amico di berlusconi, senza che per adesso siano stati individuati tutti i livelli di responsabilità tecnica e politica, in primis quella del Ministro dell’Interno Alfano. Secondariamente il pesante insulto che Roberto Calderoli ha lanciato nei riguardi di Cecile Kyenge, paragonata ad un orango durante un comizio! Insulto che – se mai ce ne fosse bisogno – dimostra ancora una volta tutto il carico di rozzezza e razzismo degli esponenti del Carroccio. Quella per il ministro dell’integrazione è una vera ossessione della Lega che evidentemente non riesce a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. Infatti il vicepresidente del Senato arriva da buon ultimo dopo una bella lista di frasi inaccettabili che vanno dai rimandi al Congo, all’evocazione del bonga-bonga e all’incitamento allo stupro.

Infine il disegno di legge presentato dal PD che mira a superare la legge del 1957 che stabilisce che i titolari di una concessione pubblica e i rappresentanti legali di una società che fa affari con lo Stato non possono essere eletti. Il testo, sottoscritto da Luigi Zanda, capogruppo dei democratici al Senato, insieme ad altri 24 firmatari, sostituisce il principio di ineleggibilità con quello più blando di incompatibilità, consentendo a berlusconi di mantenere la carica di senatore [eventuali condanne a parte], a patto di rinunciare entro un anno al controllo sulle sue aziende. Un ddl che definire inopportuno è un eufemismo e che è stato accolto in modo controverso all’interno dello stesso PD. «Se l’intenzione è quella di tentare una forma compromissoria per mantenere inalterati gli equilibri politici nazionali, allora io metto in guardia: non verrebbe compreso dalla maggior parte dei nostri elettori, per non dire da tutti», afferma Laura Puppato. Ironico poi Pippo Civati: «Non si sono resi conto che questa è la prima dichiarazione del PD in cui si dice chiaro e tondo che Berlusconi è ineleggibile».

La rumba

La rumba

E’ stata fissata per il prossimo 30 luglio la data dell’udienza in Cassazione per la discussione del ricorso presentato dalla difesa berlusconi contro la condanna in secondo grado per il caso Mediaset. Il Cavaliere è stato condannato a 4 anni di reclusione (di cui tre indultati) e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale. Così su Repubblica.it in merito alla vicenda: «L’altro giorno il ministro Dario Franceschini ha detto che il collante dell’antiberlusconismo è finito, e che il Pd avrebbe dovuto ritrovare le ragioni del suo stare insieme, quand’ecco che il fantasma di Berlusconi riappare, a porre a ciascuno dei senatori democratici la fatale domanda: tu con chi stai? Dopo il 30 luglio, in caso di condanna e d’interdizione dei pubblici uffici, il Senato dovrà decidere a voto segreto se confermare o negare la decadenza da parlamentare di Berlusconi. Se lo salvano, salta il Pd; se fanno la cosa più ovvia, fatta sin qui in sessantacinque di storia repubblicana – ovvero ottemperare a una sentenza definitiva letta dai giudici in nome del popolo italiano – allora si sfasciano le larghe intese. E’ subito partita la solita rumba dei falchi e dei falchetti di Silvio, che minacciano perfino l’Aventino pur di concedere un salvacondotto al Capo, e le cui gridano echeggiano nel Paese  sfinito dalla crisi, dove ogni italiano si chiede con angoscia fino a quando ancora avrà il suo posto di lavoro, e chi non ce l’ha più non sa dove sbattere la testa. Il Pd, aggrumatosi nella strana maggioranza, pacificato, si era illuso di poter archiviare l’anti-berlusconismo; invece alla fine riemerge sempre con tutto il suo carico di anomalie, come succede ormai da vent’anni: a interrogarlo, a interrogarci tutti».

Un assaggio di quanto potrebbe succedere si è già avuto nel pomeriggio di oggi, quando il PdL ha minacciato la crisi e ha imposto al suo alleato di governo il blocco dei lavori parlamentari per un giorno, per protesta contro il partito dei giudici che vuole “giustiziare” il Cavaliere. La resa di fronte al diktat berlusconiano, che ha spinto il PD ad «avallare atteggiamenti di eversione istituzionale» [come affermato da Rosy Bindi] dà la misura esatta dell’inettitudine dei democratici.

Caccia ai caccia

Caccia ai caccia

«Ovviamente sono d’accordo con i colleghi che la rifiutano in toto, perché si tratta di un fatto di estrema gravità, rispetto al quale il Presidente della Repubblica e, soprattutto, la Presidente della Camera dovrebbero riaffermare la sovranità del Parlamento. Immediatamente». Così Pippo Civati a proposito della decisione presa al termine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa, tenutasi al Quirinale e presieduta dal capo dello Stato, secondo la quale il Parlamento non può porre veti al Governo sull’adozione di provvedimenti riguardanti l’ammodernamento delle forze armate.

La disposizione si riferisce alla mozione parlamentare, approvata lo scorso 26 giugno, che impegna il Governo a non procedere a “nuove acquisizioni” nell’ambito del programma di acquisto degli F35 senza che il Parlamento si sia espresso dopo un’indagine conoscitiva di sei mesi. Si riaccende la polemica sull’acquisto dei caccia americani, che comporterebbe una spesa di circa 15 miliardi di euro. Un esborso difficilmente giustificabile in un periodo di grave crisi economica come il nostro, per far fronte al quale – peraltro – viene chiesto ai cittadini ogni genere di sacrificio. Per questo motivo SeL, insieme al M5S ed una pattuglia di deputati del PD, aveva presentato una mozione di sospensione dell’acquisto dei caccia che è stata bocciata. Il primo firmatario della mozione, il deputato di SeL Giulio Marcon, aveva dichiarato: «Il programma F35 non serve alle persone che sono senza lavoro, ai lavoratori precari, alle famiglie impoverite, ai giovani. E non serve nemmeno ad una politica estera di pace, come vuole l’articolo 11 della nostra Costituzione. Spendere tanti miliardi di euro per dei cacciabombardieri, mentre invece non abbiamo i i soldi per bloccare l’aumento dell’IVA e sufficienti risorse per il lavoro, è uno schiaffo all’Italia, alle sue sofferenze». Il PD, dopo che con Bersani aveva sostenuto in campagna elettorale di voler tagliare le spese per gli F35, oggi si ritrova spaccato fra chi vorrebbe dar seguito alle promesse fatte ed un fronte governista, dove ad esempio Francesco Boccia afferma: «La storia degli F35 è assurda e per me delinea l’identità del Pd. Io sono favorevole. Creano posti di lavoro e danno valore all’eccellenza tecnologica».