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Mese: Maggio 2013

Polvere di stelle

Polvere di stelle

«Questi qui sono fuori dalla realtà, si devono arrendere, sono circondati e devono andare tutti a casa. Sono banditi che continuano ad usurpare il potere, golpisti e ladri senza più seguito, per loro è finita, non esistono più, lo tsunami sta arrivando, e i morti viventi Pd e Pdmenoelle li spazzeremo via, tutti senza distinzione. Dall’alto del 14% di voti conquistati nella capitale, Beppe Grillo comincia a sperimentare sulla sua pelle la differenza tra fare una rivoluzione e fare politica. La rivoluzione non ammette piani B. E’ tutto o niente. Nessuna alleanza, nessun dialogo, nessun compromesso. A noi il 100% e non ci fermeremo finché non ci arriveremo. E il resto del mondo è uno schifo, uno zombie e una zozzeria. La politica prevede invece per definizione compromesso, raggiungimento di obiettivi concreti, sensibilità ai mutamenti della realtà, elasticità nell’adattare i principi al realismo.» Così il giornalista Marco Bracconi sul suo blog a commento del flop grillino di questa tornata elettorale.

E’ vero che le elezioni amministrative non sono sempre direttamente legate a quelle politiche, ma il crollo del M5S è di tale dimensione e diffusione che non può non avere una forte rilevanza politica. Da nord a sud i Cinque Stelle perdono rispetto a solo tre mesi fa una quota di consensi che va da 10 a 26 punti percentuale, restano fuori da tutti i ballottaggi e scontano più di altri un preoccupante astensionismo. Grillo paga le scelte fatte a livello nazionale dove ha deciso di non assumersi alcuna responsabilità di governo e di congelare quella domanda di cambiamento espressa da 9 milioni di persone. Molti di quelli che a febbraio avevano votato per il profeta del vaffanculo non hanno compreso la sua miopa contrapposizione al sistema, che di fatto ha portato nuovamente berlusconi al Governo insieme al PD. Non hanno creduto all’illusione della democrazia diretta online, posta in essere da un movimento verticistico di natura sfascista. Non hanno condiviso la sua posizione di alterità rispetto a tutto e tutti, che non può e non potrà mai condurre ad una reale alternativa.
Fra la Gabanelli e la Finocchiaro

Fra la Gabanelli e la Finocchiaro

Curioso come la candidata alla Presidenza della Repubblica più votata dagli elettori del M5S sia improvvisamente diventata una venduta ed una traditrice. E’ bastato porre alcune semplici domande, come quella diretta a sapere dove vadano gli introiti pubblicitari del blog di Grillo, perchè Milena Gabanelli non fosse più quel simbolo di giornalismo incorruttibile e senza macchia che era stato fino al giorno prima. Evidentemente i grillini non prevedono la possibilità che si metta in dubbio la purezza del Movimento. Ogni critica, anche quella sarcastica di Renzi, che ha accusato i parlamentari del M5S «di parlare solo di scontrini», scopre intolleranze ed integralismi oltre ogni lecita misura.
 
E’ forse per questo motivo che in soccorso del Movimento è arrivato il PD, nella persona di Anna Finocchiaro. La senatrice, insieme a Zanda e ad alcuni colleghi di partito, ha infatti presentato un disegno di legge che nei fatti sbarra la strada del voto a soggetti senza personalità giuridica e senza statuto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. L’obiettivo del provvedimento è in realtà quello di garantire la massima trasparenza delle associazioni politiche che dovranno indicare obbligatoriamente gli organi dirigenti, un collegio sindacale composto da revisori dei conti e l’attribuzione ad una società esterna iscritta all’albo speciale che certifichi i bilanci. Tuttavia è possibile che la Finocchiaro – che su questa iniziativa è riuscita a farsi prendere a schiaffi anche da berlusconi –  non abbia considerato l’opportunità di un simile decreto, che impedirebbe al M5S di presentarsi alle prossime elezioni? E’ possibile che non abbia immaginato che sarebbe stato interpretato dai media come un espediente per rendere la vita difficile a Grillo? E’ possibile che non abbia compreso che così facendo avrebbe messo il profeta del vaffanculo nelle condizioni di compattare il proprio elettorato e far il martire [cosa in cui eccelle] contro i partiti tradizionali che vogliono farlo fuori per vie traverse? E’ possibile in definitiva che non abbia capito che, come ha detto Renzi, questo provvedimento è un modo per far vincere le elezioni ai 5 stelle?
All’angolo?

All’angolo?

Ieri è arrivata la conferma in appello per la condanna a 4 anni di carcere e 5 di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale ai danni di silvio berlusconi. Dopo la litania dei vari schifanibrunettasantanchècapezzone che parlano ancora una volta di disgustosa persecuzione giudiziaria, è prevista per i prossimi giorni la solita manifestazione contro la magistratura politicizzata. Fin qui tutto tristemente già visto. L’unica novità è rappresentata dall’angolo in cui il PD, alleato di Governo del Caimano, potrebbe finire per mano del Movimento 5 Stelle e della propria dabbenaggine.

Nel silenzio dei democratici [D’Alema ha clericamente dichiarato che non si commentano le sentenze giudiziarie], l’unica reazione di sinistra alla sentenza del Tribunale di Milano – per quanto ovvia – è arrivata infatti proprio da Grillo, che ha affermato: «Berlusconi altrove sarebbe in carcere, da noi è uno statista». Sull’onda della condanna di ieri, il profeta del vaffanculo è deciso a chiedere l’ineleggibilità per il Cavaliere. La richiesta sarà basata sull’applicazione della legge del 1957 per cui i titolari di una concessione pubblica e i rappresentanti legali di una società che fa affari con lo Stato non possono essere eletti. Grillo lancia un guanto di sfida: «Vedremo chi voterà l’ineleggibilità. Mi mangio un cappello se sarà votata dal pdmenoelle». Cosa farà il PD, dopo aver lasciato che Nitto Palma arrivasse alla presidenza della Commissione Giustizia? Verrà definitivamente scavalcato a sinistra dai Cinque Stelle o farà, una volta tanto, qualcosa in linea con i desideri del proprio elettorato?

Il Divo Giulio

Il Divo Giulio

In una delle sequenze più significative de Il Divo, il film che 5 anni fa Paolo Sorrentino dedicò ad Andreotti, Scalfari intervista il leader democristiano, domandandogli se “è un caso” che il suo nome sia finito in tutte le vicende più oscure, nelle trame più intricate e nei delitti più orrendi della storia repubblicana. Andreotti lo guarda impassibile e poi gli risponde, gelido: «E’ un caso che io abbia salvato il suo giornale da Berlusconi, consentendole la libertà di venire qui e pormi domande sfrontate e capziose? E’ grazie a me se lei oggi può permettersi di essere così arrogante, presuntuoso e sospettoso nei miei confronti». «Guardi che le cose non stanno esattamente così. La situazione era un pò più complessa», replica uno Scalfari imbarazzato. E Andreotti di rimando: «Ecco, lei è abbastanza perspicace e l’ha capito da solo. La situazione era un pò più complessa. Ma questo non vale solo per la sua storia… vale anche per la mia».

Ed è proprio la complessità la considerazione fondamentale che deve riferirsi alla figura di Giulio Andreotti, 7 volte Presidente del Consiglio e 22 volte ministro, morto oggi all’età di 94 anni. E’ una complicata parabola personale quella del “Divo Giulio”, straordinaria metafora del potere che ha dominato l’Italia per 50 anni, lasciandoci tanti enigmi irrisolti. Un potere come strumento di Governo in cui si mescolarono politica, mafia, Vaticano, apparati dello Stato, logge massoniche deviate, alta finanza, in un intreccio inestricabile del quale Andreotti fu spesso al centro.