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Mese: Dicembre 2010

L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va

L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va

L’anno che sta per finire è stato purtroppo contraddistinto da terribili disastri naturali ed ambientali: dall’immane terremoto di Haiti con oltre 200.000 morti, allo sversamento di petrolio nelle acque del Golfo del Messico ad opera della multinazionale petrolifera inglese BP, per finire alle drammatiche inondazioni che hanno devastato il Pakistan. L’eruzione di un vulcano islandese ha portato alla chiusura degli spazi aerei di buona parte dell’Europa, costringendo milioni di persone a restare a terra per diverse settimane. A causa del crollo del tetto di una miniera, 33 minatori cilenisono rimasti intrappolati ad una profondità di 700 metri per ben 70 giorni. La notizia ha avuto un’immediata diffusione globale, creando intorno alla vicenda una sorta di gigantesco reality-show.

Politicamente il 2010 è stato un anno di grandi fermenti. La crisi economica ha attanagliato l’Europa, colpendo in particolare la Grecia che ha cercato di reagire con un severissimo piano di austerity, che però ha alimentato forti tensioni sociali, sfociate in scioperi generali e in una vera e propria rivolta popolare. Obama ha annunciato l’inizio del ritiro delle truppe internazionali dall’Iraq, ma nonostante questo le elezioni di midterm lo hanno visto sconfitto a beneficio dei Repubblicani, i quali – sospinti dal Tea Party, un movimento populista e ultraconservatore – hanno conquistato la maggioranza alla Camera. Le rivelazioni del sito Wikileaks che diffonde documenti internazionali coperti da segreto, ha messo a rischio la credibilità dei rapporti diplomatici tra i vari Stati. In particolare alcune informazioni riservate sulla guerra in Afghanistan, come l’uccisione di civili, l’occultamento di cadaveri, l’esistenza di un’unità militare il cui compito sarebbe uccidere i talebani anche senza processo, hanno messo in grave difficoltà l’amministrazione americana.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Ci vuole una sbalorditiva vocazione per riuscire sempre a muoversi contro la logica ed il buon senso e per fare esattamente il contrario di ciò che la propria base chiede e si aspetta. L’elettorato del Partito Democratico vuole le primarie ed un’alleanza a sinistra? Bene. Allora la dirigenza propone di rinunciare alle primarie in nome di un’alleanza con il nascente Polo della Nazione di Fini e Casini, i quali – peraltro – già in più di un’occasione si sono dichiarati indisponibili ad una coalizione del genere. Beppe Civati, uno degli esponenenti di punta fra i trentenni del partito, anima del movimento dei rottamatori, così scrive sul suo blog «Se il Terzo polo si costituirà e si vorrà presentare alle elezioni, sarà una buona notizia. Se vorrà venire con noi [cosa di cui è lecito dubitare], facciamo in modo che siano loro a chiedercelo, alla fine, e non noi, all’inizio, mettendoci in una posizione ancillare che sconfessa le stesse ragioni per cui il Pd è stato concepito. E valutiamo se questa alleanza risponde all’esigenza di cambiamento che dovrebbe essere la nostra unica ragione di vita. Perché qualcuno dice che il Pd forse non esiste più. E, dopo l’intervista di oggi, non ha tutti i torti». Parole durissime e condivisibili che si riferiscono all’intervista in cui Bersani ha annunciato questa nuova, lungimirante mossa politica, che più di una strategia appare come un tentativo di suicidio.

Piuttosto che rafforzare l’idea di una politica partecipata dal basso, il partito si arrocca nel palazzo, nella disperata difesa di una dirigenza incapace di assecondare le istanze di rinnovamento che arrivano da più parti. Piuttosto che dimostrare la reale intenzione di sconfiggere il Caimano, nel momento in cui la sua maggioranza si è sgretolata, il PD cerca di abbattere coloro che impediscono alla “cupola” di preservare la propria posizione di potere. A tutti gli effetti per Bersani e Franceschini, per D’Alema e Veltroni, per Fassino e la Finocchiaro, Nichi Vendola costituisce un pericolo maggiore e più urgente che la destra berlusconiana. Nessun progetto per il Paese quindi, ma l’ennesima autoreferenziale manovra di palazzo.

Se ne va il papà della Pantera Rosa

Se ne va il papà della Pantera Rosa

«Un gigante del divertimento, uno scienziato dell’allegria». Cosi’ Roberto Benigni ricorda Blake Edwards, morto due giorni fa a 88 anni. Basterebbero tre titoli per comprendere la statura del regista e sceneggiatore: Colazione da Tiffany, La Pantera Rosa e Hollywood Party. Accanto a questi gioielli, la formidabile filmografia di Edwards annovera pellicole di grande qualità, come Operazione Sottoveste, I giorni del vino e delle rose, La grande corsa, Dieci, Victor Victoria. Pur misurandosi nei generi più disparati, il suo nome è essenzialmente legato alla commedia, che – assimilata la lezione di Maestri come Hawks, Lubitsch e Wilder – il regista declina in tutte le sue varianti: dalla commedia sentimentale e sofisticata, allo slapstick e alla commedia demenziale, non tralasciando una feroce critica di costume.

Insieme al genio trasformista di Peter Sellers, crea nel 1963 una delle maschere cinematografiche più amate di sempre: lo sfortunato e maldestro Ispettore Clouseau, che i due porteranno sullo schermo per ben sette volte. Nel 1969 sposa Julie Andrews, la più grande star di musical del tempo, che che gli resta accanto sino alla fine.

Un giorno di ordinaria corruzione

Un giorno di ordinaria corruzione

Un uomo che ha costruito il proprio impero economico grazie alla corruzione, non poteva che ottenere la fiducia al suo Governo con lo stesso metodo. Ieri si è consumato un rito che è fino in fondo simbolico della figura del Presidente del Consiglio, da sempre abituato a comperare le persone: si tratti di finanzieri, di giudici, di testimoni, di escort ed ora di avversari politici. Una vittoria numerica che potrà trasformarsi in vittoria politica esclusivamente se il signor b. riuscirà nell’improbabile impresa di allargare la propria maggioranza. Al riguardo sarebbe interessante sapere cosa ha provato la base della Lega, sentendo ieri gli esponenti di punta del proprio partito dichiararsi disponibili a lavorare insieme all’UDC, quando – solo due mesi fa – Bossi definiva Casini «uno stronzo».

Sono più propenso a pensare che un governo del genere, sorretto soltanto dalla corruttela e dalla illiberalità, abbia ormai vita breve. Prova ne sono le manifestazioni e le proteste nate spontanemante in tutta Italia a seguito della notizia della fiducia alla Camera. La piazza non è più disposta a tollerare questo stato di cose. La tensione sociale è altissima e continuerà così fino a quando il pifferaio magico non se ne sarà andato. Quanto alla risicata maggioranza di 3 voti, dubito che possa offrire al Cavaliere un  orizzonte politico sereno e credibile. In proposito concordo con quanto ha dichiarato Nichi Vendola «Il Governo che godeva della più ampia base parlamentare dell’intera Storia Italiana non c’è più. La precaria fiducia ottenuta oggi serve semplicemente a certificare la morte di un ciclo politico».

I sogni e le illusioni di Woody

I sogni e le illusioni di Woody

«La vita è piena di rumore e furore e alla fine non significa nulla».  Prende le mosse da queste amarissime parole di Shakespeare il nuovo film di Woody Allen, che – seguendo le frenetiche vicende di due coppie in crisi, quella già attempata di Helena ed Alfie [un istrionico ed efficace Anthony Hopkins] e quella della loro figlia Sally – finisce col giungere alla stessa conclusione di una sua pellicola di 20 anni fa: Ombre e Nebbia, secondo cui «L’uomo ha bisogno di illusioni come dell’aria che respira». Sono infatti coloro che accettano di vivere nell’illusione, gli unici capaci di godersi l’esistenza anche solo per un istante. Intorno a questo concetto, su cui si innesta una considerazione cinica e spietata sulla vecchiaia, il regista – che ha da pochi giorni compiuto 75 anni – sviluppa Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni. Una commedia agrodolce a cui manca l’umorismo dissacrante dei tempi migliori, ma che comunque è  in grado di offrire riflessioni profonde ed intelligenti. I temi trattati sono tipicamente alleniani:  la disperata ricerca di risposte e soddisfazioni da parte della middle class colta e frustrata, alle prese con amori, tradimenti ed aspirazioni fallite, oltre che con le casualità della vita.

Concordo con Curzio Maltese che su La Repubblica scrive «Essere contemporanei di Woody Allen è una fortuna, come esserlo stati di altri geni prolifici e longevi, Georges Simenon per esempio. Ogni anno c’è un film che vale sicuramente la pena di vedere. Un altro capitolo di una commedia umana cominciata negli anni Settanta. Nuovi caratteri, altri memorabili personaggi e la filosofia di sempre. Ogni nuovo film di Allen è in fondo un apologo sul senso della vita, o sul non senso». Chi si aspettava le battute fulminanti di Basta che funzioni è rimasto deluso ed infatti il film ha spaccato la critica. Chi lo ha visto si è sostanzialmente diviso fra chi sostiene che ormai Allen fa sempre lo stesso film e chi – come me – spera che continui a farlo ancora per molto. «Per me non c’é differenza fra chi legge le carte, chi si affida a un biscotto della fortuna o ad una qualsiasi delle religioni organizzateha recentemente dichiarato il regista  – sono tutte ugualmente valide, o non valide. E tutte ugualmente d’aiuto. Ero interessato al tema della fede, al concetto del credere in qualcosa. Sembra banale ma tutti noi abbiamo bisogno di un’illusione per andare avanti e le persone che sanno illudersi sono più felici di quelle che non sanno farlo». Come dargli torto? Ma soprattutto: come negare che l’amore – che resta ancora in cima alla famosa lista di cose per cui vale la pena vivere – ancorchè illusorio, non meriti d’esser pienamente vissuto? In fondo non importa se sia vero oppure no, quel che conta è “che funzioni”.

Verdi e Verdini

Verdi e Verdini

La settimana politica è stata indubbiamente segnata dalle rivelazioni di Wikileaks, che hanno dimostrato – al di là delle dichiarazioni di facciata – la sfiducia profonda che la diplomazia americana nutre nei confronti di berlusconi. Io però voglio concentrarmi su tre altri avvenimenti, diversi fra loro, che tuttavia sono pienamente esemplificativi della cifra autoritaria ed illiberale di questa destra governativa.

Due giorni fa il coordinatore nazionale del PdL Denis Verdini, indagato per corruzione e associazione segreta, facendo seguito ad una nota di Napolitano dichiara: «Noi sappiamo delle prerogative del capo dello Stato, ma ce ne freghiamo». L’arroganza e la strafottenza di queste parole dimostrano, oltre al legittimo nervosismo dei falchi del Partito dell’Amore, l’ennesimo scriteriato attacco alla Costituzione e alle regole democratiche, che nell’eventualità di una crisi prevedono un preciso e collaudato iter istituzionale. Il Presidente della Repubblica ha infatti il dovere, visto che la nostra è una Repubblica Parlamentare, di verificare se in seno alle Camere esista un’altra maggioranza e – in caso affermativo – di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a chi la rappresenta. Nelle stesse ore a Padova il consigliere provinciale della Lega Pietro Giovannoni afferma «Basta soldi pubblici alla Maratona di Sant’Antonio perché a vincere sono sempre atleti africani o comunque extracomunitari in mutande», mentre alcuni suoi colleghi di partito a Milano si oppongono all’assunzione di infermieri stranieri, anche se in Lombardia mancano circa 8mila infermieri, e di italiani se ne trovano sempre meno. Due fra i tanti segnali di intolleranza xenofoba e ottusa discriminazione di cui il Carroccio si fa triste portatore e che ben rappresentano l’altra faccia della protervia dell’asse berlusconi-bossi.