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Mese: Febbraio 2010

Baciami come uno sconosciuto

Baciami come uno sconosciuto

«Gene Wilder è il miglior genere di scrittore che esista. Trascrive i suoi pensieri con assoluta semplicità. Sebbene dotato di ingegno acuto, questo suo tratto non interferisce mai con la narrazione. Sembrerebbe che non sia la mano a impugnare la penna, ma il cuore. Dice sempre la verità, bella o brutta, troppo personale o rivelatrice che sia. Nel suo libro dei ricordi, il lettore percepisce il dolore, il turbamento, l’imbarazzo e la gioia dell’autore come se le provasse in prima persona. Per Gene dire la verità è una mania ossessivo-compulsiva, eppure la racconta fino in fondo con meravigliosa ed elegante leggiadria. Gene ed io siamo cari amici dal lontano 1963».

Così inizia la prefazione di Mel Brooks a Baciami come uno sconosciuto, l’autobiografia di Gene Wilder pubblicata in Italia da Sagoma Editore lo scorso gennaio. Un libro scritto da Wilder con la stessa grazia leggera delle sue sceneggiature, che racconta la lunga parabola artistica dell’attore-regista settantaseienne, costellata da incontri con personaggi del calibro di Woody Allen, Orson Welles, Federico Fellini, Cary Grant e Peter Sellers, nonchè – naturalmente – Mel Brooks, Marty Feldman e Richard Pryor. Peraltro non tutti sanno che l’idea di Frankenstein Junior si deve proprio a Wilder, il quale è – per l’appunto – autore del soggetto, nonchè cosceneggiatore del capolavoro diretto dall’amico Brooks. In questa autobiografia però il grande comico non si limita a ripercorrere le tappe della carriera, ma – in un misto di dolcezza ed ironia – dedica grande spazio alle donne che lo hanno accompagnato durante la sua esistenza, ed in particolare alla terza moglie Gilda Radner, attrice amatissima negli Stati Uniti, morta nel 1989 a soli 43 anni per un tumore alle ovaie. A seguito di questa tremenda perdita, il divo fonda la Gilda’s Club, a sostegno della ricerca contro il cancro e dirada il suoi impegni professionali. Nel 1999, Wilder si trova a lottare in prima persona contro un tumore al sistema linfatico, che riesce a debellare grazie ad un trapianto di cellule staminali. Un libro ricco di aneddoti e ricordi che ci rimanda lo sguardo insieme disincantato e gentile di quest’ Artista di talento e ci restituisce una grande lezione di semplicità. «Se l’azione o il gesto che stai compiendo è divertente di per sé, non devi calcare la mano recitando in maniera buffa. Sii naturale e il divertimento aumenterà».

Uozzamericanboi

Uozzamericanboi

Il 24 febbraio di 7 anni fa si spegneva a 82 anni Alberto Sordi. La sua figura resta unica nella storia del Cinema Italiano. Si può dire che nessun altro, fatta eccezione per Totò, seppure con caratteristiche diverse sia per epoca che per caratterizzazione, sia riuscito a conquistarsi nel cuore del pubblico uno spazio così definito. Anno per anno, Sordi si è costruito la carriera con una determinazione senza eguali. Nel farlo ha dato vita ad un personaggio familiare a milioni di spettatori: astuto, vile, furbesco, ironico, coraggioso solo se costretto, romanesco sino al midollo e, al tempo stesso, beffardo verso tutto ciò che è la “romanità” corrente.

A partire dai primi Anni 50, l’attore trasferisce al cinema alcuni personaggi creati dalla sua fantasia e proposti alla radio, connotandoli di un elemento assolutamente inedito fino ad allora. Sordi infatti pare accanirsi ed infierire sul proprio personaggio, caricandolo di crudeltà. Primo esempio in Italia di un comico che, facendo ridere della propria abiezione, chiama il pubblico sia a solidarizzare col personaggio che a disprezzarlo insieme. L’incontro artistico che determina la prima svolta nella sua carriera è quello con Federico Fellini, col quale entra in due ruoli di spessore, due personaggi negativi e immorali, protagonisti rispettivamente de Lo sceicco bianco e de I Vitelloni. Ma è Mario Monicelli con La grande guerra del 1959, che consente a Sordi di esprimere un nuova maturità drammatica. Questo film,  un affresco memorabile sul conflitto del 1915-18, visto attraverso le vicende di due soldati pelandroni e vigliacchi, consente a Sordi un nuovo modo di recitare, che non esclude il suo enorme  talento comico, ma sapientemente lo mescola ad un tono tragico.

La lista delle interpretazioni di Sordi, in cui l’abituale chiave ironico-grottesca si arricchisce di accenti più amari, prende forma negli anni a venire, anche con individui rispettabili ed eroi positivi, come il tenente Innocenti in Tutti a casa [1960, di Luigi Comencini], il giornalista Magnozzi in Una vita difficile [1961, di Dino Risi], il commissario Lombardozzi ne Il Commissario [1962, sempre di Comencini] e lo sfortunato maestro Mombelli de Il maestro di Vigevano [1963, di Elio Petri]. A questi si uniscono, fra i tanti altri, il siciliano Badalamenti de Il Mafioso [1962, di Alberto Lattuada], il geometra Dinoi in Detenuto in attesa di giudizio [1971, di Nanni Loi] e soprattutto l’impiegato ministerale Vivaldi in Un borghese piccolo piccolo [1977, di Mario Monicelli]. Film che segna sia la fine della commedia all’italiana che il punto più alto della carriera di Sordi, che negli anni successivi si avvierà verso un lento declino. 

Un sistema gelatinoso

Un sistema gelatinoso

Mi riesce difficile commentare l’ennesimo grave episodio di corruzione che sta occupando da giorni le prime pagine dei giornali. Appare ormai evidente che questo Paese è un sistema completamente da rifondare. A conferma di ciò, riporto uno stralcio dell’intervista che Giorgio Bocca ha rilasciato a Marco Travaglio.

Giorgio Bocca, lei ha appena scritto Annus Horribilis: ma si riferiva al 2009. Il 2010 si annuncia ancora più horribilis…
Vedremo. Il 2009 mi è sembrato il più orribile per una tendenza irresistibile alla democrazia autoritaria. Più Berlusconi ne combinava di cotte e di crude, più i sondaggi lo premiavano. Ora, con questi ultimi scandali, la gente potrebbe cominciare a stancarsi e capire qualcosa.
Che cosa la spaventa di più?
Il muro di gomma. Succedono cose terribili, o terribilmente ridicole, e nessuno reagisce. Lanci allarmi, provocazioni anche forti, e non risponde nessuno. Come dicono i giudici dello scandalo Bertolaso? “Sistema gelatinoso”. Ecco, è tutto gelatinoso. Non resta che sperare, come sempre nella nostra storia, in qualche minoranza coraggiosa che cambi la storia.
Anche Tangentopoli, 18 anni fa, partì da una mazzettina di 7 milioni a Mario Chiesa.
Andai a intervistare Borrelli e gli domandai perché i magistrati fossero riusciti a scardinare il sistema così tardi. Mi rispose che la magistratura in Italia riesce a incidere nel profondo solo quando nella società c’è un grande allarme, quando si accende una grande luce. Oggi la luce non si accende ancora.
Forse, con più informazione e più opposizione, sarebbe più facile ribellarsi.
La cosa più deprimente è la lettura dei giornali, per non parlare della televisione. La nostra democrazia diventa autoritaria anche perché ci sono giornalisti comprati con prebende e privilegi, ma soprattutto terrorizzati.
La beatificazione di Craxi, i dossier su Di Pietro e ora l’immunità parlamentare d’accordo col PD.
Beh, è tutto collegato. E’ la complicità fra colpevoli delle due parti. […] Craxi piace tanto a questa destra e a questa sinistra per due motivi: intanto perché era un corrotto, e poi perché, con l’idea della Repubblica presidenziale, ha dato un’ideologia alla democrazia autoritaria che questi selvaggi di oggi inseguono ma non riescono nemmeno a teorizzare. Questa democrazia malata la dobbiamo pure a questa sinistra alla D’Alema che collabora da 15 anni con Berlusconi.
Che speranza abbiamo?
Che la gente si accorga del suicidio di farsi governare da uno abilissimo a fare soldi: quello i soldi, invece di darteli, te li porta via. Che gli italiani si vergognino almeno per le sue cadute di stile, tipo gli sghignazzi sulle belle ragazze mentre parla del dramma degli immigrati col presidente albanese. Che capiscano come un minimo di decenza e legalità è meglio di questa anarchia lurida. Non dico la virtù, l’onestà: un po’ di normalità e di civiltà. L’unica bella notizia degli ultimi anni è il popolo viola, spero che le prossime manifestazioni siano ancora più massicce e visibili. Se si ribellano i ragazzi, non tutto è perduto.

A kiss is just a kiss

A kiss is just a kiss

Il bacio è stato per molti anni il momento di maggior audacia a cui si potesse assistere nel buio di una sala cinematografica. Rigorosamente a labbra serrate, proprio per questo motivo riusciva ad essere incredibilmente erotico, stimolando la fantasia dello spettatore a proseguire con l’immaginazione quello che lo schermo non poteva mostrare. Chiunque abbia visto Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore e la sequenza dei baci censurati, si è reso conto di come il bacio possa considerarsi il simbolo dell vecchio Star System hollywoodiano in cui i divi del cinema diventavano catalizzatori assoluti delle fantasie erotiche del pubblico.

Sono tanti i baci ad essere entrati di diritto nell’immaginario collettivo. Vittima di un improvviso rigurgito di romanticismo, o forse perchè dopodomani è San Valentino, provo a raccoglierne quindici, lasciandone fuori moltissimi altrettato belli, come il bacio fra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in Casablanca, quello fra Marlon Brando e Eve Marie Saint in Fronte del Porto, o ancora quello fra Clark Gable e Vivian Leigh in Via col Vento. Ed è proprio Gable, che, rivolgendosi alla sua partner, pronunzia questa straordinaria battuta: «Aprite gli occhi e guardatemi. No, non vi bacerò neanche, benché ne abbiate bisogno. E’ questo il guaio: dovreste essere baciata, e spesso, e da un esperto».

I geni continuano ad avere gli occhi di un bambino

I geni continuano ad avere gli occhi di un bambino

Pochi giorni fa mi sono imbattuto in un articolo che ad un certo punto faceva la seguente affermazione: «Dicono che la genialità stia negli occhi. I geni continuano ad avere gli occhi di un bambino». Una tesi che mi pare contenga una straordinaria verità. C’è del genio [parola purtroppo abusata fin quasi a sottrarle il suo senso più pieno, ma in questo caso necessaria] nel riuscire ad andare avanti negli anni mantenendo uno sguardo da bimbo nei confronti delle cose della vita. Si sa, il tempo corrompe l’originaria innocenza. Fa un pò il mestiere delle onde con le rocce: giorno dopo giorno erode, assottiglia, consuma.  Ecco perchè con l’età talvolta si diventa convessi. Pronti ad ospitare ipocrisie, inganni, tradimenti, egoismi. Eppure c’è qualcuno che riesce a sottrarsi agli effetti di questo stillicidio, per quanto possa non trovarsi a proprio agio nel mondo perchè costretto a scontrarsi con i più, che invece si sono lasciati corrompere. Destinato a volte ad essere oggetto di incomprensioni ed emarginazioni. C’è un toccante ed antico candore in coloro che, irriducibili, sono ancora in grado di essere e di sentire anche ciò che erano e sentivano un tempo. Capaci di trascolorare le brutture di questa società in una dimensione diversa. Più forti e più fragili allo stesso tempo. Persone che sono qui ed insieme altrove.
Gli 80 anni di un mito

Gli 80 anni di un mito

Pochi giorni fa Gene Hackman ha compiuto 80 anni. Nell’aspetto l’attore ha sempre dato l’idea di un uomo di mezza età e la sua faccia può essere definita come quella di una persona qualsiasi. Gangster Story, il primo film in cui si rivela il suo talento, risale al 1967, quando Hackman aveva già 37 anni. Ma è nei primi Anni 70, quando il vecchio star system di Hollywood inizia a perdere i colpi, che una figura come la sua trova uno spazio sempre maggiore da protagonista. Nel 1971 arriva il primo Oscar per l’interpretazione de Il braccio violento della legge, per la parte di un agente della narcotici che tenta di superare con la propria durezza la durezza di un mondo in cui valori e certezze sono completamente caduti. Ed è proprio l’America in crisi del dopo Vietnam e del Watergate che si interroga sul suo futuro e sugli errori del passato, che va mescolandosi ai tratti tipici dei personaggi più importanti che l’attore interpreta in quel periodo: antieroi ambigui, alienati, duri, diretti, in cerca di una personale redenzione. Tre interpretazioni che da sole giustificherebbero una carriera: in Lo Spaventapasseri con Al Pacino, è uno sbandato che attraversa l’America, espressione di un sistema schiacciante, all’inseguimento di un suo personale sogno. Ne La Conversazione di Francis Ford Coppola è un tecnico che per lavoro spia conversazioni telefoniche e che finisce col mettere in dubbio il senso stesso di ciò che fa. In Bersaglio di notte di Arthur Penn, è un investigatore privato da 4 soldi, un uomo  dolente e disilluso da una vita piena di violenza ed incomunicabilità.

La facilità di entrare in qualsiasi personaggio gli ha consentito negli anni a venire di scegliere personaggi completamente differenti da quelli solitamente interpretati, riuscendo egualmente a restituire un’intensità immediata ed inimitabile. Tra i suoi ruoli più importanti, sicuramente quello dell’agente federale in Mississipi Burning di Alan Parker e quello dello sceriffo ne Gli spietati di Clint Eastwood, con cui conquista la seconda statuetta. A chi gli ha chiesto quale fosse il suo modo di intendere la recitazione, l’attore ha risposto «Nelle parti che ho interpretato c’è sempre qualcosa di me. Bisogna trovare qualcosa di sè nella parte e poi svilupparla. L’arte della recitazione è tutta qui». Non è ciò che si dice una definizione profonda, ma mostra una chiarezza, una consapevolezza ed un senso di professionalità che lo hanno reso uno dei più convincenti attori viventi.

Quanti perfetti e inutili buffoni

Quanti perfetti e inutili buffoni

Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni direbbe Franco Battiato. La citazione non è casuale, visto che l’artista siciliano è uno dei riferimenti musicali del povero Morgan. I buffoni sarebbero, naturalmente, tutti i vari esponenti del centrodestra che, in un Parlamento in cui non mancano certo tossicodipendenti e pregiudicati, hanno afferrato al volo la fin troppo facile occasione, costituita dall’intervista in cui l’ex leader dei Bluvertigo ammette l’uso di cocaina, per ergersi a strenui paladini della morale. C’è da chiedersi se costoro non considerino forse più dignitoso delinquere, magari proprio spacciando droga, esportare i capitali all’estero, poi farli rientrare grazie allo scudo fiscale, e quindi reinvestirli come si ritiene più opportuno.

Che bello sarebbe se una nuova onda di consapevolezza travolgesse questa vergognosa ipocrisia, ed anche l’ignoranza dei più, che consente ai politici d’essere così disonesti. Che poi si tratta anche dell’ipocrisia e dell’ignoranza di chi finge di non sapere o proprio non comprende lo stato comatoso della nostra democrazia. Mi si dice: «Ma il fatto stesso che tu abbia un blog e possa dire le cose che dici dimostra che la democrazia in Italia c’è, eccome!». Ma la democrazia non è un interruttore: on/off. Qualcosa che c’è, oppure non c’è. Esistono varie sfumature e gradazioni. Democrazie piene e democrazie malate. La nostra è indubbiamente una democrazia malata. Prima di tutto perchè – alla base – viziata da un’anomalia che non ha corrispettivo in nessun’altro stato occidentale. Un’anomalia che ha condotto la pubblica opinione a lasciarsi trasportare dalla sloganistica più superficiale – o peggio strumentale – del nostro Governo. E’ la democrazia dei sondaggi, del populismo ai fini dell’audience, della politica-pubblicità che non vuole convincere ma conquistare, che scansa il contenuto e il ragionamento, puntando forte sugli effetti speciali. Una scelta che galvanizza, ma instupidisce la gente perché non parla alla testa e al cuore, ma solo alla pancia. Una comunicazione che manipola e giustifica decisioni già prese. Che spinge a sentirsi partecipi – se il proprio schieramento è al Governo – delle scelte da esso compiute in nome di un sedicente “interesse generale”, che – in realtà – è l’interesse di uno soltanto.

Ecco allora che si è pronti ad accettare il legittimo [??!!] impedimento, ma si diventa inflessibili nei confronti di chi ha avuto l’ingenuità di confessare a tutti la propria fragiliità di uomo.

Realtà e finzione in Lost

Realtà e finzione in Lost

Da pochi minuti negli Stati Uniti è iniziata l’ultima stagione di Lost. Da noi SKY ha deciso di trasmettere ogni episodio in lingua italiana solo con una settimana di ritardo rispetto all’edizione americana. Lo straordinario impatto globale di una serie che ha rivoluzionato il modo di far televisione ha molte spiegazioni. Prima di tutto l’abilità nel mescolare cultura alta e bassa, sperimentazione e popolarità, filosofia e fantascienza, sfruttando fino in fondo i tempi lunghi della narrazione televisiva, ben diversi da quelli cinematografici. Lost propone una serie di questioni dal sapore metafisico: Cos’è un isola? Esiste il mondo esterno oppure è un’illusione? Quali sono i significati di redenzione e rinascita? Qual’è il rapporto fra sogno e realtà? Quale la commistione fra passato e futuro? In particolare poi mette in campo i limiti del concetto di verità come qualcosa di oggettivo, spronando gli spettatori ad andare oltre a quello che può apparire più “giusto” o “logico”. La verità quindi non è la fine di un piatto percorso razionale che non lascia dubbi, ma qualcosa di più complesso e sfaccettato che – svelato poco a poco – mantiene sempre un cono d’ombra impalpabile, concedendo spazio ad altre prospettive e dimensioni. Uno degli sceneggiatori, Damon Lindelof, ha infatti affermato «Se fossimo davvero in grado di concludere la serie come vorremmo, mi piacerebbe restassero delle domande insolute, perchè una delle cose coinvolgenti della serie è che rende il pubblico creativo».

Lost spinge chi la guarda all’interpretazione, ponendolo di fatto sul medesimo piano dei protagonisti della storia. Quindi allo stesso modo in cui Jack, Kate, Sawyer, Sayid, Locke e gli altri si rapportano ai misteri dell’isola, noi ci rapportiamo a Lost, restando sospesi come loro in uno spazio in cui non è sempre facile distinguere fra realtà e finzione, fra verità e rappresentazione. Questo gioco viene portato all’estremo dagli autori, facendo interagire vecchi e nuovi media, ed in particolare avvalendosi appieno delle potenzialità del Web. Una strategia in cui si impiegano i canali di comunicazione del mondo reale per fornire informazioni attinenti ad una dimensione di finzione come quella di Lost. Ecco allora che in Rete si può trovare il sito della Oceanic Airlines [la linea a cui appartiene il volo che ha fatto naufragio sull’isola], o il sito dei Drafshaft [la band di Charlie], così come una serie di siti dedicati agli appassionati. In uno di questi, si è dato il via ad una caccia planetaria a dei codici necessari per attivare – attraverso una complessa procedura – un filmato in grado di svelare molti degli enigmi di Lost. Esistono poi documentari inchiesta ed anche giochi interattivi volti ad appurare la verità dei fatti narrati nella serie. Insomma, un prodotto globale che si traduce in un’intreccio insolubile fra reality e fiction e che ci fa sentire confusi e perduti, proprio come i nostri eroi.

Dalle leggi ad personam alla Presidenza della Repubblica

Dalle leggi ad personam alla Presidenza della Repubblica

L’anno giudiziario si è inaugurato nelle Corti d’Appello tra polemiche, denunce dell’Associazione Nazionale Magistrati e critiche al processo breve. I magistrati hanno lasciato le aule con la Costituzione in mano in moltissime città, non appena hanno preso la parola i rappresentanti del governo. Nella mia Genova, così si è espresso l’ex sindaco Adriano Sansa, attualmente presidente del Tribunale dei minori, «Il processo breve è una burla. La giustizia italiana funziona male, le riforme vanno fatte ma non con una serie di leggine fatte per togliere dai guai Silvio Berlusconi. Ho lasciato l’aula con grande disagio, è un gesto doloroso ma noi magistrati stiamo perdendo l’indipendenza e l’autonomia di fronte a un sultano. È una protesta estrema – prosegue Sansa – ma è anche un modo per fare capire che serve il dialogo. Noi diciamo sì alle riforme, ma democraticamente, fatte da un Parlamento che non sia subordinato e soggetto ai capricci del premier. È a rischio la democrazia». Il presidente dell’ANM in Liguria, Francesco Pinto, gli ha fatto eco con queste parole: «La denigrazione continua della magistratura è un vero e proprio atto eversivo».

E che si tratti di un processo eversivo è anche confermato da Carlo Taormina, avvocato di berlusconi fino al 2008, che  in un’interessantissima intervista [di cui consiglio a tutti la lettura e la più larga diffusione possibile] racconta il piano del premier per sfuggire alla giustizia e diventare il prossimo Presidente della Repubblica. La vicinanza della fonte al Cavaliere è tale da garantire una certa attendibilità e – di conseguenza – lasciare davvero pochi dubbi su quanto ci aspetta nei prossimi anni. Con l’opposizione allo sbando, diventa sempre più urgente far crescere dal basso un movimento di opinione in grado di reagire al degrado in cui è precipitato questo Paese. In queste ore l’Onda Viola è tornata in piazza per invitare alla mobilitazione contro l’ennesimo attacco alla Costituzione. Facciamo in modo che la sua voce sia sempre più pressante.