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Anno: 2010

Elezioni ad personam

Elezioni ad personam

Da molto tempo sostengo che berlusconi costituisce un grave pericolo per la democrazia. L’uomo è sempre stato disposto a tutto pur di preservare il suo potere e difendersi dai propri guai giudiziari. Persino a farsi spregio delle regole democratiche. Affermare che senza la fiducia a Montecitorio si dovrà andare ad elezioni, ma soltanto per rinnovare la Camera dei Deputati, si inserisce perfettamente in questo solco. A parte lo sgarbo istituzionale al Presidente della Repubblica che è l’unico che può decidere sullo scioglimento delle Camere, la soluzione proposta non ha precedenti nella storia della Repubblica Italiana e procurerebbe, fra l’altro, uno sfasamento temporale fra i due rami del Parlamento. Inoltre, se il voto producesse una sconfitta elettorale di berlusconi, il Paese si troverebbe con due Camere con maggioranze opposte, condannate a un lungo periodo di stallo ed inevitabilmente a nuove elezioni. Per fare un esempio recente, anche Prodinel gennaio 2008 ebbe la maggioranza alla Camera e venne sfiduciato al Senato, ma allora si sciolse comunque tutto il Parlamento.

In realtà il Caimano sa bene che difficilmente Napolitano lo seguirà in questa sua mossa, che quindi va letta nell’ottica propagandistica di chi – ancora una volta – utilizzerà il proprio impero mediatico per affrontare la campagna elettorale nei panni della vittima, solo contro tutti: i magistrati cancro della democrazia, i giudici della Corte Costituzionale di sinistra, la Costituzione bolscevica, il presidente della Repubblica che sappiamo da che parte sta, Fini l’infame traditore, i giornali che non vanno letti perchè dicono solo bugie, la RAI indecente, l’opposizione illiberale. In questo momento di preoccupante emergenza istituzionale non posso che concordare con quanti sostengono la necessità di un’alleanza di solidarietà nazionale che comprenda PD, UDC e FLI, a salvaguardia della Costituzione e della democrazia.

L’inizio della fine

L’inizio della fine

Non si può non sottolineare come il discorso di ieri di Fini sia stato frenato da un eccesso di tatticismo, dalla precisa volontà di non assumersi la paternità della crisi. Una strategia che può anche apparire ragionevole, considerata l’imponente capacità di fuoco di cui – grazie ai suoi media – può disporre il premier, ancora in grado di indirizzare a proprio piacimento una buona parte della pubblica opinione. Ma che al tempo stesso espone il Presidente della Camera al gioco di chi lancia il sasso per poi ritirare subito dopo la mano, di chi – per l’appunto – invoca le dimissioni di berlusconi, senza però votare la sfiducia al Governo. Detto questo, è  evidente che Fini rappresenta l’unica speranza di avere in questo misero Paese una destra moderna e riformista, ben distante dalle spinte populiste e plebiscitarie del premier o da quelle reazionarie e xenofobe di bossi. I temi affrontati configurano Futuro e Libertà come una grande forza moderata post-berlusconiana ed antileghista. Alcuni di questi mi stanno molto a cuore, visto che anche io li ho esposti più volte dalle pagine del mio blog.

  • «C’è una sorta di decadimento morale nella società italiana che è conseguenza della progressiva perdita di decoro di quelli che sono i comportamenti di chi è chiamato ad essere di esempio, perché se si è personaggi pubblici si è obbligati ad essere di esempio. Ho rimpianto, e credo che anche gli italiani lo abbiamo, del rigore, dello stile, del comportamento di uomini come Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa: la prima Repubblica era anche in queste personalità che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato».
  • «Si devono mettere in campo politiche di ripresa. Non si può liquidare tutto parlando di assurde congiure o che c’è il governo del fare. Mi sembra che a volte questo governo del fare sia il governo del fare finta che tutto vada bene senza tenere conto dei problemi della società».
  • «Meglio leggerli i giornali anche se non parlano bene di te. Meglio quelli che certi telegiornali che sembrano arrivare da epoche di regimi in cui giravano le veline».
  • «Rispettare la persona vuol dire che non si possono distinguere bianchi e neri, cristiani, musulmani e ebrei, uomini e donne, etero e omosessuali, cittadini italiani o stranieri. La persona è al centro dell’azione di qualsiasi cultura politica che voglia creare i presupposti per armonia».
  • «Non c’e’ alcun movimento politico in Europa, sui temi dei diritti civili e della cittadinanza, cosi’ arretrato culturalmente come mi sembra quello del Pdl che va a rimorchio della peggiore cultura Leghista».
  • «C’è la necessità di un’altra politica, di superare la fase o si sta di qua o di là. Non è possibile che ogni volta che si parli di cercare momenti condivisi il tutto viene bollato come sinonimo del peggiore inciucio o di truffa agli elettori. Finita la campagna elettorale l’altra coalizione non può rimanere il nemico da combattere con un eccesso di propaganda e deficit di politica».
  • «Non sarà accolto con soddisfazione quello che dico, ma se si dice che bisogna rispettare lo scettro nelle mani del popolo allora non c’è patto di legislatura se non si ha coraggio di cancellare una legge elettorale che è una vergogna».
La satira diventa cronaca

La satira diventa cronaca

Da un anno e mezzo a questa parte il governo berlusconi è in caduta libera. Gli scandali si susseguono uno all’altro senza soluzione di continuità, ponendo il Paese di fronte al baratro dell’ingovernabilità: puttanopoli, la casa di Scajola, la cricca di Bertolaso, il ministero fantasma di Brancher, la P3, Ruby Rubacuori.

Le vicende di queste ultimissime settimane, a cominciare dalla bestemmia pronunziata in pubblico, per finire con l’aggressione verbale ai gay e con la puntata di ieri sera di Ballarò, dove l’onorevole Lupi si è dimostrato più snodato dell’Uomo Ragno nell’arrampicarsi su ogni specchio possibile per difendere il premier, mi hanno fatto tornare alla mente una vignetta di Stefano Disegni di due anni fa. Alla fine oggi siamo nelle condizioni di dire che la realtà dei fatti ha superato la fantasia di chi fa satira. Quando i comportamenti di un uomo pubblico e di chi continua ancora a sostenerlo [a cominciare da Bossi che liquida l’affaire della telefonata alla Questura di Milano affermando: «Silvio ha sbagliato, poteva telefonare a me o a Maroni», come a dire: il lavoro sporco non lo faccia personalmente, lo lasci pure a noi], ridimensionano la satira a cronaca, allora significa che il regime, nel tentativo di salvare se stesso, è andato ben oltre ogni livello di guardia.

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In preda alla paralisi

In preda alla paralisi

Nella Prima Repubblica esistevano le ideologie. La politica proponeva idee contrapposte che stavano alla base di uno scontro d’opinione che, per quanto aspro, si manteneva nell’ambito del rispetto e della legittimazione reciproca. La Seconda Repubblica invece si fonda su una grande mistificazione, che è  evidente a partire dal “primo discorso” di berlusconi nel gennaio del 1994: «I principi in cui noi crediamo non sono principi astrusi, non sono ideologie complicate; no, sono i valori fondamentali di tutte le grandi democrazie occidentali. Noi crediamo nella libertà, in tutte le sue forme, molteplici e vitali: libertà di pensiero e di opinione, libertà di espressione, libertà di culto, di tutti i culti, libertà di associazione; crediamo nella libertà di impresa, nella libertà di mercato, regolata da norme certe, chiare e uguali per tutti. […] C’è un pericolo per il Paese. Io credo che questa decisione noi, tutti noi, l’abbiamo assunta certo guardando ai pericoli che si venivano profilando, ma la ragione forse ci avrebbe invitato a continuare a preoccuparci del nostro particolare, della nostra famiglia, delle nostre aziende, del nostro mestiere, delle nostre professioni. Abbiamo deciso invece di dare una risposta diversa, perché abbiamo sentito che si profilava un pericolo: la possibilità che il nostro Paese fosse governato da una minoranza, da una minoranza che conosciamo bene, che ci avrebbe inflitto un futuro soffocante e illiberale». Le ideologie non esistono più. Esiste solo la libertà, messa in discussione da una parte del Paese. Si scende in politica non tanto per proprio senso civico [la politica è fatica: meglio sarebbe restare a casa o a lavoro], quanto piuttosto per fronteggiare un nemico illiberale. E’ la battaglia del bene contro il male, che non prevede un confronto fra idee politiche differenti, ma una deligittimazione di chi la pensa diversamente, fin da subito rappresentato come un nemico da abbattere. Con questa sorta di “chiamata alle armi” berlusconi maschera i reali motivi che lo hanno portato a fondare “Forza Italia”. E’ questo il peccato originale da cui ne derivano molti altri, che insieme hanno poi condotto il nostro Paese, nel corso di questi ultimi 15 anni, alle drammatiche condizioni di oggi. «L’Italia è in preda alla paralisi. Bisogna ritrovare senso della dignità e del rispetto delle istituzioni» ha dichiarato Emma Marcegaglia solo due giorni fa.

Quelle parole del 1994 costituiscono il brodo di coltura che ha sostanzialmente spaccato il Paese su un piano culturale molto prima che politico. Da una parte chi ha da subito riconosciuto e sconfessato la mistificazione berlusconiana, e dall’altra coloro che si sono lasciati ingannare o che – nella peggiore delle ipotesi – pur avendo smascherato il gioco del Cavaliere si sono identificati nella sua figura. Come del resto scrivono in queste ore sia Beppe Grillo nel suo blog: «In un qualunque altro Stato occidentale sarebbe stato condannato per Mills, non avrebbe il monopolio televisivo, sarebbe stato fatto a pezzi dalla pubblica opinione per la sua frequentazione con dei mafiosi come Mangano o condannati in secondo grado come Dell’Utri. In nessuno Stato, neppure in Libia o in Russia, sarebbe potuto diventare presidente del Consiglio. Solo l’Italia poteva permettersi uno come lo psiconano. E’ lo specchio di una parte del Paese che vorrebbe trombarsi le minorenni (e se le tromba), vorrebbe evadere il fisco (e lo evade), vorrebbe violare le leggi (e le viola)», sia Eugenio Scalfari su Repubblica: «Berlusconi possiede l’indubbia e perversa capacità di aver evocato gli istinti peggiori del paese. I vizi latenti sono emersi in superficie ed hanno inquinato l’intera società nazionale ricacciando nel fondo la nostra parte migliore. È stato messo in moto un vero e proprio processo di diseducazione di massa che dura da trent’anni avvalendosi delle moderne tecnologie della comunicazione e deturpando la mentalità delle persone e il funzionamento delle istituzioni».

Bunga bunga?

Bunga bunga?

«Vi sono due ministri del governo Prodi che vanno in Africa, su un’isola deserta, e vengono catturati da una tribù di indigeni. Il capo tribù interpella il primo ostaggio e gli propone: Vuoi morire o Bunga-bunga? Il ministro sceglie: Bunga-bunga. E viene violentato. Il secondo prigioniero, anche lui messo dinanzi alla scelta, non indugia e risponde: Voglio morire! Ma il capo tribù: Prima Bunga-bunga e poi morire». Questa, secondo il Corriere del Mezzogiorno, è la barzelletta di berlusconi preferita da Noemi Letizia.

Sinceramente, qualche anno fa, prima che la parabola berlusconiana conoscesse il suo punto più geriatricamente basso, tutto mi sarei aspettato tranne che i titoli dei quotidiani nazionali fossero costretti ad occuparsi di un rituale d’origine africana chiamato “bunga bunga“. Tratterebbesi di una pratica che il premier ha mutuato dal caro amico Gheddafi [una volta ci si rifaceva a De Gasperi o a Gramsci… ma anche questo è un segno dei tempi], secondo la quale il padrone di casa, dopo una cena conviviale, invita le ospiti più disponibili ad una allegra orgietta. Saremmo [il condizionale è d’obbligo, visto che i contorni della vicenda sono tuttora da chiarire] nuovamente dalle parti di vecchi bavosi e minorenni, di favoreggiamento della prostituzione ed intrecci fra politica e tv, di lelemoraemiliofede ed abusi di potere. Quello che parrebbe già accertato [una ragazzina marocchina amica del Premier, fermata dalla Polizia per furto, viene fatta rilasciare da Palazzo Chigi che la spaccia per la nipote di Mubarack] è già di per sè di una gravità inaudita e segna lo sfacelo di uno Stato violentato [e qui si torna al bunga bunga] da una cultura del malaffare, della corruzione, dell’impunità e dei soprusi, e da un potere abietto che via via sta trasformandosi in grottesco burlesque. 

La cultura e la democrazia

La cultura e la democrazia

Recentemente sono stati pubblicati i risultati di due indagini sull’istruzione primaria e la cultura in Italia, che [ma guarda un pò che strano] sono passati sotto silenzio. Secondo queste ricerche: «Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra: sono analfabeti totali. Trentotto su cento lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta semplice e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione, ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità, un grafico con qualche percentuale è un’icona indecifrabile. Soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea». Questa tendenza all’analfabetismo di ritorno riguarda tutte le società occidentali, ma in Italia il fenomeno ha un impatto drammatico. Tant’è vero che, ad esempio, siamo in coda all’Europa per lettura di libri e giornali. Secondo l’Istat più della metà degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno, mentre la televisione resta il mezzo di comunicazione dominante. Inutile dire che l’homo videns, come l’ha definito Giovanni Sartori in un suo saggio, è assai più suggestionabile dalla propaganda e dalla demagogia, rispetto alla minoranza ancora affezionata alla parola scritta. Come sostiene il linguista Tullio De Mauro: «La democrazia vive se c’è un buon livello di cultura diffusa, altrimenti, le istituzioni democratiche – pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi  –  sono forme vuote. Quanti di noi hanno la possibilità di ragionare sui dati di fatto, partecipando alle scelte collettive con la possibilità di documentarsi sul senso di quelle scelte?»

Ecco quindi spiegati, in questo quadro di insieme, i recenti tagli al settore cultura operati dal PdL e la Lega. E’ l’ultimo atto di una politica che mira scientemente a colpire la cultura, mortificarla, banalizzare e sminuire il lavoro artistico e intellettuale, ridotto a roba per gente che non ha voglia di faticare. La crisi è usata per suscitare disprezzo nei confronti della cultura. Una strategia scellerata che consegna all’Italia un destino di declino e di imbarbarimento. Ieri l’associazione dell’autorialità cinetelevisiva 100autori ha deciso di occupare la Casa del Cinema proprio per denunciare «la pochezza di un governo che considera la cultura un elemento residuale e insieme di segno politico avverso di cui è auspicabile la chiusura per fallimento. Come per l’informazione, la ricerca, la scuola, anche il nostro settore è stato smontato pezzo per pezzo, giorno dopo giorno».

Costituzionale de che?

Costituzionale de che?

Ieri la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato l’emendamento al lodo Alfano per cui è possibile sospendere i processi al presidente della Repubblica o al presidente del Consiglio anche per fatti antecedenti all’assunzione della carica. Una disposizione aberrante che non ha corrispettivi in alcuna democrazia occidentale, ripeto: non ha corrispettivi in alcuna democrazia occidentale. Nei Paesi che prevedono l’immunità parlamentare, infatti, questa è legata ai reati funzionali commessi nell’esercizio delle proprie funzioni, ovvero ha a che fare con le attività di governo o di Parlamento. Non c’è paese al mondo dove un uomo delle istituzioni possa invocare un’immunità per salvarsi da accuse che lo riguardano come imprenditore privato o privato cittadino, men che meno per fatti avvenuti prima di ricoprire ogni pubblico incarico.

Dispiace che anche i finiani si siano piegati a dare il proprio benestare a questo emendamento, nonostante il Presidente della Camera abbia giocato la propria diversità proprio sui temi inerenti alla legalità e alla giustizia. «Serve riforma della giustizia, ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità» ha dichiarato recentemente Fini. Ad un più attento esame però si comprende che il leader di Futuro e Libertà non è stato incoerente con quanto affermato, perchè questo cosidetto Lodo Alfano Costituzionale [ma di quale Costituzione si sta parlando? Quella della Bielorussia, della Corea del Nord, del Burundi???] non dà l’impressione… dà proprio la certezza che si voglia introdurre una sfacciata ed antidemocratica impunità per il premier!

bossi come berlusconi

bossi come berlusconi

Ieri un politico di primissimo piano ha gridato al complotto della magistratura rossa, colpevole di voler ribaltare il risultato elettorale e quindi di sovvertire la democrazia. Questa volta però non si tratta dell’ennesimo e un pò stantio sproloquio berlusconiano. Le irresponsabili dichiarazioni infatti sono arrivate da Umberto Bossi, che ormai si sovrappone perfettamente al premier anche per la gravità e la stupidità di ciò che afferma. Oggetto del contendere è il riconteggio delle schede alle ultime elezioni regionali in Piemonte, che avevano visto l’attuale Governatore Roberto Cota prevalere sul candidato del centrosinistra per soli 9000 voti. Il Senatur, invece di rimettersi all’operato dei giudici, ha pensato bene di confondere le acque, infischiarsene delle leggi ed aggredire la magistratura, il tutto naturalmente in puro stile Partito dell’Amore: «Non si capisce come faccia la magistratura a ragionare: perchè per la Bresso basta la croce sul partito e per Cota serve la croce sia sul nome del partito sia su quello di Cota? La legge è uguale per tutti, sono cose che è meglio che non avvengano. Non conviene a nessuno che vada così, secondo me neppure alla sinistra anche se capisco che non voglia perdere, ma ha perso e qui non c’è niente da fare».

Bossi sa perfettamente che il punto invece è un altro. Lo scorso luglio il TAR ha decretato l’illegittimità di due liste perchè non si è provveduto a raccogliere le firme necessarie per la presentazione delle liste stesse. Tuttavia, invece di dichiarare nulle tout court tutte le schede riconducibili alle liste in questione, il tribunale ha voluto salvaguardare proprio la volontà dell’elettore leghista, imponendo un riconteggio che stabilisca quanti hanno espresso una preferenza alla sola lista e quanti invece sia alla lista che al candidato presidente. Al fine, cioè, di distinguere fra chi ha crocettato il solo simbolo della lista [voti annullati] e chi ha anche crocettato il nome del candidato [voti validi per Roberto Cota]. Solo chi non ha rispetto per le Istituzioni – ed in questo senso bossi va a braccetto col suo fido alleato berlusconi – può sostenere che in Piemonte la democrazia è a rischio, quando invece il TAR sta muovendosi in modo cristallino ed irreprensibile: se una lista è invalida, non esiste più e i suoi voti sono persi. Fine. Se invece, oltre che la lista, si è indicato anche il candidato, quello è un voto valido. Un concetto semplicissimo persino per le sinapsi non propriamente brillanti dei leghisti, ma in Italia – si sa – paga di più la demagogia ed il becero populismo. Ma non è tutto, esiste anche una terza lista per cui il TAR deve ancora deliberare, per la quale si sostiene che molte firme siano false. Ma per carità, anche in questo caso trattasi di sporco complotto bolscevico!

Pestaggi mediatici

Pestaggi mediatici

L’enorme conflitto di interessi di berlusconi, tycoon dei mass-media ed insieme presidente del consiglio, è il peccato originale da cui deriva la condizione drammatica in cui versa il mondo dell’informazione nel nostro paese. Dopo i recenti casi dell’ex direttore dell’Avvenire Boffo, del giudice Mesiano e del Presidente Fini, è la volta del Presidente di Confindustria a fare le spese di un’informazione brandita come arma di costrizione e ricatto. E non importa se le notizie martellate giorno dopo giorno dai giornali e dalle televisioni di proprietà del premier sono vere, addomesticate o del tutto false. Ciò che conta è fabbricare la quotidiana quantità di fango che serve a screditare ed intimidire chi osa muovere delle critiche a berlusconi. Credo che la vicenda Marcegaglia sia in questo senso emblematica del livello miserevole raggiunto da Il Giornale e certo fa rabbrividire pensare che Feltri e Sallusti siedono oggi sulla stessa poltrona che una volta fu di Montanelli!

In questo contesto si inserisce anche il gravissimo provvedimento disciplinare assunto dal direttore generale della RAI Mauro Masi ai danni di Michele Santoro. La sanzione, da cui ha subito preso le distanze il Presidente Garimberti giudicandola sproporzionata, fa sicuramente parte del disegno berlusconiano di normalizzazione dell’informazione televisiva. Da quando si è insediato a Palazzo Chigi, il Caimano ha promosso un clima di intimidazione nei confronti di alcune trasmissioni sgradite, arrivando persino a fare di persona esplicite pressioni all’AGCOM al fine di ordinare la chiusura di Annozero [fatto che in qualsiasi paese normale avrebbe costretto il premier alle dimissioni]. Oggi la RAI si è di fatto allineata alla fabbrica dei pestaggi mediatici, dando l’ennesima prova di autoritarismo fascista nei confronti della libera informazione.

Buon compleanno John

Buon compleanno John

«Era un ragazzino che sognava di diventare chitarrista. Venne il suo compleanno e come regalo chiese, ovviamente, una chitarra. Era molto bella. Piena di corde, però. Provò timidamente a toccarne una e ne fu respinto. Allora le accarezzò. Emisero un gorgoglio ottuso: niente a che spartire col mondo di suoni che lui si sentiva dentro. “Andrò da un insegnante di musica” disse. Aveva saputo da qualche parte che quando un sogno ti resta incollato addosso significa che non è più un’illusione, ma un segnale che ti sta indicando la tua missione nella vita. Cucinare. Fare calcoli. Riparare orologi. Ciascuno di noi ha la sua e l’errore è credere che una sia più importante dell’altra, solo perché non tutte procurano fama e denaro. Il ragazzino era sicuro che la sua missione fosse tirare fuori dalla pancia tutti quei suoni. Così andò a lezione. Non capì niente. Ci ritornò e fu peggio. “Mi arrendo, il sogno era falso, io non ho talento per la musica”. Nascose la chitarra in un baule e accese la radio. Lo invase un suono semplice, nuovo, pochi accordi ritmati. Alla radio lo chiamavano skiffle, ma era già il rock. Riaprì il baule e provò il primo accordo. Allora capì che per sapere se un sogno era giusto occorreva prima rinnegarlo, affinché la vita te lo restituisse per sempre con una rivelazione improvvisa. Raccontò la sua storia a un amico, che poi l’ha raccontata al mondo intero. Ah, quel ragazzino era John Lennon». [Massimo Gramellini]

In una intervista del 1970, a proposito dello scioglimento dei Beatles, John Lennon ha affermato: «Non butterò via la mia esistenza come ho fatto sinora, vivendo a mille chilometri l’ora. Devo imparare a non farlo, perché non voglio morire a 40 anni». Aveva 40 anni e due mesi nel 1980, quando venne ucciso da un fan squilibrato a New York. La mente dei Beatles attraverso le sue canzoni non ha dimostrato soltanto una geniale sensibilità artistica, ma una visione della vita al tempo stesso riflessiva, utopica e assolutamente realistica. Ci ha insegnato la cosa più importante: ad avere dei sogni e a lottare per essi anche quando tutto intorno a noi è avverso. Ecco perchè in realtà Lennon non è mai morto ed è luce intorno e dentro di noi. Oggi John compie 70 anni. Buon compleanno!