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Categoria: societa

Un altro Natale ai tempi del terrorismo

Un altro Natale ai tempi del terrorismo

Un anno fa a chiusura di un post dal titolo “Natale ai tempi del terrorismo” in cui si prendeva in esame la decisione di un preside di una scuola del milanese di vietare i canti religiosi nel concerto natalizio, a seguito degli attentati del 13 novembre a Parigi, scrivevo: “Uno degli obiettivi primari dei terroristi è quello di instaurare un clima di contrapposizione totale, di odio verso chi è diverso da noi, cerchiamo – una volta tanto – di non aiutarli”. Oggi, dopo una stagione di terribili atti terroristici che hanno insanguinato diverse città in Europa ed in Occidente, oltre che nel resto del mondo, ciò che affermavo allora è diventato ancora più vero. Sono trascorse solo una manciata di ore dall’agghiacciante aggressione di Berlino e già le destre xenofobe e le forze populiste tedesche ed europee levano la voce per attaccare la Merkel e i partiti progressisti del continente per le loro aperture a rifugiati e migranti, diventando di fatto lo strumento più efficace per i fondamentalisti islamici che mirano a cambiare la geografia politica europea, ben sapendo che a breve sia in Francia che in Germania e, probabilmente in Italia, vi saranno le elezioni politiche.

Come consuetudine, a seguito di un attentato terroristico si sprecano le analisi e gli approfondimenti di giornalisti ed esperti politologi. Si ha però la sensazione che si faccia fatica ad afferrare il fenomeno nella sua complessità e che non sempre si sia in grado di far emergere con chiarezza l’intricata ragnatela di motivazioni, interessi e strategie che stanno dietro questo scenario di devastazione. Sicuramente l’attuale tattica del terrore va inquadrata in più ampio e lungimirante contesto strategico, che è quello di un’insurrezione guidata dai gruppi jihadisti che mira a proiettare il proprio raggio di azione dalle regioni occupate in Iraq e Siria, alla sfera globale, specie se nelle prime sta vivendo momenti di grande difficoltà. Sarà tutt’altro che semplice e breve per gli Stati Europei offrire una soluzione a tutto questo, anche perchè tale soluzione dovrà passare necessariamente per la complicatissima ricerca di un equilibrio tra integrazione, libertà e sicurezza, che certo forze politiche come l’AFD, Il Front National, l’UKIP, il Fidesz o la Lega non sono in grado di garantire.

E’ il Cinema che è diventato piccolo

E’ il Cinema che è diventato piccolo

Quo Vado” si avvia a diventare il maggior incasso nella storia del cinema italiano. Come se non bastasse, ai primi 5 posti dell’elenco dei film che hanno guadagnato di più si trovano altri due lavori di Checco Zalone. Ci troviamo di fronte al nuovo Alberto Sordi? Mah… poco probabile. Più verosimilmente non è il comico pugliese ad essere grande… è il nostro Cinema che è diventato piccolo.

Zalone realizza film leggeri e divertenti, calati in un contesto sociale riconoscibile, in cui tutti, chi più chi meno, si possono ritrovare. Conosce bene il nostro Paese ed è abile a mettere alla berlina malcostumi, vizi e debolezze di molti connazionali, senza per questo avere pretese di denunce sociali o di voler far riflettere ad ogni costo, senza cioè dare lezioncine, puntare il dito o salire in cattedra, ma ponendosi unicamente l’obiettivo di divertire. In altri periodi storici questo Cinema avrebbe rappresentato il minimo sindacale, oggi invece – inserito in un panorama asfittico e desolante – non può che svettare. L’ultima generazione di comici degni di questo nome (tutti molto popolari, alcuni grandi altri meno) risale ormai alla fine degli Anni 70 ed oggi è praticamente finita. Troisi ci ha lasciato troppo presto. Nuti sta male da tempo. Benigni non fa più film (comparsata con Woody Allen a parte) da oltre 10 anni. Moretti nell’ultima parte della sua carriera si è allontanato dalla dimensione comica degli inizi. Resta Verdone, dal quale però, per mere questioni anagrafiche, non ci si possono attendere particolari novità. Se la vera alternativa a Zalone si riduce quindi ai Soliti Idioti, a Lillo e Greg, all’ennesimo cinepanettone scandito da scorregge e turpiloqui, a Pieraccioni che ripete lo stesso film da 25 anni, alla solita commediola sentimentale di rara inconsistenza alla Federico Moccia, allora diventa più chiaro come il buon Checco – sorretto perdipiù da uno sforzo produttivo e distributivo straordinario – riesca nell’impresa di sembrare un gigante. Ecco perchè il tweet del Ministro della Cultura che, ringraziando il comico, sostiene che il suo successo fa bene a tutto il Cinema italiano è – nella migliore delle ipotesi – alquanto ingenuo. Un’ industria cinematografica tutt’altro che florida ha bisogno di ben più del successo di uno per potersi riappropriare di una vitalità che – specie sul piano culturale – manca da troppo tempo.

Il Natale ai tempi del terrorismo

Il Natale ai tempi del terrorismo

Il Natale è qualcosa di più di una semplice festa religiosa: fa infatti parte del nostro patrimonio culturale, del nostro più antico e prezioso bagaglio di tradizioni. Non celebra unicamente la nascita del Bambin Gesù, ma anche quei principi come la fratellanza, la solidarietà e la pace, sui quali si fondano le società occidentali. Ecco perchè la decisione del preside della primaria Garofani di Rozzano è una sciocchezza grossolana, specie se presa a seguito dei fatti del 13 novembre. L’integrazione fra il mondo islamico ed il nostro non può certamente passare attraverso la negazione dei valori fondanti della propria identità, per paura di turbare una non meglio precisata sensibilità religiosa di chi proviene da differenti culture.

Detto questo, sarà comunque opportuno interrogarsi su come gestire la materia complessa della diversità religiosa nelle scuole pubbliche (e laiche), in una società che sta sempre più diventando multietnica, senza naturalmente finire a brandire i presepi come arma di propaganda o a trovarsi improvvide parlamentari che intonano “Tu scendi dalle stelle” davanti ai cancelli degli istituti scolastici. La questione è troppo seria ed importante per lasciarla nelle mani di un Salvini o di una Gelmini qualsiasi, o per strumentalizzarla contro gli islamici e i migranti, in uno spirito che è diametralmente opposto a quello “natalizio”. E’ evidente che ciò che un tempo valeva per una società cattolica non può valere più oggi, ma è altrettanto chiaro che non si può cancellare dai programmi scolastici ogni riferimento religioso per timore di offendere qualcuno. E allora, ancora una volta la diversità dev’essere considerata come un’opportunità, una ricchezza, un’ulteriore strumento di conoscenza dentro una società in cui culture differenti devono imparare a convivere in armonia. Uno degli obiettivi primari dei terroristi è quello di instaurare un clima di contrapposizione totale, di odio verso chi è diverso da noi, cerchiamo – una volta tanto – di non aiutarli.

Le aquile della morte

Le aquile della morte

Non furono pochi lo scorso gennaio a ritenere che – in fondo – quelli di Charlie Hebdo se la fossero cercata; come se ammazzare qualcuno perchè responsabile di aver disegnato delle vignette irriverenti fosse in qualche modo spiegabile o persino comprensibile. Chissà cosa penseranno oggi costoro delle 129 persone uccise e delle oltre 300 ferite venerdi notte a Parigi, colpevoli questa volta solo di essere uscite da casa per recarsi in un ristorante, o per assistere ad un concerto rock o ad una partita di calcio. C’è una barbarie cieca ed infame alla base di queste stragi. Folle, vigliacca e fanatica perchè, nascondendosi dietro il nome di Dio, colpisce semplicemente chi è diverso, chi è altro da sè.  Analogamente ai nazisti che diedero vita all’Olocausto sulla base del dominio degli ariani sulle razze inferiori come gli ebrei, gli jihadisti usano la religione come strumento per separare il mondo in due parti: i puri (loro) e i miscredenti (tutti gli altri). Naturalmente chi si trova dalla parte sbagliata va sterminato. Ecco perchè ciò che è successo è una dichiarazione di guerra alla democrazie occidentali, alle libertà e ai diritti acquisiti in decenni di battaglie civili, a cui bisognerà reagire in modo unitario ed implacabile. Lo Stato Islamico si annida  nelle nostre città e si alimenta di un odio inesauribile verso i nostri valori (non ultimi il principio di uguaglianza, il rispetto delle diversità e le libertà di religione e di opinione) arrivando a trucidare senza alcuna pietà persone inermi, nella loro vita quotidiana. L’obiettivo è quello di imporre nel cuore della moderna Europa un regime oscurantista, fondamentalista, violento e sanguinario.

Così Scalfari nel suo editoriale: «Poiché bisogna sgominare l’Is e i suoi capi, qual è la guerra che dobbiamo fare e vincere? Le nazioni aggredite ed i loro alleati debbono scendere sul terreno che sta tra Siria, Iraq e Libia, ma non solo con bombardamenti aerei ma con truppe adeguate. Ci vuole un’alleanza politica e militare che metta insieme tutti i membri della Nato a cominciare dagli Usa e in più i Paesi arabi, la Turchia (che nella Nato c’è già), la Russia e l’Iran. Credo che sia questo il modo di agire nell’immediato futuro. Se non si fa, la nostra guerra con la barbarie terrorista non vincerà. Molto tempo per decidere non c’è. Nel frattempo l’Europa federale dev’essere rapidamente costruita a cominciare dalla difesa comune e dalla politica estera. Sono questi i soli modi per difenderci dal terrore e dalla sua disumanità».

Je suis Charlie

Je suis Charlie

In queste ore se ne sono sentite tante. C’è persino chi ha sostenuto – e neppure l’ultimo degli scribacchini di Roccasecca, ma  il principale quotidiano economico-finanziario del Regno Unito – che Charlie Hebdo se l’è sostanzialmente cercata perchè da anni eccessivamente provocatorio e irrisorio verso i musulmani. Nel suo editoriale di ieri il Financial Times arriva addirittura a definire “stupidità editoriale” l’atteggiamento del settimanale francese nei confronti dell’Islam, sottolineando che “anche se il magazine si ferma poco prima degli insulti veri e propri, non è comunque il più convincente campione della libertà di espressione”. Come se la satira, che proprio nell’irriverenza e nella sfrontatezza trova le sue armi più efficaci, andasse normalizzata in nome di una non meglio definita sensibilità religiosa. Ma chi ammazza senza pietà delle persone perchè responsabili di aver disegnato delle vignette non lo fa mai per difendere il proprio credo, ma semplicemente perchè è espressione di una barbarie cieca ed infame. All’irriverenza la civiltà può rispondere – semmai – con lo sdegno, o ricorrendo alla Magistratura se lo si ritiene necessario. Ma è l’inciviltà che usa i kalashnikov e le bombe.

E non credo nemmeno che si possa definire stupido chi fa della satira. Charlie Hebdo aveva già subito diversi “avvertimenti”. Nel 2011 la sua sede era stata distrutta da un incendio provocato da una bomba molotov. Eppure non si era lasciato intimidire perchè credeva in ciò che faceva. Credeva cioè che l’ironia ed il diritto a ridere di tutto rappresentano proprio quella libertà di pensiero e di opinione su cui si fondano le democrazie occidentali e che il fanatismo mira a sopprimere, perchè inconciliabile con il regime sanguinario, oppressivo, illiberale ed integralista che vorrebbe imporre ovunque. Un regime che uccide in nome di Dio e che è talmente abbietto ed ottuso da non comprendere che ciò equivale a fare di Dio un assassino. Trucidare dei cittadini inermi gridando “Allah è grande” è sacrilego come nessuna vignetta satirica potrà mai essere.

Italia si, Italia no

Italia si, Italia no

Il calcio dei club non mi appassiona. Troppo facile allestire le squadre migliori per chi ha a disposizione più soldi degli altri. Le nazionali invece sono meno sottomesse al dio denaro ed il talento può nuovamente rivestire una dimensione importante. Quest’anno, oltre i soliti leghisti che da sempre si distinguono per sentimenti anti nazionalisti, anche Grillo e Travaglio hanno dichiaratamente tifato contro l’Italia, impegnata nel Campionato Europeo di Calcio, svoltosi recentemente in Polonia ed Ucraina.
 
Le motivazioni? Il leader del M5S, come spesso gli succede, ha messo nel calderone un sacco di cose diverse che poco c’entrano fra loro. Le banche spagnole, Timoshenko, i No Tav, i recenti scandali nel mondo del calcio. Travaglio quantomeno ha circostritto le proprie ragioni al timore – onestamente più che fondato – che i successi della squadra di Prandelli potessero mettere la sordina alle notizie riguardanti lo scandalo scommesse, che peraltro ha coinvolto anche alcuni calciatori della nazionale: «Io vorrei sapere, che si vinca o si perda, cos’è quel milione e mezzo di euro versato da capitan Buffon a un tabaccaio di Parma. Vorrei sapere quali e quanti calciatori coinvolti nell’inchiesta di Cremona per essersi venduti le partite in barba ai tifosi e alla lealtà sportiva, sono colpevoli o innocenti. Nessuna vittoria all’Europeo può cancellare lo scandalo». Indubbiamente un atteggiamento snob, pretestuoso ed antipatico, però come contestarne i motivi?
La cultura popò-lare in Italia

La cultura popò-lare in Italia

Una settimana fa è terminato un Festival di Sanremo all’insegna del trash, seguitissimo da un pubblico giovanile composto soprattutto da adolescenti, i quali hanno portato alla vittoria i loro beniamini. Lo stesso pubblico che al Cinema è accorso in massa per vedere un film come I Soliti Idioti.

L’iraniano Una Separazione ha trionfato nella notte degli Oscar come miglior film straniero. Un lavoro splendido [che consiglio a tutti], che riesce nell’impresa di riflettere sui mali e sulle contraddizioni della società iraniana, attraverso la lente di un piccolo giallo familiare. In Francia, dove – tanto per cominciare – a parità di abitanti si va al Cinema almeno il doppio che da noi, questo film è stato visto da più di 800 mila persone in undici settimane. In Italia, in dodici settimane di programmazione, si sono avuti circa 77 mila spettatori, ossia meno che un decimo dei francesi! Un dato avvilente che dimostra i danni fatti in un ventennio di becera videocrazia, in cui la politica ha sistematicamente mirato a mortificare e banalizzare il lavoro artistico ed intellettuale, ridotto a roba per gente che non ha voglia di faticare. Tanta strada va ancora fatta in questo Paese – drammaticamente indietro rispetto alle società più evolute – per educare alla cultura e all’arte, e per proporre dei modelli alti che possano costituire dei punti di riferimento per i giovani e non solo. La recente vittoria dei fratelli Taviani al prestigioso Festival del Cinema di Berlino, passata perlopiù tra il silenzio dei media [nonostante sia la prima affermazione italiana dopo ben 11 anni], è un altro eclatante esempio di come qui da noi la cultura non faccia alcuna notizia, diversamente dalla farfalla di Belen.

Come può uno scoglio arginare il mare?

Come può uno scoglio arginare il mare?

C’è una notizia che da una settimana apre tutti i telegiornali e campeggia dalle prime pagine dei quotidiani: il naufragio della Costa Concordia. Certo, in un Paese in cui fino a pochi giorni fa ad affondare erano soltanto i barconi dei migranti, vedere colare a picco una nave da crociera con più di 4ooo passeggeri ha dell’incredibile. Ma ciò che più ha colpito l’immaginario nazionale è la figura del Comandante Schettino ed in particolare la sua esplosiva telefonata con il Capitano De Falco della Capitaneria di porto di Livorno. Quel «Torni a bordo, cazzo» rivolto da quest’ultimo al Comandante della Concordia – il quale attinge a piene mani al solito scusario dell’italietta berlusconiana per giustificare l’incidente prima e la sua repentina fuga poi – è diventato il manifesto di quegli italiani che vorrebbero chiudere per sempre con i tanti cialtroni che rivestono, senza meritarlo, un posto di comando. In un Paese in cui non è mai colpa tua, in cui splendide case vista Colosseo ti vengono intestate senza che tu ne sappia niente, e dove – se una nave affonda – è colpa di uno scoglio che stava lì ad insaputa tua e delle carte nautiche, uno come De Falco, che si è limitato a fare il proprio lavoro con coscienza e scrupolo, pare davvero un supereroe con mantello e calzamaglia.

E così, grazie allo sciagurato Schettino e alla fin troppo facile e schematica riconducibilità della sua figura ad un Italia priva di responsabilità e coraggio, una terribile tragedia è diventata un farsesco evento metaforico, un reality show a puntate sul Titanic nostrano che ha coinvolto media e social network. Naturalmente con tanto di stuoli di esperti che rilasciano pareri tecnici, plastici a Porta a Porta, gruppi su Facebook, rimandi a Love Boat e pruriginose interviste a ballerine moldave.

Alluvione!

Alluvione!

Sono morte 6 persone. Due bimbe e 4 donne. Tre di quest’ultime erano uscite per recuperare i figli e i fratellini a scuola. A poche ore dall’alluvione che ha messo in ginocchio la mia città, infuria la polemica nei confronti del Sindaco e dei suoi collaboratori, i quali, nonostante l’allerta fosse stata diramata già da diversi giorni, non hanno provveduto a proteggere la città in modo più opportuno. Non si comprende perchè, ad esempio, non si sia disposta la chiusura delle scuole. Il Primo Cittadino Marta Vincenzi ha rigettato ogni accusa, con dichiarazioni quantomeno discutibili: «La scelta di mandare i bambini a scuola è stata provvidenziale, immaginate cosa sarebbero stati 40mila bambini portati in macchina dai nonni, dai parenti o dagli amici in giro per la citta’ durante l’alluvione. Il preallarme è stato dato agli amministratori di condominio già a luglio 2011: sapevano che nelle zone esondabili, tra cui quella del Fereggiano, non ci si doveva muovere in caso di allerta meteo». Facile comprendere come, dopo affermazioni del genere, il Sindaco sia stato duramente contestato.

Gli esperti sottolineano che, a causa del cambiamento climatico in atto, fenomeni meteo così estremi sono ormai sempre più frequenti. Per questo motivo diventano fondamentali una politica di forte contrasto dell’abusivismo edilizio, e – naturalmente – operazioni più ordinarie di pulizia dell’alveo dei fiumi e di manutenzione dei tombini. Dopo due terribili disastri nell’arco di 10 giorni, la rabbia è tanta ed ora diventa necessario capire – come auspica il Presidente Napolitano – quali siano state le cause.

Perchè questa volta è diverso

Perchè questa volta è diverso

In questi giorni si è ricordato più volte come berlusconi sia stato dato per morto già in varie occasioni, salvo poi riuscire puntualmente a risorgere. Ma perchè questa volta è diverso? E’ vero. berlusconi ha già subito sconfitte politiche, ma questa dell’accoppiata amministrative/referendum non è tanto [o comunque non è solo] una sconfitta politica, quanto piuttosto culturale. Si ha infatti la sensazione che a fronte della debacle della maggioranza, non corrisponda semplicemente una vittoria dell’opposizione. Si percepisce invece un vento nuovo che attraversa la pubblica opinione, specie per quel che riguarda la sua componente più giovane. C’è la voglia di riappropriarsi dal basso di una politica che questa classe politica ha brutalmente saccheggiato, per perseguire interessi personali o di casta.

Il berlusconismo si è sempre fondato – fra le altre cose – sul soffocante controllo dell’informazione, quella televisiva in particolare. Ma nell’Italia del 2011, che ha dimostrato di essere molto cambiata rispetto a quella degli Anni 90 e degli Anni Zero, questo non basta più. Le amministrative e i referendum sono state infatti le prime consultazioni vinte anche grazie alla Rete. Un media non addomesticabile dall’alto, altamente interattivo e dinamico, che berlusconi non conosce per nulla e che lo ha reso d’un tratto vecchio e superato. C’è insomma un nuovo e fervido substrato culturale che dovrebbe fare da viatico per una vittoria anche alle prossime elezioni politiche. Per passare all’incasso, all’opposizione resta soltanto il compito di presentarcisi coesa e credibile. Altrove sarebbe cosa da poco. In Italia non lo è affatto.