Sfogliato da
Categoria: grillo

Più di una consonante

Più di una consonante

Grillo ha sempre sostenuto che tutti i partiti sono uguali. L’unica differenza fra il pd e il pdmenoelle – come li definisce lui – sta in una consonante che in un caso c’è e nell’altro manca. Se ne consegue che Grasso e Schifani siano due figure perfettamente sovrapponibili e che la storia personale del ex procuratore antimafia sia assimilabile a quella del vecchio avvocato di berlusconi, accusato – detto per inciso – di concorso esterno in associazione mafiosa. Fortunatamente ieri qualcuno fra i suoi senatori non deve averla pensata allo stesso modo e così – contravvenendo all’ordine di scuderia – ha dato il proprio voto al candidato del PD, provocando una spaccatura all’interno del Movimento e una scomposta reazione da parte del santone del vaffanculo.

Ancora una volta Grillo ha attaccato le fondamenta della democrazia parlamentare, affermando che «nella votazione di oggi per la presidenza del Senato è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso» e spingendosi di fatto a chiedere le dimissioni dei disobbedienti. Negli ordini liberali l’eletto non è un automa teleguidato, nè un semplice mandatario dei propri elettori. Secondo la nostra Costituzione, esercita le sue funzioni senza alcun vincolo, in piena libertà. Ma evidentemente questo aspetto costituisce solo un intralcio per chi vorrebbe che il proprio movimento fosse un esercito di marionette. In questi ultimi giorni però, prima presso l’elettorato pentastellato – che in maggioranza chiede un’assunzione di responsabilità nei confronti di un governo del centrosinistra – e poi anche fra alcuni eletti, sta facendosi largo un idea più democratica di quella del proprio padre padrone. Un’idea che preveda che si possa votare secondo la propria coscienza e non sulla base di direttive, o chiedendo il permesso a dei capi bastone. Un’idea che contempli persino la possibilità che fra pd e pdmenoelle ci sia ben più di una consonante di differenza. 

Populisti d’Italia

Populisti d’Italia

Viviamo in un Paese in cui il leader di un partito si dimette per aver detto una bugia circa un master, in realtà mai conseguito. Invece il leader di un altro partito, condannato a 4 anni per frode fiscale non solo non si dimette, ma viene addirittura premiato col 30% dei voti. Oggi a questa condanna se n’è aggiunta un’altra di un un anno, per aver fatto pubblicare su Il Giornale un’intercettazione coperta da segreto istruttorio al fine di danneggiare un avversario politico. Uno scandalo che sarebbe gravissimo ovunque tranne che qui. Ed infatti dubito che in Italia cambierà qualcosa nei consensi di cui ancora gode berlusconi. Si è visto che parte dell’elettorato vota come gli ultras tifano per una squadra di calcio, in modo brutalmente emotivo ed integralista. Sempre di oggi è la reazione scomposta di Grillo al trattamento ricevuto da stampa e TV. Il comico genovese in realtà fa suo un vecchio e glorioso cavallo di battaglia berlusconiano, per cui la libera informazione diventa propaganda faziosa o attacco deliberato [e persino prezzolato] nel momento in cui semplicemente fa il suo mestiere, ossia muove delle osservazioni. Evidentemente, proprio come il Cavaliere, Grillo vorrebbe un sistema informativo ossequioso e prono. E in ultimo – in un irrefrenabile slancio di responsabilità politica – afferma: «Voglio il 100% del Parlamento. O noi o la violenza per le strade».
 
Parlare di questi due pagliacci – così come sono stati definiti dalla stampa internazionale – significa passare da chi ha governato per quasi 20 anni anteponendo i propri interessi a quelli del Paese, a chi invece gli interessi del Paese vorrebbe sfasciarli del tutto. Quanti di coloro che hanno votato Grillo sanno che senza i partiti – che il santone del vaffanculo vorrebbe abbattere – non esiste alcuna democrazia? E che il modello democratico che si vorrebbe instaurare, se privo di bilanciamenti e controlli significa anarchia autoritaria? Quanti hanno compreso che la freschezza rappresentata dai parlamentari grillini, senza esperienza, competenza ed autonomia significa caos istituzionale? Forse faranno sorridere le dichiarazioni del sommelier che, in quanto tale, vorrebbe lavorare per migliorare l’agricoltura, o dell’altro deputato grillino che rivela il complotto dei microchip impiantati sotto pelle, però bisognerebbe prima di tutto capire che nuovo non vuol dire necessariamente migliore e che politica non è sinonimo di furto, come invece si vorrebbe far credere.
Grillocrazia

Grillocrazia

L’obiettivo di Beppe Grillo è quello di destabilizzare l’intero sistema politico istituzionale, come lascia intendere lui stesso nel libro scritto a più mani con Casaleggio e Dario Fo: «Noi vorremmo che i partiti scomparissero radicalmente, che ci fossero nuove regole di comunità anche in Parlamento. Lo so, molti potrebbero domandare, “Ma in Parlamento se non ci sono i partiti chi ci sarà? Come può esistere un Parlamento senza i partiti?” Nel Parlamento ci saranno i comitati, i movimenti e la società civile». Grillo però si dimentica il piccolo particolare che senza i partiti non esiste alcun esempio di democrazia al mondo. Si dimentica inoltre che, a fronte di questo richiamo alla democrazia diretta, utopistico e fumoso [non si sa come tale nuovo modello democratico dovrebbe funzionare, con quali meccanismi, quali poteri di controllo, quali bilanciamenti, quali istituzioni], lui è il leader monocratico di un movimento senza uno straccio di statuto, che censura ogni voce dissenziente, pieno di dilettanti allo sbaraglio, e con un marchio di cui egli stesso è l’unico proprietario. Quindi, mentre un Paese allo sbando aspetta una sua improbabile assunzione di responsabilità che lo conduca ad un accordo con uno di quegli inutili partiti che vorrebbe spazzare via, finendo – dal suo punto di vista – col cedere a quel sistema che in realtà vorrebbe abbattere, faccio mie alcune riflessioni di Massimo Gramellini.

Si inizia con la considerazione di come il linguaggio di Grillo sia espressione diretta del ventennio che ha visto prosperare messaggi politici come quelli di Bossi e berlusconi «Anticipando il probabile duello finale dei prossimi mesi, Grillo ha attaccato Renzi dandogli della “faccia come il c.” (in comproprietà con Bersani) e del politico di professione. Per lui e per una parte dei suoi elettori le due definizioni sono sinonimi. Tralascio ogni giudizio sull’uso del turpiloquio, uno dei tanti lasciti di questo ventennio che ancora prima delle tasche ci ha immiserito i cuori, portandoci a considerare normale e persino simpatico che un leader politico si esprima come un energumeno». Per poi sottolineare la grande mistificazione della campagna elettorale del M5S, che – cavalcando e alimentando la rabbia e la sfiducia per la classe politica – ha indotto a pensare che tutti i politici siano egualmente dei ladri e che Bersani sia sovrapponibile a berlusconi, con buona pace delle tante leggi ad personam, dei bunga bunga, delle culone inchiavabili, delle ville a Lampedusa, delle case acquistate ad insaputa del proprietario, delle forza gnocche, dei baciamani a dittatori sanguinari, dei ristoranti pieni, dei tumori sconfitti in 3 anni, dei legittimi impedimenti, dei processi brevi, degli avvocati Mills, delle condanne per frode fiscale, dei senatori accusati di mafia, di quelli comperati per 3 milioni di euro e via così: «Gli elettori hanno avuto la percezione che tutti i politici fossero uguali a Fiorito o a Scilipoti e che chiunque potesse fare meglio di loro. Ma non è così. Il “chiunquismo” è una malattia anche peggiore del qualunquismo e porta le società all’autodistruzione. Questa idea che tutti possono fare politica, scrivere articoli di giornale, gestire un’azienda o allenare una squadra di calcio è una battuta da bar che purtroppo è uscita dai bar per invaderci la vita e devastarcela. A furia di vedere buffoni e mediocri nelle foto di gruppo della classe dirigente, ma soprattutto di vedere ovunque umiliata la meritocrazia a vantaggio della raccomandazione, siamo sprofondati in un’abulia che ci ha indotti ad accettare senza battere ciglio ogni sopruso e ogni abuso antidemocratico, a cominciare dai partiti padronali e da una oscura rockstar del capitalismo come presidente del Consiglio. E ora che ci siamo svegliati, per reazione vorremmo buttare tutto all’aria, convinti che per fare politica bastino un ideale e una fedina penale intonsa. Non è vero. Gli ideali e l’onestà sono la base per distinguere i buoni leader dai cialtroni che ci hanno ridotto in questo stato».

Siamo ingovernabili

Siamo ingovernabili

«E’ chiaro che gli italiani respingono l’austerità» titola il Wall Street Journal. «Gli italiani dicono basta all’austerità. I messaggi populisti e anti-establishment conquistano gli elettori» sintetizza il Financial Times. Ed in effetti le elezioni sono state vinte dal rimborso dell’IMU, dal reddito di cittadinanza, dalla salvifica uscita dall’Euro e da un sonoro vaffanculo a tutti, senza alcuna distinzione. Chi – come berlusconi e Grillo – hanno cavalcato il malcontento per una politica di rigore e la sfiducia verso la classe politica, riscuotono un successo inaspettato. Coloro che – più seriamente, come Bersani e Monti – non hanno nascosto all’elettorato la necessità di sacrifici per uscire dalla crisi economica, ottengono un risultato inferiore alle attese, che nel caso di Casini e Fini è davvero umiliante. E’ un voto di pancia quello che delineano queste elezioni. Un voto che si alimenta di bugie, di promesse irrealizzabili, di bassi espedienti, di retorica da “Bar dello Sport”, di insulti gratuiti, di violenza verbale. Un voto che rincorre il radicalismo presente nel malessere sociale e nella rabbia anticasta nel caso di Grillo, e che vive della seduzione mediatica e del colpo ad effetto nel caso di berlusconi. Protagonisti entrambi di una proposta demagogica che attrae consensi ma che non può produrre alcuna stabilità governativa, e che giustamente sta creando forti preoccupazioni presso gli osservatori internazionali.
 
Quanto al Partito Democratico, ha sbagliato prima di tutto a non imporre una nuova legge elettorale, quando aveva la possibilità di farlo. Una legge che non consegnasse il Paese ad una drammatica situazione di ingovernabilità, come invece è accaduto. Secondariamente non ha saputo intercettare quel forte bisogno di rinnovamento che arrivava dalla pubblica opinione. Un’opzione che al momento diventa improcrastinabile. Ed ora? Ed ora rischiamo che il peggio debba ancora venire.
Un vaffa liberatorio

Un vaffa liberatorio

Questo Paese è unico al mondo. Da nessun’altra parte infatti sarebbe possibile presentarsi alle elezioni politiche evitando di rispondere a qualsiasi domanda, e limitandosi invece a fare comizi privi di contradditorio. Quant’è facile in Italia cavalcare il malcontento nazionale, urlando che sono tutti dei ladri, senza proporre alcuna reale formula di Governo. Ma il programma? Si chiederà qualcuno. I punti principali sono all’insegna della vaghezza e della superficialità. Contano di più le demagogiche promesse come quella di istituire un reddito di cittadinanza, le richieste di chiusura di TG e reti nazionali colpevoli di aver sollevato questioni scomode, le affermazioni scomposte come quella di uscire dall’Euro, le pericolose aperture a movimenti come Casa Pound, la strategia del vittimismo, le estromissioni degli attivisti che la pensano diversamente dal leader, le offese e le contumelie ad avversari politici ed istituzioni. La violenza verbale è la cifra del populismo grillino, la stessa che ha segnato il successo elettorale di forze come la Lega, avvezze da sempre a parlare alla pancia della gente con slogan da Bar dello Sport.

Gli Italiani, specie nei momenti di grave crisi politica, sono soggetti a farsi incantare da personaggi che, sfruttando il clima di protesta, portano avanti la più logora delle banalità politiche, ossia la diversità da tutti gli altri partiti, esattamente come berlusconi e Bossi fecero nei primi anni ’90. Del resto anche il Movimento 5 Stelle, come Forza Italia e la Lega di 20 anni fa, è una forza leaderistica che poggia soltanto sul carisma del proprio portavoce, al di là del quale c’è il vuoto. Un vuoto che non è nè di destra nè di sinistra, ma che rappresenta unicamente il bisogno di protestare e distruggere tutto quanto con un grande vaffanculo liberatorio.

Grillo e la TV

Grillo e la TV

Condivido quanto scritto da Eugenio Scalfari a proposito del rapporto fra Grillo e la televisione. «Grillo non vuole andare in tv perché sarebbe costretto a confrontarsi e a rispondere a domande e non vuole. Vuole soltanto monologare e se un giornalista lo insegue lo copre di contumelie. Quindi fugge dalla televisione ma le televisioni lo inseguono, lo riprendono, lo trasmettono. Conclusione: Beppe Grillo gode d’una posizione mediatica incomparabilmente superiore a quella di qualunque altro leader politico. Una posizione che non gli costa nulla e gli garantisce un ascolto che si ripete fino al prossimo comizio del quale sarà lui a decidere il giorno, l’ora e il luogo. In Sicilia il suo candidato ha avuto il 18 per cento dei voti e il suo Movimento il 14. I sondaggi successivi al voto siciliano lo collocano attorno al 22 per cento. Quale sia il programma del M5S resta un mistero salvo che vuole mandare tutti i politici di qualunque partito a casa o meglio ancora in galera perché “cazzo, hanno rubato tutti, sono tutti ladri”.»
 
La recente partecipazione dell’attivista del M5S Federica Salsi a Ballarò e la conseguente durissima scomunica dell’ex comico genovese ha riacceso il dibattito sulla democrazia interna del Movimento. In precedenza il veto a presenziare tribune televisive veniva giustificato con l’inesperienza degli esponenti del M5S che, secondo Grillo, sarebbero usciti con le ossa rotta dal confronto con conduttori e avversari politici molto più avvezzi ai vari talk show.  Adesso, forse resosi conto della risibilità di tale argomentazione, Grillo ha cambiato rotta, sentenziando che chi si reca a tali trasmissioni lo farebbe soltanto per soddisfare il proprio bisogno ad esibirsi e la propria vanità. Fatto sta che diventa sempre più esplosiva la contraddizione di chi vorrebbe promuovere la democrazia diretta nel Paese, ma che ha ridotto il proprio Movimento ad un contenitore dove tutti sono uguali, ma dove lui è più uguale degli altri.

 

Fascista anzichenò

Fascista anzichenò

Per favore non mi si venga più a dire che Grillo è solo il portavoce del suo movimento. I Cinque Stelle sono una struttura estremamente gerarchizzata, dove le voci fuori dal coro vengono immancabilmente fatte fuori e dove i vari esponenti, se non fosse per il comico genovese, verrebbero votati soltanto dai propri parenti. E comunque Bersani ha ragione: Grillo è un fascista. Come altro definire un leader di un partito che rifiuta ogni confronto con gli avversari politici? Non esiste un precedente nel mondo occidentale in cui il capo di una forza politica decida di non partecipare ad alcun dibattito pubblico o di non utilizzare la televisione per spiegare le proprie posizioni presso il maggior numero di persone possibile.
 
Ho sempre guardato con estrema diffidenza i partiti che si rivolgono ad un sottoinsieme di persone. Come la Lega Nord rispetto ai settentrionali, il M5S guarda solo ad un target composto esclusivamente da chi sa usare la Rete per informarsi. E la casalinga di Abbiate Grasso? Ed il pensionato di Pizzo Calabro? Evidentemente non interessano. Come gli extracomunitari per Bossi, vadano fora dai ball. Meglio fare politica solo attraverso un blog, dove si può restare nell’ambito generico del comizio, dei facili slogan e degli insulti gratuiti, senza alcun contradditorio e senza essere costretti a spiegare davvero come si intende risolvere i mille problemi di questo Paese. C’è qualcosa di razzista nel posizione di Grillo, qualcosa di fascista. Non a caso, anche Severgnini in un suo recente articolo pubblicato sul Financial Times lo ha paragonato a Mussolini: «Agli italiani “piace essere drammaticamente governati”, ha scritto l’ambasciata americana al Dipartimento di Stato nel 1920. Allora, lo showman era più scuro, la figura più pericolosa: Benito Mussolini. Quando i tempi sono duri, le democrazie sono tentate da facili soluzioni formulate dai leader istrionici. Ovviamente, le tattiche e gli strumenti sono cambiati. In principio, era un palco e un campo in una piazza, poi radio e film, poi tv, e ora è internet. Potremmo chiamarlo populismo 2.0.»
Italia si, Italia no

Italia si, Italia no

Il calcio dei club non mi appassiona. Troppo facile allestire le squadre migliori per chi ha a disposizione più soldi degli altri. Le nazionali invece sono meno sottomesse al dio denaro ed il talento può nuovamente rivestire una dimensione importante. Quest’anno, oltre i soliti leghisti che da sempre si distinguono per sentimenti anti nazionalisti, anche Grillo e Travaglio hanno dichiaratamente tifato contro l’Italia, impegnata nel Campionato Europeo di Calcio, svoltosi recentemente in Polonia ed Ucraina.
 
Le motivazioni? Il leader del M5S, come spesso gli succede, ha messo nel calderone un sacco di cose diverse che poco c’entrano fra loro. Le banche spagnole, Timoshenko, i No Tav, i recenti scandali nel mondo del calcio. Travaglio quantomeno ha circostritto le proprie ragioni al timore – onestamente più che fondato – che i successi della squadra di Prandelli potessero mettere la sordina alle notizie riguardanti lo scandalo scommesse, che peraltro ha coinvolto anche alcuni calciatori della nazionale: «Io vorrei sapere, che si vinca o si perda, cos’è quel milione e mezzo di euro versato da capitan Buffon a un tabaccaio di Parma. Vorrei sapere quali e quanti calciatori coinvolti nell’inchiesta di Cremona per essersi venduti le partite in barba ai tifosi e alla lealtà sportiva, sono colpevoli o innocenti. Nessuna vittoria all’Europeo può cancellare lo scandalo». Indubbiamente un atteggiamento snob, pretestuoso ed antipatico, però come contestarne i motivi?
Grillusconi!

Grillusconi!

Le elezioni comunali di domenica ci consegnano uno scenario politico del tutto rinnovato. Il PdL evapora letteralmente e la Lega subisce una sonora batosta. Il PD tiene, ma non trae alcun beneficio dalla clamorosa debacle del centrodestra. Segno inequivocabile che se Bersani ha intenzione di vincere le prossime politiche deve inventarsi  qualcosa di diverso rispetto a quanto fatto sinora. Come ad esempio stringere una salda alleanza a sinistra. Dove infatti i democratici si son presentati insieme a SeL e/o IdV hanno sempre vinto. Ma Fassino, intervistato l’altra sera a Ballarò, ha dato l’impressione che l’unione con Vendola e Di Pietro sia tutt’altro che scontata.

Scontato invece è che l’unico a guadagnare da questa situazione sia stato il Movimento 5 Stelle. A fronte di una crisi economica internazionale ed un forte disagio dei nostri partiti tradizionali, il voto si è radicalizzato e – come già successo in altri Paesi europei – si è premiato un partito di rottura. Il punto è che il movimento di Grillo rompe prima di tutto con la democrazia. Preoccupanti infatti sono i numerosi aspetti che il comico genovese condivide con l’ex premier. Grillo come berlusconi rifugge da qualsiasi confronto pubblico, non ama le interviste e le poche che concede sono monologhi privi di un vero contradditorio. Come berlusconi ed i suoi media, dipinge i politici come tutti uguali e punta esclusivamente alla pancia della gente. Come il PdL, il Movimento 5 Stelle è emanazione diretta della personalità del suo creatore ed è talmente gerarchizzato che ogni voce in conflitto con quella del leader viene spenta autoritariamente. Grillo, ancora come l’ex premier, ha fatto di un strumento di comunicazione di massa la persuasiva gran cassa del suo impegno politico, la Rete per lui, la TV per berlusconi. Nel più puro stile del presidente del PdL, Grillo non si fa scrupolo di attaccare violentemente le istituzioni, qualora queste osino esprimere una posizione critica nei suoi confronti. Così recentemente Vendola su questa somiglianza: «Tra il 92 e il 94 era apparso questo uomo nuovo, Berlusconi», che «vinse in nome dell’antipolitica, perseguendo un consenso aggressivo, con un populismo disinvolto e come alternativo al fango istituzionalizzato». E il Movimento 5 Stelle, secondo il leader di SeL, «usa forme tipiche del populismo di destra, tanto da avere persino tratti xenofobi e omofobi».

In preda alla paralisi

In preda alla paralisi

Nella Prima Repubblica esistevano le ideologie. La politica proponeva idee contrapposte che stavano alla base di uno scontro d’opinione che, per quanto aspro, si manteneva nell’ambito del rispetto e della legittimazione reciproca. La Seconda Repubblica invece si fonda su una grande mistificazione, che è  evidente a partire dal “primo discorso” di berlusconi nel gennaio del 1994: «I principi in cui noi crediamo non sono principi astrusi, non sono ideologie complicate; no, sono i valori fondamentali di tutte le grandi democrazie occidentali. Noi crediamo nella libertà, in tutte le sue forme, molteplici e vitali: libertà di pensiero e di opinione, libertà di espressione, libertà di culto, di tutti i culti, libertà di associazione; crediamo nella libertà di impresa, nella libertà di mercato, regolata da norme certe, chiare e uguali per tutti. […] C’è un pericolo per il Paese. Io credo che questa decisione noi, tutti noi, l’abbiamo assunta certo guardando ai pericoli che si venivano profilando, ma la ragione forse ci avrebbe invitato a continuare a preoccuparci del nostro particolare, della nostra famiglia, delle nostre aziende, del nostro mestiere, delle nostre professioni. Abbiamo deciso invece di dare una risposta diversa, perché abbiamo sentito che si profilava un pericolo: la possibilità che il nostro Paese fosse governato da una minoranza, da una minoranza che conosciamo bene, che ci avrebbe inflitto un futuro soffocante e illiberale». Le ideologie non esistono più. Esiste solo la libertà, messa in discussione da una parte del Paese. Si scende in politica non tanto per proprio senso civico [la politica è fatica: meglio sarebbe restare a casa o a lavoro], quanto piuttosto per fronteggiare un nemico illiberale. E’ la battaglia del bene contro il male, che non prevede un confronto fra idee politiche differenti, ma una deligittimazione di chi la pensa diversamente, fin da subito rappresentato come un nemico da abbattere. Con questa sorta di “chiamata alle armi” berlusconi maschera i reali motivi che lo hanno portato a fondare “Forza Italia”. E’ questo il peccato originale da cui ne derivano molti altri, che insieme hanno poi condotto il nostro Paese, nel corso di questi ultimi 15 anni, alle drammatiche condizioni di oggi. «L’Italia è in preda alla paralisi. Bisogna ritrovare senso della dignità e del rispetto delle istituzioni» ha dichiarato Emma Marcegaglia solo due giorni fa.

Quelle parole del 1994 costituiscono il brodo di coltura che ha sostanzialmente spaccato il Paese su un piano culturale molto prima che politico. Da una parte chi ha da subito riconosciuto e sconfessato la mistificazione berlusconiana, e dall’altra coloro che si sono lasciati ingannare o che – nella peggiore delle ipotesi – pur avendo smascherato il gioco del Cavaliere si sono identificati nella sua figura. Come del resto scrivono in queste ore sia Beppe Grillo nel suo blog: «In un qualunque altro Stato occidentale sarebbe stato condannato per Mills, non avrebbe il monopolio televisivo, sarebbe stato fatto a pezzi dalla pubblica opinione per la sua frequentazione con dei mafiosi come Mangano o condannati in secondo grado come Dell’Utri. In nessuno Stato, neppure in Libia o in Russia, sarebbe potuto diventare presidente del Consiglio. Solo l’Italia poteva permettersi uno come lo psiconano. E’ lo specchio di una parte del Paese che vorrebbe trombarsi le minorenni (e se le tromba), vorrebbe evadere il fisco (e lo evade), vorrebbe violare le leggi (e le viola)», sia Eugenio Scalfari su Repubblica: «Berlusconi possiede l’indubbia e perversa capacità di aver evocato gli istinti peggiori del paese. I vizi latenti sono emersi in superficie ed hanno inquinato l’intera società nazionale ricacciando nel fondo la nostra parte migliore. È stato messo in moto un vero e proprio processo di diseducazione di massa che dura da trent’anni avvalendosi delle moderne tecnologie della comunicazione e deturpando la mentalità delle persone e il funzionamento delle istituzioni».