Sfogliato da
Categoria: newman

Paul Newman. Una vita.

Paul Newman. Una vita.

«Non c’e’ nient’altro che ti fa sentire di più come un pezzo di carne. E’ come dire a una donna: apri la camicia, voglio vedere le tue tette». Così Paul Newman parlava dell’ossessione dei suoi fan circa i suoi famosi occhi blu. Ma la citazione descrive anche come una delle più grandi star dello scorso secolo, eccezionale pilota di auto da corsa, imprenditore di successo e grande filantropo, soffrisse gli eccessi del divismo. Paul Newman: Una vita, la biografia del critico cinematografico Shawn Levy uscita in Italia lo scorso dicembre, racconta con grande dovizia di particolari la storia di un uomo che con straordinaria tenacia riuscì nell’impresa di diventare una delle star più amate del Cinema, mantenendo però il proprio amore per una vita riservata e schiva. E forse è proprio lontano dai clamori del suo lavoro che Newman trovò il senso dell’esistenza: in Connecticut con la moglie e sei figli, negli autodromi, nel proprio attivismo civile, nei campeggi da lui fondati per i bambini malati terminali e, relativamente tardi nella vita, in un business alimentare che in 30 anni gli diede modo di devolvere in beneficienza più di 300 milioni di dollari!  Una persona semplice e al tempo stesso complessa, dotata di un enorme fascino e di un innegabile talento, che sul grande schermo si impose come il perfetto antieroe moderno, affinando film dopo film la propria recitazione, migliorandola costantemente e mantenendola sempre al passo con i tempi, fino a conquistare nel 1985 un meritatissimo Oscar alla carriera, e l’anno successivo la prima statuetta per la migliore interpretazione, dopo una serie di ben 10 nominations.

Una biografia che non nasconde i problemi dell’attore con l’alcol ed il rapporto difficile con il figlio maggiore, morto per overdose all’età di 28 anni, ma che consegna a chi la legge la lezione di un uomo che non ha mai smesso di raccogliere nuove sfide e di misurarsi su terreni diversi con coraggio ed umiltà. Un uomo che ha fatto del proprio impegno sociale ed umanitario un tratto distintivo, assicurandosi di dividere generosamente con gli altri ogni eccesso di denaro che nel corso del tempo si era ritrovato in mano. «Ciò che vorrei davvero scritto nella mia tomba», disse una volta, «è che sono stato parte della mia epoca». E lo è stato davvero.

Newman. Un segno che non morirà mai.

Newman. Un segno che non morirà mai.

Ogni qualvolta penso a Paul Newman, scomparso il 26 settembre di un anno fa, mi torna alla mente la scena finale di Butch Cassidy. Lui e Redford sono assediati dall’esercito boliviano. I nemici sono mille e loro soltanto in due. Hanno quasi finito le munizioni. Sono feriti. Non hanno via di scampo. Si guardano negli occhi e, senza aggiungere altro, si lanciano di getto fuori dalla casupola dov’erano asserragliati, sparando all’impazzata.

Il film termina proprio così, senza mostrare lo scempio dei loro corpi crivellati di proiettili. Su un fermo immagine che li sottrae alla morte, consentendo ad ognuno di noi di fantasticare una fine alternativa a quella che il destino aveva previsto. Una fine che va oltre la ragione, sospesa anch’essa dal “freeze frame”, per esprimersi piuttosto su un piano di emozione e cuore: una miracolosa vittoria nello scontro finale, con forse una fuga verso l’Australia alla ricerca di nuove avventure. Una fine quindi che, proprio perchè immaginaria ed immaginifica, li colloca di fatto dalle parti del mito. La stessa mitologia che si raffigura tutte le volte che rivediamo un film di Paul Newman, il quale – come tutti i più grandi attori – è un segno che non morirà mai. Trattenuto da un fermo immagine che lo imprime nella memoria collettiva. Oggi e per sempre.