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Preferisco vivere nel mio appartamento

Preferisco vivere nel mio appartamento

Circa un quarto di secolo fa, terminavo i miei anni teen cercando invano di scollare il mio naso dallo schermo televisivo ogni qualvolta Farrah Fawcett entrava in scena in un episodio delle Charlie’s Angels, oppure provando ad abbozzare, con ancor meno successo, una delle più semplici mosse di danza di Michael Jackson, mentre sul piatto del mio stereo Thriller girava senza soluzione di continuità. Non esistevano i DVD, le serie televisive non si potevano scaricare dalla Rete [a dirla tutta non c’era neppure la Rete] e le canzoni erano ancora qualcosa di “fisico”, inciso in una musicassetta o su un disco di vinile. I cellulari erano soltanto dei furgoni in dotazione alla Polizia Penitenziaria per il trasporto dei detenuti, e se in automobile ci si perdeva, tutto quel che si poteva fare era chiedere informazioni ad un passante o dispiegare una cartina formato lenzuolo. La malattia e la morte erano concetti non così definiti, e si aveva la sensazione che le cose non dovessero mai conoscere una fine reale.
 
Capita poi, per quei bizzarri scherzi del destino, che, lo stesso giorno, 25 anni dopo, due icone di allora perdano la vita. E così [non per la prima volta in verità, per quanto mi riguarda] si comprende che il tempo scorre volgare ed inesorabile, e non fa sconti a nessuno, divi compresi. E’ vero, potremo ascoltare la musica di Michael Jackson per sempre, così come ancora non ci siamo stancati di assaporare i film di Marilyn o le canzoni di Presley, ma non è esattamente la stessa cosa. Perchè penso che tutto sommato abbia ragione Woody Allen quando dice «Non voglio raggiungere l’immortalità attraverso le mie opere, voglio raggiungerla vivendo per sempre. Non mi interessa vivere nel cuore della gente, preferisco vivere nel mio appartamento».
 
Come Peter Pan

Come Peter Pan

Il 29 maggio 1988 andai a vederlo allo Stadio Comunale di Torino. Lo spettacolo fu grandioso, in pieno stile hollywoodiano, e lui si dimostrò un performer formidabile. Allora Michael Jackson era all’apice della notorietà. La sua carriera solista, iniziata 9 anni prima, vedeva all’attivo due album straordinari come Off the wall e Thriller, in cui, grazie alla collaborazione col grande Quincy Jones, era riuscito con abilità a mescolare pop, rock e musica nera. Forse lo stesso tipo di operazione che aveva iniziato a fare sul suo volto. Una serie di interventi di chirurgia estetica, alla cui origine c’era uno spaventoso desiderio di essere amato da tutti, senza distinzione di razza o sesso: crossover, esattamente come la sua musica. 
 
Privato dell’infanzia da un padre violento e dalla fama [insieme ai fratelli maggiori, era un divo già all’età di 5 anni], dopo gli Anni 80 l’uomo si perse definitivamente, sempre più preda dei suoi fantasmi personali. Il suo talento si sprecò in una stanca ripetizione di formule e clichè, del tutto sprovvisto di quella scanzonata ironia che aveva caratterizzato i suoi primi lavori e che era evidentissima nei videoclip di Thriller e Say Say Say [quest’ultima cantata insieme a Paul McCartney]. I suoi dischi divennero irritanti autocelebrazioni e le cronache cominciarono ad occuparsi di lui per altri motivi, oltre quelli più strettamente artistici.
 
E’ volato via ieri come Peter Pan. Come ha sempre voluto, Michael Jackson non sarà mai adulto, nè vecchio.