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Categoria: bersani

Verso le primarie

Verso le primarie

Matteo Renzi scende in campo, candidandosi alla guida del Paese. Il sindaco di Firenze, 38 anni, cattolico, un passato nella Margherita e vincitore a 19 anni di 48 milioni alla Ruota della Fortuna, dà l’avvio alla campagna per le primarie del centrosinistra. 

La dirigenza del PD ha trattato con molta diffidenza la giovane promessa e D’Alema si è spinto a sostenere che è inadatto a governare il Paese. I toni si sono fatti accesi e la contrapposizione fra la vecchia generazione guidata da Bersani e la novità rappresentata dal rottamatore Renzi si è subito radicalizzata, assumendo delle connotazioni che vanno al di là della prossima scadenza elettorale e che hanno a che fare con quel ricambio generazionale che da tempo si invoca a gran voce all’interno del maggiore partito italiano. Come se il problema si limitasse ad un fatto anagrafico e non anche di idee, credibilità e coraggio. Comunque le primarie in passato hanno già fatto brutti scherzi alla dirigenza democratica, facendo prevalere, contro la volontà dell’apparato del partito, per esempio Vendola in Puglia, Pisapia a Milano e Doria a Genova. Cosa accadrebbe se il popolo di sinistra preferisse il sindaco toscano? Il partito resterebbe compatto attorno al nuovo leader o si spaccherebbe sotto il peso di spinte contrapposte? E che differenza farebbe la vittoria di uno piuttosto che l’altro nei riguardi della maggioranza degli italiani favorevoli ad un Monti bis?

Fascista anzichenò

Fascista anzichenò

Per favore non mi si venga più a dire che Grillo è solo il portavoce del suo movimento. I Cinque Stelle sono una struttura estremamente gerarchizzata, dove le voci fuori dal coro vengono immancabilmente fatte fuori e dove i vari esponenti, se non fosse per il comico genovese, verrebbero votati soltanto dai propri parenti. E comunque Bersani ha ragione: Grillo è un fascista. Come altro definire un leader di un partito che rifiuta ogni confronto con gli avversari politici? Non esiste un precedente nel mondo occidentale in cui il capo di una forza politica decida di non partecipare ad alcun dibattito pubblico o di non utilizzare la televisione per spiegare le proprie posizioni presso il maggior numero di persone possibile.
 
Ho sempre guardato con estrema diffidenza i partiti che si rivolgono ad un sottoinsieme di persone. Come la Lega Nord rispetto ai settentrionali, il M5S guarda solo ad un target composto esclusivamente da chi sa usare la Rete per informarsi. E la casalinga di Abbiate Grasso? Ed il pensionato di Pizzo Calabro? Evidentemente non interessano. Come gli extracomunitari per Bossi, vadano fora dai ball. Meglio fare politica solo attraverso un blog, dove si può restare nell’ambito generico del comizio, dei facili slogan e degli insulti gratuiti, senza alcun contradditorio e senza essere costretti a spiegare davvero come si intende risolvere i mille problemi di questo Paese. C’è qualcosa di razzista nel posizione di Grillo, qualcosa di fascista. Non a caso, anche Severgnini in un suo recente articolo pubblicato sul Financial Times lo ha paragonato a Mussolini: «Agli italiani “piace essere drammaticamente governati”, ha scritto l’ambasciata americana al Dipartimento di Stato nel 1920. Allora, lo showman era più scuro, la figura più pericolosa: Benito Mussolini. Quando i tempi sono duri, le democrazie sono tentate da facili soluzioni formulate dai leader istrionici. Ovviamente, le tattiche e gli strumenti sono cambiati. In principio, era un palco e un campo in una piazza, poi radio e film, poi tv, e ora è internet. Potremmo chiamarlo populismo 2.0.»
Con grandi “se” e grandi “ma”

Con grandi “se” e grandi “ma”

I risultati di queste recenti elezioni stanno convincendomi che Bersani sta all’acume politico, quanto l’orso Yoghi al Nobel per la Fisica Nucleare. Come è possibile, infatti, etichettare quanto uscito dalle urne come «una vittoria senza se e senza ma»? Non mi riferisco naturalmente soltanto alla discutibilissima ed urticante scelta lessicale di utilizzare una formula come “senza se e senza ma”, che è talmente logora da far apparire la prostata di Silvio come ancora incellophanata. Qui oltre la forma [che comunque in politica è anche sostanza] c’è molto peggio. Cè infatti l’incapacità di leggere gli umori della gente comune, che dappertutto vanno tranne nella direzione di premiare il PD.

Volendo essere cattivi, si può tranquillamente sostenere che il PD non ha vinto un bel nulla: sono gli altri ad aver perso. Cedendo ad una lettura più condiscendente verso il partito di Bersani, si può arrivare ad affermare che la vittoria dei democratici ha dei “se” e dei “ma” grossi come case. Ma oltre questo non si può certo andare! L’inossidabile dirigenza dovrebbe in questo senso ascoltare le opinioni dei propri rappresentanti più giovani. La Serracchiani ad esempio dichiara «Parma offusca ogni altra vittoria». Beppe Civati ricorda che se il PD non ha ancora fatto le primarie è solo perchè Bersani ha paura di perderle. Matteo Renzi incalza «Il Pd ha vinto la sfida dei numeri ma non ha convinto nella sfida politica. Se Bersani e i suoi colleghi segretari di partito si rendono conto che la somma di astenuti, grillini e outsider rende i partiti, tutti insieme, minoranza nel Paese, allora abbiano il coraggio di alcuni cambiamenti subito». Il centrodestra si riorganizzerà. La discesa in campo di Montezemolo è sempre più sicura. Il Movimento 5 Stelle è il secondo partito del Paese. Se il PD vuole vincere le prossime elezioni deve dare chiarissimi segnali di discontinuità rispetto al poco o nulla fatto sinora.

Lo strano caso dell’emendamento del PD presentato e poi ritirato

Lo strano caso dell’emendamento del PD presentato e poi ritirato

«Abrogare il reato di concussione e trasformarlo in corruzione o estorsione. È uno degli emendamenti proposti dal Pd al ddl anticorruzione. E di per sé non farebbe notizia se non fosse che la modifica rischia di diventare causa immediata di proscioglimento di Silvio Berlusconi nel processo Ruby per il reato di concussione, cioè per l’ormai famosa telefonata dell’ex premier in Questura con cui fece liberare Ruby in quanto “nipote di Mubarak”. Il processo continuerebbe per l’altro reato, la prostituzione minorile, ma non per questo, a meno che il giudice non lo qualifichi come estorsione o come corruzione. Il che è impossibile. Tutt’al più come abuso d’ufficio, punito però fino a 3 anni, mentre la concussione ne prevede 12, e mandando al macero le prove raccolte».
 
Così Il Sole24ore a proposito dello scellerato emendamento del PD che avrebbe potuto fare un enorme regalo all’ex premier.  Senza entrare nel merito giuridico della vicenda, perchè marginale ai fini del ragionamento che in molti hanno fatto una volta appresa la notizia, mi pare che al riguardo si possano fare soltanto due generi di considerazioni. O quelli del PD sono in malafede, oppure sono degli sprovveduti. Scartando l’ipotesi più grave, per estrema bontà d’animo, resta la seconda. E’ davvero possibile che nessuno nel Partito Democratico possa essersi accorto che questo emendamento – presentato ben prima dell’affaire Ruby – se approvato adesso sarebbe andato ad impattare sul processo riguardante berlusconi? E questo dopo mesi e mesi in cui Bersani e gli altri dirigenti del partito si erano spesi, in tutte le tribune immaginabili, per stigmatizzare l’evidente reato di concussione in cui il Caimano era incorso? E’ possibile che si sia dovuto attendere la reazione dei media e l’accusa di Di Pietro per ritirare l’emendamento, con una pezza che non fa altro che confermare il gravissimo errore di valutazione politica al riguardo?
Continuiamo così. Facciamoci del male.

Continuiamo così. Facciamoci del male.

Ci vuole una sbalorditiva vocazione per riuscire sempre a muoversi contro la logica ed il buon senso e per fare esattamente il contrario di ciò che la propria base chiede e si aspetta. L’elettorato del Partito Democratico vuole le primarie ed un’alleanza a sinistra? Bene. Allora la dirigenza propone di rinunciare alle primarie in nome di un’alleanza con il nascente Polo della Nazione di Fini e Casini, i quali – peraltro – già in più di un’occasione si sono dichiarati indisponibili ad una coalizione del genere. Beppe Civati, uno degli esponenenti di punta fra i trentenni del partito, anima del movimento dei rottamatori, così scrive sul suo blog «Se il Terzo polo si costituirà e si vorrà presentare alle elezioni, sarà una buona notizia. Se vorrà venire con noi [cosa di cui è lecito dubitare], facciamo in modo che siano loro a chiedercelo, alla fine, e non noi, all’inizio, mettendoci in una posizione ancillare che sconfessa le stesse ragioni per cui il Pd è stato concepito. E valutiamo se questa alleanza risponde all’esigenza di cambiamento che dovrebbe essere la nostra unica ragione di vita. Perché qualcuno dice che il Pd forse non esiste più. E, dopo l’intervista di oggi, non ha tutti i torti». Parole durissime e condivisibili che si riferiscono all’intervista in cui Bersani ha annunciato questa nuova, lungimirante mossa politica, che più di una strategia appare come un tentativo di suicidio.

Piuttosto che rafforzare l’idea di una politica partecipata dal basso, il partito si arrocca nel palazzo, nella disperata difesa di una dirigenza incapace di assecondare le istanze di rinnovamento che arrivano da più parti. Piuttosto che dimostrare la reale intenzione di sconfiggere il Caimano, nel momento in cui la sua maggioranza si è sgretolata, il PD cerca di abbattere coloro che impediscono alla “cupola” di preservare la propria posizione di potere. A tutti gli effetti per Bersani e Franceschini, per D’Alema e Veltroni, per Fassino e la Finocchiaro, Nichi Vendola costituisce un pericolo maggiore e più urgente che la destra berlusconiana. Nessun progetto per il Paese quindi, ma l’ennesima autoreferenziale manovra di palazzo.

Un paese di orticelli

Un paese di orticelli

A prima vista la vittoria pare netta. La maggioranza conquista 6 regioni su 13, di cui le due più importanti e strategiche: Piemonte e Lazio. Però, ad un esame più attento [e libero dalle manipolazioni della TV di regime], non si può non registrare il crollo del PDL che, rispetto all’ultimo turno elettorale [europee del giugno 2009], perde ben 9 punti percentuali, attestandosi al 27% circa delle preferenze. Appena un soffio sopra il PD che, contrariamente al suo principale antagonista, si mantiene stabile al 26%. Il partito di Bersani, oltre che dell’astensionismo, oggi deve preoccuparsi anche del successo di un movimento come quello di Beppe Grillo che, dove si è presentato, ha eroso il 3% dei voti e ha contribuito a frammentare ulteriormente un’area politica che invece ha il dovere di ritrovare al più presto unità e coesione. E’ solo responsabilità dell’opposizione – infatti – se nonostante lo sconquasso del PDL si è nuovamente riusciti a non vincere le elezioni. Se si fosse in grado di far tesoro di queste regionali, si dovrebbe – a mio avviso – ripartire da Nichi Vendola, l’unico esponente che per carisma, spessore culturale e storia personale può incarnare lo spirito della vera sinistra. Così Concita De Gregorio su L’Unità: «Questo è un voto di delusione e di rabbia verso un centrosinistra che ha disatteso le aspettative. Che rispetto a quel che l’elettorato chiedeva non ha avuto abbastanza coraggio: di cambiare la sua classe dirigente, di puntare sul rinnovamento, su logiche nuove e non solo su somme aritmetiche di alleanze possibili, su un progetto chiaro semplice e alternativo che fosse anche – come dice Vendola – un nuovo racconto».

Ho sempre sostenuto che in Italia prima di ogni altra cosa esiste un problema culturale. Ed in questo senso la vittoria al Nord di una forza populista e reazionaria come il partito di Bossi non può che preoccupare.  Come ha scritto ieri Vittorio Zucconi: «L’Italia è, e rimane, una sottocultura proporzionale e localistica. A ciascuno il proprio poderino, il proprio orto, il proprio manipolo di consiglieri o assessori, la propria contrada, e chi se ne frega dell’agricoltura nazionale».

Croce Via

Croce Via

Cominciamo subito col dire che l’Italia è fra gli Stati firmatari della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, che – fra le altre cose – stabilisce l’equidistanza di ciascun Stato da ogni religione e quindi il diritto di ogni genitore di vedere i propri figli istruiti nel rispetto di questo principio. Di conseguenza, prendendo le mosse dal ricorso di una madre italiana di origine finlandese, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha, con piena legittimità ed autorità, giudicato in merito all’applicazione di tale fondamento. Il crocifisso nelle aule, esprimendo una maggior vicinanza dello Stato ad una religione specifica, violerebbe il principio di neutralità, tanto più che il crocifisso è presente in un contesto particolarmente influenzabile come quello dei minori.
 
Fin qui i fatti oggettivi, rispetto ai quali non si comprende bene il perchè di tante polemiche, come al solito tutte italiane. Perchè firmare una Convenzione se non se ne condividono i principi ispiratori? Perchè quella italiana è “la politica della convenienza“. La politica, cioè, di quelli che prendono le decisioni solo in funzione della successiva tornata elettorale, con un occhio sempre attento a non entrare in rotta di collisione con la Chiesa cattolica. E visto che da quest’estate, per i ben noti motivi, i rapporti fra Governo e Santa Sede si sono fatti piuttosto tesi, oggi si rende ancor più necessario ingraziarsi le alte sfere vaticane. Diventano così più chiare le reazioni scomposte del centrodestra alla decisione della Corte. Berlusconi parla di sentenza che «nega le radici cristiane del nostro Paese». Bossi con la consueta dose di eleganza afferma che si tratta di «una stronzata». La Russa dà prova di equilibrio e misura, auspicando la morte dei giudici europei e dei «finti organismi internazionali che non contano nulla». Persino Bersani preferisce assumere una posizione conciliante con la Chiesa, sostenendo che «il crocefisso è una tradizione che non può essere offensiva per nessuno» dimostrando, ancora una volta, che il PD non capisce, o finge di non capire nulla.
 
Eppure la decisione della Corte europea non fa che affermare un concetto fondamentale: nessuna istituzione può essere sotto il marchio di un unico segno religioso. Laicità significa neutralità, apertura e rispetto del pluralismo.
E’ primario fare le primarie?

E’ primario fare le primarie?

Non c’è settimana che il PD non delizi il suo elettorato [sempre meno nutrito] con un nuovo casus belli. Non si è fatto in tempo a sbollire la rabbia per la superficialità inammissibile con cui 22 deputati democratici hanno disertato il voto sullo scudo fiscale, facendo così passare la legge e consentendo al governo di schivare una debacle dalle conseguenze imprevedibili, che ieri l’onorevole Paola Binetti ha votato diversamente dalla posizione del partito sul testo contro l’omofobia. Non mi è chiaro quale valore possa avere la presenza all’interno del PD di un’esponente che non si è fatto scrupolo di sostenere pubblicamente che l’omosessualità è una devianza. Ma ancora più incomprensibile è il motivo per cui la dirigenza del partito, constatata la continua divergenza di vedute su fondamentali questioni inerenti la laicità, non abbia ancora deciso – dopo più di un anno – la radiazione dell’onorevole.

Non voterò alle primarie del 25 ottobre perchè non mi sento più rappresentato dal partito. La sua incapacità di trarre vantaggio dal lungo momento di crisi del premier, è imperdonabile. Persino Famiglia Cristiana ha dimostrato di saper fare un’opposizione più incisiva ed insistente di quella del PD, troppo ripiegato su questioni interne da una parte e troppo preoccupato di smarcarsi dalla politica veemente di Di Pietro dall’altra. Spero però possa vincere Bersani, se non altro perchè così potrebbero aprirsi nuovi spazi di manovra al centro, allo scopo di costruire una convincente alternativa a berlusconi, in grado di attrarre l’elettorato moderato, eterno ago della bilancia della politica italiana.

La storia insegna… ed il PD impara!!!

La storia insegna… ed il PD impara!!!

Il rinnovamento in casa PD passa da Veltroni e Dalema. Il primo infatti sponsorizza Dario Franceschini [di ben tre anni più giovane di lui] come prossimo segretario del Partito Democratico, e il sessantenne ex presidente del consiglio è il nume tutelare di Pierluigi Bersani [che compirà 58 anni a settembre]. Entrambi i candidati, così freschi e ruspanti, non sono per nulla riconducibili alla logiche parruccone che hanno governato il partito fino ad ora, portandolo ad una sconfitta elettorale dopo l’altra. Ecco quindi che, grazie a questi due volti nuovissimi e sconosciuti, vengono assolutamente rispettate le istanze di profondo cambiamento espresse dalla base.

Già prevedo che ci sarà chi criticherà queste due scelte, contestando ai due una mancanza assoluta di esperienza, ma io sono convinto che questa sarà colmata da entrambi con l’impegno e l’entusiasmo, fisiologici in tutti coloro che, per la prima volta, si trovano ad assumersi responsabilità così grandi. A onor del vero si era profilata anche una terza candidatura, quella di Debora Serracchiani, ma il fatto che si trattasse di una donna, che avesse già 38 anni suonati e che fosse così legata alla vecchia nomenclatura del partito, ha indotto il PD ad evitare di battere una strada già percorsa troppe volte in passato. Del resto com’è che si dice? La storia insegna!