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Categoria: civati

L’impresentato

L’impresentato

Ci sono alcuni dati che emergono dalle elezioni su cui vale la pena riflettere. Primo fra tutti l’astensionismo. Quando si reca alle urne una persona su due significa che hanno perso tutti. La crescente incapacità di rappresentare l’elettorato è una gravissima malattia che una classe politica matura e responsabile dovrebbe cercare di interpretare e risolvere prima di ogni altra cosa. La diffusa sfiducia rispetto al sistema politico, percepito come strumento di occupazione del potere, sta anche alla base del successo della Lega che avanza ovunque e della sostanziale conferma del M5S.

Il voto delle Regionali ha inoltre messo fine al sogno del Partito della Nazione: è evidente infatti che il progetto renziano di sfondare a destra si è rivelato fallimentare. Il premier non solo non conquista l’elettorato post-berlusconiano – attratto piuttosto dal populismo di Salvini – ma perde anche a Sinistra. Il crollo del consenso rispetto alle Europee dell’anno passato, ma anche la flessione rispetto alle scorse Regionali, quando il PD bersaniano conquistò il 25,9% a fronte del 25,2% di domenica, è figlio infatti di una politica che ha perso di vista le istanze dell’elettorato di Sinistra. Ecco perchè il risultato di Luca Pastorino in Liguria è potenzialmente assai interessante, come giustamente osserva Pippo Civati sul suo blog. Di tante dichiarazioni post elettorali, quelle dei vari paitarenziorfiniserracchiani che scaricano l’epocale sconfitta ligure sulle spalle di Civati sono tra le più ottuse, pretestuose e lontane dalla realtà che mi sia mai capitato di ascoltare. La Paita ha perso non già per colpa della Sinistra, ma perchè connessa mani e piedi all’amministrazione Burlando che ha governato (malissimo) la Regione in questi ultimi 10 e passa anni. Renzi si è venduto come grande rottamatore ed invece in Liguria ha inteso soltanto conservare un sistema di potere deludente e fallimentare. La gente l’ha capito e lo ha punito.

Tutto cambia affinché nulla cambi

Tutto cambia affinché nulla cambi

A seguito delle alluvioni –  almeno 4 – che hanno colpito Genova e la Liguria in questi ultimi anni, il Governatore Claudio Burlando è stato più volte messo sulla graticola per non aver mai realizzato le infrastrutture necessarie per la messa in sicurezza del territorio, ma anche per la scriteriata cementificazione che ha devastato la regione, e perchè la sua giunta si è sempre trovata impreparata nella gestione dell’emergenza alluvione. Raffaella Paita, assessore regionale alla protezione civile, campionessa mondiale in scaricabarile e candidata per il PD alla presidenza della Liguria, è da tempo delfina di Burlando e ha precise responsabilità, sicuramente politiche e forse anche penali (è indagata per due cosuccie come omicidio e disastro colposo) rispetto all’alluvione del 9 ottobre 2014 che in città provocò una vittima e portò l’ennesima desolazione. Nonostante questo, ha inopinatamente vinto le primarie (non senza però farsi mancare sospetti di gravi irregolarità), godendo dell’appoggio della destra contro una persona perbene e dalla provata esperienza come Sergio Cofferati. «In un colpo solo – osserva giustamente Scanzi – «la Paita ha reso pressoché definitiva l’agonia irreversibile dell’istituzione delle primarie e ha dimostrato quella che è l’anima vera del renzismo: non il cambiamento, ma la restaurazione. Si vota un elemento giovane, più o meno vicino ai renziani, per mantenere lo status quo, ovvero Burlando, a cui l’assessore Paita è notoriamente vicina». Oggi i sondaggi danno Raffaella Paita testa a testa con il candidato di FI, Giovanni Toti, berlusconiano di ferro con paurose carenze in geografia. Il PD ligure allora avverte: votate per noi perché altrimenti vince la destra, come se il partito di Renzi non fosse ormai indistinguibile dalla destra, o – almeno in Liguria – persino peggio.

Fortunatamente, a dare un raggio di sole in questo scenario a metà fra l’angosciante ed il grottesco, è sceso in campo Luca Pastorino, ex democratico, oggi sostenuto da SEL e Civatiani ed accreditato di un ottimo 15%. Liguria laboratorio d’Italia, visto che – come ha dichiarato Civati – «l’operazione Pastorino può diventare un modello di ispirazione per quello che vorremmo fare dal 2 giugno, che è pure la Festa della Repubblica, un soggetto politico con modi e figure completamente nuove che lanci una sfida di modernità».

Una fine, ma anche un inizio

Una fine, ma anche un inizio

«Come molti, non mi sento rappresentato da questa situazione. Lo ripeto da qualche giorno: non ho più fiducia in questo governo, nelle sue scelte, nei modi che ha scelto, negli obiettivi che si è dato. Non ne ho avuta personalmente fin dall’inizio, quando si scelse di proseguire con le larghe intese: avevamo deciso che durassero solo due anni, che sarebbero scaduti già, mentre abbiamo deciso di andare avanti fino al 2018, cambiando premier – in quel modo sobrio e istituzionale che tutti ricorderete – ma senza cambiare il programma di governo. Senza nemmeno scriverlo, per altro, con i risultati che sappiamo. (…) Non ho più fiducia perché dopo la fiducia della scorsa settimana, non si può chiudere così, come se fosse solo una parentesi, come se questo non costituisse un precedente. Per ragioni di coerenza passo al gruppo misto, nella considerazione che anche il gruppo del Pd lo sia diventato, avendo accolto parlamentari di tutte le provenienze. Ciò comporta, come conseguenza, che io lasci il Pd, cosa che non avrei mai fatto, ma ormai il Pd è un partito nuovo e diverso, fondato sull’Italicum e sulla figura del suo segretario. Chi non è d’accordo, viene solo vissuto con fastidio. C’è stato il Jobs Act, lo Sblocca Italia, un inquietante decreto sul fisco smentito solo un po’, la riforma della scuola che ha unito tutti gli insegnanti che votavano il PD (…). Non lo faccio per aderire a un progetto politico esistente, ma per avviare un percorso nella società italiana, alla ricerca di quel progetto di cui parlai un anno fa, che ho sempre avuto nel cuore».

Per me è sempre un grande piacere leggere Pippo Civati, perchè ogni volta trovo nelle sue opinioni una totale coincidenza con le mie. In un partito in cui quasi tutti sono diventati dei lacchè del segretario, pur partendo da idee e posizioni distanti quand’anche non contrarie, Civati ha sempre condotto una battaglia a viso aperto, mantenendosi fedele al proprio pensiero e dimostrando un coraggio ed una passione politica non comune. Acclarato che il confronto democratico all’interno del PD è ormai del tutto precluso, ha preso l’unica decisione possibile. Checchè se ne dica, c’è a sinistra un grande fermento. Lo spostamento a destra del partito di Renzi ha lasciato spazi che fino a poco tempo fa non esistevano e che diventa ogni giorno più importante iniziare a riempire. Sono convinto che se verrà fatto da persone come Civati, questo non potrà che portare buone cose per il Paese.

Il senza vergogna

Il senza vergogna

«Le riforme dovevano essere affrontate diversamente, seguendo le procedure previste (senza perdere sei mesi a tentare di approvare una deroga all’art. 138, poi riposta in un cassetto senza spiegare perché né chiedere scusa ai cittadini), che indicano una certa lentezza. Che non significa perdere tempo (come avviene con continue accelerazioni e battute d’arresto, come quella che c’è stata sulla legge elettorale), ma impiegarlo per riflettere e valutare attentamente. Più che sui tempi bisognerebbe concentrarci sulle scelte, che dovrebbero essere compiute con il reale apporto di tutti. Per essere più precisi, l’attuale riforma costituzionale, al contrario di quanto si dica, è stata discussa molto poco e assai male.  Ma si è andati avanti come se nulla fosse, alzando ancora il livello dello scontro, fino a sostituire nella stessa Commissione i componenti che rispetto al testo governativo avevano mosso alcune critiche di fondo (pur sostenendone altri aspetti, a partire dalla necessità di differenziare le due Camere). Ora, non so più come dirlo, l’errore consiste nel non avere saputo valorizzare il confronto in Commissione, ma più grave sarebbe continuare ad alzare i toni e a irrigidire lo scontro, con minacce di contingentamenti, ghigliottine e lavori forzati (e quindi mal riflettuti), per chiudere con tempi la necessità del cui rispetto non pare avere alcun concreto riscontro. In realtà, le riforme costituzionali – la cui lunghezza è costituzionalmente imposta – possono tranquillamente procedere nel corso della legislatura, facendo tesoro di tutti i contributi che fino ad ora – lo ripetiamo – non hanno potuto trovare spazio in alcuna sede».
 
«Trovo francamente sconcertante che si possa definire ricatto l’esercizio legittimo delle prerogative che sono riconosciute all’opposizione dai regolamenti parlamentari. Fare ostruzionismo non significa essere ricattatori. Certamente non siamo ricattabili. Vogliamo proporre al Governo la possibilità di ragionare seriamente su questioni come il Senato elettivo. Noi abbiamo il diritto di interloquire, quando si tratta di riforme della Costituzione, che non possono essere ridotte al rango di una puntata di Masterchef, dove ci sono alcuni minuti per poter cucinare la ricetta del cambiamento. La Costituzione è la legge fondamentale che tiene in piedi una società e uno Stato. Per cui abbia pazienza il ministro Boschi, impari un pò il rispetto nei confronti delle Istituzioni, delle opposizioni e del Paese. Noi vogliamo sapere se le istituzioni di domani consentiranno ai soggetti sociali che per esempio oggi hanno protestato davanti a Montecitorio, a partire da una condizione di disagio e di esclusione, di poter esprimere le proprie ragioni. Se poi  si vuole un Parlamento addomesticato, se si vogliono istituzioni che sono una specie di corolla floreale attorno al sovrano, allora lo si dica. Ma quello noi limpidamente non lo accetteremo.» 
 
Ho riportato stralci da due post, il primo a firma Civati [leggere qui e sopratutto qui], il secondo Vendola [leggere qui e qui]. Le posizioni di entrambi sono quelle che dovrebbe avere il leader di un vero partito di Centro Sinistra, che ha a cuore il bene del Paese, la volontà dei cittadini ed il rispetto delle minoranze. Così non è purtroppo. Ed è sotto l’occhio di tutti [tranne di quelli che non vogliono vedere, naturalmente]. Invocare la “ghigliottina” per delle riforme istituzionali è una delle cose più antidemocratiche che si possa avere in mente. Fornire una prova muscolare, miope ed arrogante, che sta a metà fra il peggior craxi ed un berlusconi qualunque, sul terreno di riforme che devono costituire l’ossatura dello Stato e che riguardano tutti, senza distinzioni alcune fra destra e sinistra, maggioranza e opposizione, politici e cittadini comuni [e che non possono essere oggetto di protagonismi e brame personali] è spettacolo esecrabile. Mai mi sarei aspettato che potesse essere messo in scena da un Presidente del Consiglio, segretario del Partito Democratico, che oramai di democratico non ha più nulla. Che vergogna!
 
Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità

Di espulsioni, oranghi ed incompatibilità

Sono almeno tre le notizie che più di altre hanno guadagnato le prime pagine dei giornali in questi ultimi giorni. Prima di tutto la vicenda della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov espulse brutalmente dall’Italia e riconsegnate al sanguinario dittatore kazako, amico di berlusconi, senza che per adesso siano stati individuati tutti i livelli di responsabilità tecnica e politica, in primis quella del Ministro dell’Interno Alfano. Secondariamente il pesante insulto che Roberto Calderoli ha lanciato nei riguardi di Cecile Kyenge, paragonata ad un orango durante un comizio! Insulto che – se mai ce ne fosse bisogno – dimostra ancora una volta tutto il carico di rozzezza e razzismo degli esponenti del Carroccio. Quella per il ministro dell’integrazione è una vera ossessione della Lega che evidentemente non riesce a tollerare che un ministro dello Stato italiano sia di pelle nera. Infatti il vicepresidente del Senato arriva da buon ultimo dopo una bella lista di frasi inaccettabili che vanno dai rimandi al Congo, all’evocazione del bonga-bonga e all’incitamento allo stupro.

Infine il disegno di legge presentato dal PD che mira a superare la legge del 1957 che stabilisce che i titolari di una concessione pubblica e i rappresentanti legali di una società che fa affari con lo Stato non possono essere eletti. Il testo, sottoscritto da Luigi Zanda, capogruppo dei democratici al Senato, insieme ad altri 24 firmatari, sostituisce il principio di ineleggibilità con quello più blando di incompatibilità, consentendo a berlusconi di mantenere la carica di senatore [eventuali condanne a parte], a patto di rinunciare entro un anno al controllo sulle sue aziende. Un ddl che definire inopportuno è un eufemismo e che è stato accolto in modo controverso all’interno dello stesso PD. «Se l’intenzione è quella di tentare una forma compromissoria per mantenere inalterati gli equilibri politici nazionali, allora io metto in guardia: non verrebbe compreso dalla maggior parte dei nostri elettori, per non dire da tutti», afferma Laura Puppato. Ironico poi Pippo Civati: «Non si sono resi conto che questa è la prima dichiarazione del PD in cui si dice chiaro e tondo che Berlusconi è ineleggibile».

Caccia ai caccia

Caccia ai caccia

«Ovviamente sono d’accordo con i colleghi che la rifiutano in toto, perché si tratta di un fatto di estrema gravità, rispetto al quale il Presidente della Repubblica e, soprattutto, la Presidente della Camera dovrebbero riaffermare la sovranità del Parlamento. Immediatamente». Così Pippo Civati a proposito della decisione presa al termine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa, tenutasi al Quirinale e presieduta dal capo dello Stato, secondo la quale il Parlamento non può porre veti al Governo sull’adozione di provvedimenti riguardanti l’ammodernamento delle forze armate.

La disposizione si riferisce alla mozione parlamentare, approvata lo scorso 26 giugno, che impegna il Governo a non procedere a “nuove acquisizioni” nell’ambito del programma di acquisto degli F35 senza che il Parlamento si sia espresso dopo un’indagine conoscitiva di sei mesi. Si riaccende la polemica sull’acquisto dei caccia americani, che comporterebbe una spesa di circa 15 miliardi di euro. Un esborso difficilmente giustificabile in un periodo di grave crisi economica come il nostro, per far fronte al quale – peraltro – viene chiesto ai cittadini ogni genere di sacrificio. Per questo motivo SeL, insieme al M5S ed una pattuglia di deputati del PD, aveva presentato una mozione di sospensione dell’acquisto dei caccia che è stata bocciata. Il primo firmatario della mozione, il deputato di SeL Giulio Marcon, aveva dichiarato: «Il programma F35 non serve alle persone che sono senza lavoro, ai lavoratori precari, alle famiglie impoverite, ai giovani. E non serve nemmeno ad una politica estera di pace, come vuole l’articolo 11 della nostra Costituzione. Spendere tanti miliardi di euro per dei cacciabombardieri, mentre invece non abbiamo i i soldi per bloccare l’aumento dell’IVA e sufficienti risorse per il lavoro, è uno schiaffo all’Italia, alle sue sofferenze». Il PD, dopo che con Bersani aveva sostenuto in campagna elettorale di voler tagliare le spese per gli F35, oggi si ritrova spaccato fra chi vorrebbe dar seguito alle promesse fatte ed un fronte governista, dove ad esempio Francesco Boccia afferma: «La storia degli F35 è assurda e per me delinea l’identità del Pd. Io sono favorevole. Creano posti di lavoro e danno valore all’eccellenza tecnologica».